sabato 10 novembre 2012

Roma Film Festival. Dall'Australia alla Francia sulla scia della commedia, fuori e in concorso

ROMA, 10 - Oggi sono passati anche "Mental" di PJ Hogan (fuori concorso), che segna il ritorno del regista de "Le nozze di Muriel" in patria, e il nuovo film della francese Valérie Donzelli "Main dans la main", dopo la rivelazione internazionale con "La guerra è dichiarata". La prima è una commedia sul filo del 'demenziale', come da titolo, ma non fine a se stessa, perché parlando e portando all'esasperazione problemi e conflitti psichici in famiglia ci spinge a riflettere su depressione, follia e pregiudizio. Ovvero un tema serio e universale, non nuovo al cinema (basti ricordare il vecchio caro "Tutti pazzi meno io" (in originale "Roi du coeur") di Philippe De Broca) che metteva in dubbio la cosiddetta 'normalità' durante la Grande guerra, in una cittadina abitata dai ‘matti’ del vicino manicomio che sostituivano benissimo i concittadini fuggiti. Una commedia al femminile, capeggiata dalle veterane e brave Toni Collette, Rebecca Gibney, Kerry Fox e Caroline Goodall, Deborah Mailman e le giovani rivelazioni Lily Sullivan, Chelsea Bennett, Nicole Freeman, Malorie O’Neill e Bethany Whitmore.

Le cinque sorelle Moochmore sono convinte di essere pazze, dato che la mamma, Shirley (Gibney), soffre di crisi di nervi e, incapace di badare alla casa, far fronte alle complicate figlie adolescenti e al marito Barry (Anthony LaPaglia), politico donnaiolo che spera di diventare sindaco, trova sollievo nelle canzoni del cult-musical anni '60 "The Sound of Music" (Tutti insieme appassionatamente) di Rodgers e Hammerstein. Il marito la fa rinchiudere in un ospedale psichiatrico e affida le figlie alla bizzarra autostoppista Shaz (Collette), baby-sitter per caso che, forse, sarà in grado di riportare finalmente un equilibrio in famiglia. "La mia famiglia era disfunzionale - esordisce Hogan che vi si è ispirato -, la mia esperienza americana è stata gradevole, ma a Hollywood non potete fare tutto quello che volete anche quando sei pagato molto bene e sono dovuto tornare in patria per realizzare un film molto personale. 'Mental', come 'Le nozze Muriel' è autobiografico. Quando avevo 12 anni mia madre ebbe una crisi e mio padre, politico locale, la fece rinchiudere e ci disse 'mamma è andata in vacanza, e dite a tutti che è così'. Potevamo anche capire, sospettare o sapere dov'era, ma mio padre voleva così. I mie fratelli erano tutti più piccoli di me, e mio padre non sapeva cosa fare con noi. Lui si è sempre considerato una persona equilibrata, e ha deciso di caricare un'autostoppista con cane perché pensava fosse affidabile. E un giorno ce la siamo trovata rollando una sigaretta nel salone piuttosto disordinato di casa. Non vi sembrerà vero ma era come nel film. Mi ha sempre eccitato raccontare la vera storia della baby sitter. Tony collette, appena letto il copione, disse voglio essere Shaz. Lei è stata la prima persona che mi ha detto: meglio essere la pecora nera che una pecora".
"Shaz era completamente folle. Il tempo aiuta a guardare le cose con uno sguardo nuovo, in modo fresco, sono successe tante cose dopo "Muriel", mia sorella ha avuto delle crisi, ho due figli autistici. La malattia per me è molto rilevante, il mio è un rapporto diretto, dalla trincea. Molto spesso le persone conoscono l'autismo attraverso i film, ma i bambini autistici possono essere meravigliosi, ma mi sono reso conto che il bambino autistico viene messo da parte, perché improvvisamente si capisce che non siamo perfetti. Credevo che il modo migliore di affrontarla fosse la commedia, anche perché tutti conoscono qualcuno che ha una malattia mentale, che ha tante sfumature non si tratta solo di autismo o schizofrenia. Ma dobbiamo sorridere, ridere per andare avanti. Volevo essere assolutamente 'politically scorrect', altrimenti vuol dire non ne parliamo, diventa qualcosa di cui vergognarsi; volevo che la gente dicesse 'come si permette di farne una commedia'. Chi è matto e chi non lo è? Mia sorella è schizofrenica, molto intelligente però non riesce ad esprimersi. Quando prende i farmaci diventa una persona meravigliosa, ma anche lei viene evitata. Le persone hanno paura, perché credo hanno sofferto la depressione. Sarebbe bello un bel giorno presentarsi ad un colloquio di lavoro e poter dire 'io soffro di depressione ma vorrei essere assunto lo stesso'. E' difficile trovare la linea divisoria tra genilaità e follia, e non ho mai un attore 'normale'. Se tu dici 'soffro di asma' non ti possono non assumere, ma se soffri di depressione, ansia, ecc., ti cancellano dalla lista. Non dobbiamo avere paura".
"Io sono molto equilibrato - aggiunge - sono un regista e non farei quello che faccio, la famiglia era la mia e non potevo sfuggirle, sono andato via da casa a 17 anni per fare la scuola di drammaturgia e cinematografia. Ho condiviso l'idea di ridere della mia famiglia con la storia Muriel, cercando capire quella del mio passato, parlandone con gli amici. Una storia con cui potevo raccontare il mio vissuto, il motivo per cui si soffre, perché ho bisogno di condividerla. A questo punto ho capito che era arrivato il momento di tornare, e adesso capisco meglio, sono più brutalmente onesto, il film è comico. Io non giocavo football e questo metteva in imbarazzo mio padre perché è come non giocare calcio in Italia. Mi sento rattristato per lui, era una sua semplice ambizione che io giocasse football e diventassi uguale agli altri, purtroppo si è ritrovato la famiglia che ha avuto. Questo accade quando si dice ai ragazzi di non dire e di non chiedere e se qualcuno chiede negate, quando non si dicono le cose né si fanno domande. Dite, ascoltate e continuate a dire". "Tra 'Le nozze di Muriel' e 'Mental' la caratteristica è che il primo l'ho fatto 30 anni fa. Ho preso il diploma in regia a 18 anni ed ero disoccupato, il mio pirmo film era terribile perché non avevo nulla da dire; credo sia molto importante sia per un regista come per un attore, tirare fuori il piccolo mondo privato, interiore, ed esprimerlo. Per 'Muriel' è stato difficile trovare un finanziamento, poi non riuscivo a trovare per altri film simili, sul vissuto personale, non volevo fare altro perché è la mia storia. Sono cresciuto in una cittadina sulla costa, simile, forse, a Rimini, dove c'era grande volgarità, tutto era molto colorato, persino i parchimetri. Se si vive in quel posto, dove non c'è nessuna libreria, un solo cinema, l'unico modo di catturarla in modo artistico è attraverso la fotografia, e ho continuato a lavorare così. Forse come documentario (l'ambientazione che è ottima ndr.) sul posto dove sono cresciuto, la casa del film è quella in cui sono cresciuto, ho rifatto solo le pareti per gli interni".
"Ho avuto la fortuna di leggere la sceneggiatura per primo - dichiara il produttore Todd Fellman - ma non avevo incontrato JP, sono stati degli amici che avevano già lavorato con lui che mi hanno detto 'JP vorrebbe tornare a lavorare a questo progetto. Una delle sceneggiature più emozionanti, divertenti e avvincenti che abbia mai letto. Sono andato a LA, ci ho parlato e abbiamo elaborato un programma sul come produrlo". "Doris (la sorella di Shirley e zia delle ragazze ndr.) è uno dei personaggi di sempre - afferma Caroline Goodhall -, orrendo! E' sempre meraviglioso per un'attrice non avere nessun elemento di contrasto, eccetto le bambole. Un personaggio divertente, sono stata fortunata ad avere questo ruolo che prende ispirazione da un'australiana come me, anche se sono cresciuta in Inghilterra; inoltre, di poter lavorare con attrici più giovani di me e bravissime. Lily (Sullivan) è straordinaria. Voglio fare la scena col cane nella macchina, e naturalmente per farlo annusare fra le gambe avevo del pollo. Lavorare con PJ e il cane è stata una delle esperienze più estreme". "Vogliamo tornare indietro, la prima volta non aveva musica, poi 'Muriel' era quella romantica standard, infine, ho detto al produttore 'voglio portare il mio tocco, il mio punto di vista, perché mi piace moltissimo la musica. Allora riuscivo a sfuggire all'atmosfera famigliare quando accendevo lo stereo e ascoltavo gli Abba. Credo siano straordinari, qualcosa che mi parlava attraverso quella semplicità di musica e testo, poi continuavo ad ascoltare gli SOS. In tutti i gironi della vita tutti noi utilizziamo la musica per esprimere quello che non riusciamo a dire con le parole, diversamente de tuo scopo. Per la sofferenza di Muriel diventava l'amico dei momenti difficili, quando JR viene umiliata. In 'Mental' perché Rodgers & Hammerstein (The Sound of Music) erano gli autori preferiti di mia madre. Infatti, 'Tutti insieme appassionatamente' andava allora moltissimo e ogni volta che passava in tivù ci riunivamo tutti in salone per vederlo, solo allora mia madre non piangeva perché era depressa o sofferente, ma perché il padre cantava pure; quest'idea di famiglia felice, la faceva piangere. Un elemento importante perché Maria (la protagonista del musical ndr.) cantava per allontanare i nazi". "Dicono che il film sia molto australiano - conclude la Goodhall -, io che ogni tanto ho un marito italiano, credo parli a tutti, che sia universale, anche per questo sono molto contenta che venga proiettato qui a Roma, dove vivo".
La commedia della Donzelli stavolta non riesce a mantenere il raro equilibrio della precedente, “Mano nella mano” riesce a conquistare soprattutto nella prima parte, mentre gioca con l’umorismo e il gioco degli attori, anche perché stavolta la protagonista è l’ottima ‘commediante’ Valérie Lemercier, nel ruolo di severa coreografa delle ragazzine dell’Opera di Parigi. Mentre sembra ‘appiccicata’ – e stavolta sì ricattatoria - la sottostoria dell’amica di lei, malata terminale che non sopravvivrà alla storia. Comunque, il tono è sempre leggero e garbato, ma stavolta le vere emozioni non latitano, ma scarseggiano. In compenso chi ama il ballo in tutte le variazioni, dal classico al latino, avrà il suo momento di gloria. Hélène (Lemercier) e Joachim (Jérémie Elkaim, sempre cosceneggiatore) non potrebbero essere più diversi ma il destino vuole che al primo incontro restino ‘incollati’ l’una all’altro. Lei è l’altezzosa direttrice della scuola di danza dell’Opera Garnier; lui lavora in una ditta di specchi in provincia, gira in skateboard e ha una sorella ossessionata dal ballo (Donzelli stessa). Però una forza misteriosa si impadronisce dei due, al punto che, senza capire come e perché, non possono più separarsi. Da qui una serie di equivoci che porterà entrambi a condividere la vita dell’altro, a conoscere i rispettivi amici e parenti, persino a decidere l’uno per l’altra (e viceversa). E, ovviamente, alla fine scoprono di amarsi, forse. José de Arcangelo