domenica 1 luglio 2007

Festival di Pesaro: Premiata a Pesaro l'opera prima messicana

PESARO, 1 – Dopo la proiezione dell'ultimo film in concorso, "Elvis Pelvis" di Kevin Aduaka (GB), si è chiusa una prima tappa della 43a. Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro con la premiazione in Piazza dei concorrenti al Premio Lino Miccichè e del concorso video L'Attimo Fuggente, riservato agli allievi di tutte le scuole (elementari, medie, superiore, università) per la realizzazione di un corto della durata massima di 3 minuti, a cura di Pierpaolo Loffreda.

La giuria composta dal regista Mimmo Calopresti, dal giornalista Michele Anselmi, dall'attrice Cecilia Dazzi, dalla scrittrice Lidia Ravera e dalla studiosa america Adrienne Mancia ha assegnato il premio per il miglior film al messicano "Familia Tortuga" di Rubén Imaz Castro, uno dei tre maschi registi in una selezione di otto film, e a cui, oltre la targa, vanno i 6mila euro offerti da San Paolo Banca dell'Adriatico. Menzione speciale per il cinese (anche lui maschio) Xiaolu Guo per "How is Your Fish Today?" (Come stanno i tuoi pesci oggi?).

Certo si trattava di una scelta difficile perché tutte le opere presentate erano degne di attenzione e interessanti sia per il contenuto sia per la forma. Una più dell'altra, ma è sempre e comunque un compito non indifferente per la giura trovare un accordo all'unanimità. Secondo noi era "Mayak – Il faro" dell'armeno-russa Maria Saakyan a unire idealmente forma e contenuto, narrazione e poesia, immagine e suoni. Ma non si sa mai, probabilmente prenderà qualcosa dal Premio Amnesty Italia "Cinema e diritti umani", se non sarà "sorpassata" da uno dei tanti interessanti documentari.

Per l'Attimo Fuggente premiati "Sirena", "Frame" e "Punto di fuga", anche se per noi l'ordine poteva benissimo rovesciarsi. Perché l'animazione (un incontro di pugilato dal disegno tradizionale ma riproposto in forma originale) di "Punto di fuga", per noi, meritava più di un terzo posto.

Dicevamo dell'ultimo film in concorso, "Elvis Pelvis" dell'inglese d'origine nigeriana Kevin Aduaka. Un dramma in due episodi collegati, oltre che dal rapporto padre-figlio, da uno dei personaggi principali, girato un po' alla Cassavetes (il maestro John, ovviamente), se non altro nel modo di filmare/riprendere, ma con gusto contemporaneo e ritmo – forse troppo lento nella seconda parte – alternato. La prima parte, "The Suit", narra le vicende di una famiglia londinese di colore nei primi anni '80, con un padre ossessionato da Elvis (Presley of corse) che costringe – anche con la violenza fisica ‑ il figlio di dieci anni a conciarsi come il suo mito, che invece preferisce Jimi Hendrix. Nella seconda, "The Messiah", 17 anni dopo, il giovane Derek, tormentato dal passato, vaga per strada in cerca della propria salvezza e si aggrappa, come farebbe un figlio, al padre della storia precedente.

"Da regista – dice Aduaka – ciò che è importante è la presentazione delle situazioni e di seguito, delle idee – spesso fino a un punto nel quale gli elementi si legano casualmente – quasi come degli errori. Sono disinteressato a quelle storie racchiuse in se stesse/compiute con trame e/o colpi di scena e brividi scontati."

Per "Sos Europa.Doc"­‑ ricca ed eterogenea sezione curata da Iris Martin Peralta e Mazzino Montanari ‑ si è visto "Welcome Europa" di Bruno Ulmer (Francia) che affronta il tema dell'immigrazione nel nostro continente (Madrid, Siviglia, Parigi, Marsiglia e Berlino) attraverso interviste-pedinamenti degli immigrati stessi: marocchini, rumeni, curdi. Non solo. Senza intervenire, tranne che per il prologo – vera e propria fiction dichiara Ulmer – in cui mentre una voce fuori campo legge la lettera (questa sì autentica) alla madre, un ragazzo curdo tenta il suicidio, il regista da voce a questi disperati che ci dicono perché sono emigrati, cosa si aspettavano dall'Europa, come ci vedono. Vengono fuori in questo modo contraddizioni e ambiguità, nostre (e delle nostre istituzioni) e loro.

Presentato dopo "Gli invisibili – Esordi nel cinema italiano 2000-2006", il documentario di Christian Carmosino, Enrico Carocci, Pierpaolo De Sanctis e Francesco Del Grosso, realizzato l'anno scorso in occasione dell'evento speciale "La meglio gioventù" e a cura di Vito Zagarrio. Il tema è la difficile strada dei giovani esordienti, dalla produzione alla distribuzione, questo l'ostacolo più difficile da superare. E perciò, una volta ultimato, il film diventa "invisibile".

Conclusa la retrospettiva dedicata all'eccentrico e visionario regista spagnolo Ivan Zulueta con tre cortometraggi in Super8, girati nel 1976: "Fiesta", "A malgam A" ed "El mensaje es facial". Tre lavori sperimentali per "giocare" con colori, forme, musica e rumori che lo collocano tra i precedenti illustri del giovane francese Jean-Gabriel Périot, di cui si è vista una selezione dei suoi lavori video. I suoi, ovviamente, realizzati con le nuove tecnologie si presentano in confronto più "puliti", anzi patinati, ma ci fanno capire i passi da giganti che ha fatto la tecnologia (dell'immagine).

Oggi ultima giornata ufficiale del festival (lunedì mattina si chiudono le proiezioni) ma non per questo meno ricca. Ci sono ancora documentari, cinema italoamericano, nuove proposte video, l'ultimo programma Périot, Antonio Rezza e Flavia Rastrella con "Fotofinish 2" (A volte tornano…), l'anteprima in piazza di "Dol" di Hiner Saleem (Kurdistan-Francia-Germania) e, naturalmente, Luigi Comencini su cui si è tenuto ieri un convegno alla presenza della moglie e delle figlie Cristina e Paola, oltre che di critici, studiosi, addetti ai lvori e degli attori Andrea Balestri (l'ex ragazzino di "Pinocchio") e Memè Perlini che ha raccontato di aver incontrato per caso il grande regista sull'ascensore della Rai che, allora, gli propose di collaborare con lui per le scenografie di "Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano". Anni dopo ha recitato in altri suoi film, tra cui "Voltati Eugenio", e Perlini era diventato un affermato regista teatrale.

Dopo l'introduzione di uno dei fondatori della Mostra, Bruno Torri, e del curatore del 21°. Evento speciale Adriano Aprà, curatore anche del volume "Luigi Comencini Il Cinema e i film" (Saggi Marsilio), la figlia Cristina esordisce: "Quando papà sposò mamma non voleva avere figli ma poi si è ricreduto perché siamo diventate carne del suo cinema. Gli piaceva ascoltare gli altri, la vita, studiare le facce, anche perché detestava l'idea del marchio evidente del regista. Non si trattava però di umiltà perché credeva di essere un artista e un grande regista ma non voleva farlo vedere. Nei suoi film voleva documentare le contrarietà della vita, perché tra tante cose insieme la verità viene messa alla prova. E poi sapeva che il pubblico è fatto da persone di diversa cultura e umanità."

La sorella Paola aggiunge: "Non ho mai capito bene la differenza tra autore e regista, so soltanto che papà voleva riuscire ad avere un contatto col pubblico. E ci è riuscito."

José de Arcangelo