mercoledì 14 novembre 2012

"Se vuoi farcela, non mollare mai" parola di Sylvester Stallone, protagonista insieme a Walter Hill del Festival del Film di Roma

ROMA, 14 – Il personaggi della giornata del Festival di Roma sono stati naturalmente Walter Hill e Sylvester Stallone, rispettivamente regista e protagonista di “Bullet to the Head”, presentato in anteprima in occasione del premio Maverick Director Award, all’autore de

“I guerrieri della notte” e “48 ore”. Il suo nuovo film d’azione è sempre coinvolgente, non mancano certo azione e sparatorie, ma stavolta è pervaso da un’intelligente ed efficace autoironia che lo rende anche gustoso e divertente. “Non credo che si tratti del tipico film d’azione – esordisce Hill -, dato che in ogni film si cerca di essere speciale. Quando Brian (Kavanaugh-Jones, produttore esecutivo ndr.) mi ha chiamato per chidermi di dare un’occhiata alla sceneggiatura, mi ha parlato della possibilità di farlo insieme a Sly. Mi è piaciuta la storia perché è in grado di rendere omaggio a un certo tipo di film d’azione anni ’70-’80, essendo allo stesso tempo moderna. Il film è stato forgiato, sempre in questa direzione, strada facendo ed è stato un piacere lavorare con un grande attore dalla forte personalità. Ed è stata l’unica volta che ho lavorato con una star che è anche regista, perché dieci film sono tanti. I nostri film non dipendono dagli effetti speciali ma dal carattere degli autori e da quello che vogliono raccontare”. “Rocky e Rambo sono personaggi di gran peso – ribatte Stallone -, miti per generazioni, perciò ho cercato di combinarli in un unico personaggio, Rocky è positivo e ottimista simbolo del sogno americano, Rambo è cupo e pessimista, in parte negativo. E’ stata un’ottima transizione creare un nuovo personaggio”.
“Allora io amavo loro e loro amavano me – prosegue su Hollywood – ma avevamo fatto ‘Rocky’ e non mi avevano ancora pagato. Io dicevo il film è costato 800mila dollari e ne avete incassati dieci volte’ e loro rispondevano ‘torna a lavorare che ti pagheremo quando ci va’. E’ business non una love story, per fare un film devi superare tanti ostacoli, e farli mi ha insegnato che Hollywood non è una fabbrica divertente né felice. Però c’è un fatto positivo: col duro lavoro e nel caos viene fuori la creatività. Ma devi contare solo su te stesso”. “Il film è adattato da una storia a fumetti francese – afferma lo sceneggiatore, l’italiano Alessandro Camon, nomination all’Oscar e Orso d’Argento a Berlino per “The Messenger” -, tratto da ‘Du Plomb dans la Téte’ di Matz e Wilson. Una storia molto forte e interessante, già ambientata a New Orleans, di cui sono rimasto accattivato, soprattutto dei dialoghi. Nel film c’è molto lavoro di Sly e Hill. Ma l’ispirazione è proprio ‘48 ore’, appartiene alla categoria dei Buddy Buddy Movie che, nel tempo, si è deteriorata. Nell’originale tutti i due lavorano dalla stessa parte ma con motivazioni diverse; qui invece c’è un conflitto di stile perché si trovano in lati opposti della legge, tanto che potrebbero ammazzarsi fra di loro, ma lo scopo è comune”. Infatti in “Bullet to the Head” Stallone è il sicario Jimmy Bobo che si allea col detective di Washington D.C. Taylor Kwon (Sung Kang, del serial ‘Fast Five’) per riuscire a catturare il killer dei loro rispettivi partner di lavoro. “La cosa principale è lavorare con un paio di verità brutali, ma io ho avuto anche un’opportunità che non avevo da anni, fare un film del genere. Non si tratta di un esperimento, anche se ormai siamo abituati a film d’azione giganteschi. Una metà è fiction, l’altra personaggio, e poi c’è l’intervallo intimistico (Bobo/Stallone ha una figlia ndr.). L’azione ha confini delimitati e l’ho già dimostrato in passato.
Ora mi interessava la natura della personalità, ironica, umoristica. E, a sua volta, lo sguardo ironico dipende dalla nostra personalità”. “La differenza è come quella tra una scarpa fatta a macchina e l’altra a mano – chiosa Stallone -. Il nostro è un film fatto mano, dove si impara dagli errori. I dialoghi possono intrattenere o divertire, e l’umorismo che ne viene fuori è affascinante, soprattutto quello scaturito dai contrasti fra personalità diverse. La vicenda di due che all’improvviso sono costretti a saltare, fare a pugni o sparare”. “Sono ancora convinto che il western sia il modello ideale di film – afferma Hill -. Il trucco è che il mondo somiglia molto al western in cui ci sono luoghi inventati, perché si tratta sempre di narrazione. Il compito più difficile è creare un mondo inventato, attraverso una finta narrazione, che risulti credibile. Perché la fiction non deve allontanare il pubblico ma attirarlo, così bisogna renderla credibile. Il nostro è un western dove Sly anziché sul cavallo va sulla Ferrari”.
“Mi chiedo anch’io cosa facciano gli attori gli attori quando non lavorano – riprende Sly -, giocano col cane, cucinano o dipingono? Ma devono mantenere in forma la macchina, e io lo faccio passando il tempo ad inseguire le mie figlie dentro casa. Dopo Rocky e Rambo, oggi mi ritrovo circondato da donne: una moglie, tre figlie, una cuoca, una domestica… e persino i cani sono femmine”. “L’incontro con Woody Allen mi ha cambiato la vita – continua sul debutto in piccoli ruoli -, nel ‘Dittatore dello stato libero di Bananas’, io e un mio amico dovevamo fare due teppistelli in metropolitana, ma quando ci ha visti Allen disse ‘non fanno paura’. Io avevo deciso di lasciar perdere, mentre l’altro non era d’accordo, allora ci siamo messi della vaselina sulla faccia, ci siamo un po’ sporcati e siamo tornati: ‘Facciamo paura adesso?’ e ci siamo riusciti. Perciò dico mai mollare, mai mollare ragazzi”. “Io non parlo a Hollywood – dice il regista – ma alle persone alle quale piacciono le storie e la violenza fa parte del ‘racconto letterario’ fin da Omero, perciò non è né trita né ovvia. La completezza della storia ci da piacere perché riguarda la nostra vita, siamo in buone mani. Se pensate bene tutte le storie sono violente, anche ‘Cime tempestose’, persino le storie d’amore”.
“La violenza piace e il sesso fa paura – ribatte Stallone sul cinema americano -, dov’è il problema? Sono anni che si continua a uccidere con ‘armi amichevoli’. Il mio antico rivale Schwarzenegger? E’ come Annibale, un vecchio caro amico. Uomini come Rambo non possono andare in pensione, lui dice di lottare per il suo paese e quindi non può mai smettere. Personaggi come lui hanno bisogno della guerra, anche perché non ha una casa dove tornare, e cerca di morire in maniera gloriosa. Ho un’idea per un prossimo film, Rambo che combatte con… l’artrite. Speriamo, potrebbe tornare magari nei panni di una ragazza, Rambolina. Non è stata detta l’ultima parola”. E l’attore-regista nel suo passaggio romano ha incontrato i ragazzi di Tor Bella Monaca a cui ha parlato della sua adolescenza a New York, in un quartiere molto simile e ha detto anche a loro di non mollare mai, nemmeno quando si sbaglia, se vogliono raggiungere, se non proprio il successo, il loro obiettivo/sogno. José de Arcangelo