giovedì 10 settembre 2009

Battibecchi e polemiche al Lido per "Il grande sogno" di Michele Placido


Anche se ormai siamo arrivati al nono giorno della 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, come di consueto, i film si accavallano e si susseguono irrimediabilmente. Succede pure che qualcuno ci sfugga, che qualcun altro venga dimenticato per ragioni di tempo e/o spazio.

Infatti, nei giorni scorsi – tra George Clooney e i film italiani – era passato, in concorso, il maestro della nouvelle vague Jacques Rivette con il suo secondo film con protagonista Sergio Castellitto, e Jane Birkin, ovvero “Questione di punti di vista” che si può gustare subito in sala. Dal teatro (“Chi lo sa?”) al circo, una commedia che è anche una straordinaria parabola sulle relazioni umane e sull’amore, temi cari all’autore e al cinema d’oltralpe.

Alla vigilia della tournée estiva, il proprietario e fondatore di un piccolo circo muore improvvisamente. Nel tentativo di salvare la stagione, la compagnia decide di rivolgersi alla figlia maggiore, Kate che, nella sorpresa generale accetta. Il caso mette sulla sua strada Vittorio - un manager italiano – che decide di seguirli per qualche tempo, inserendosi sempre più nella vita della compagnia, sino a valicare il confine ed entrare nello spettacolo

Ieri, invece, è toccato al tanto atteso e pregiudizialmente discusso di Michele Placido, terzo in concorso, “Il grande sogno” con Luca Argentero, Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca.

Un dramma – anche se il regista lo definisce commedia – autobiografico, ambientato in Italia nel ‘68, quando i giovani sognavano di cambiare il mondo, quando le regole venivano infrante, l’amore era libero e tutto sembrava possibile. Racconta dell’incontro tra Nicola (Scamarcio, alter ego dell’autore), un bel giovane pugliese che fa il poliziotto ma sogna di fare l’attore; Laura (Trinca), una ragazza della buona borghesia cattolica che sogna un mondo senza ingiustizie e Libero (Argentero), uno studente-operaio, leader del movimento studentesco che sogna la rivoluzione. Tra i tre nascono sentimenti e forti passioni e Laura – divisa fra entrambi - dovrà scegliere chi dei due amare.

La storia si ispira all’esperienza autobiografia dello stesso Placido, agente di polizia che arrivato a Roma decise di intraprendere la strada della recitazione, quello era il ‘suo’ grande sogno. Battibecchi e contestazioni in conferenza stampa che ha raggiunto il clou con l’esplosione del regista alla domanda di una giornalista spagnola (scambiata per americana) che chiedeva come mai il film è stato prodotto da Medusa, come tutti sanno società del gruppo Mediaset, appartenente alla famiglia Berlusconi.

“Berlusconi non so chi sia e nemmeno lo voto, voto da tutt’altra parte. Ma voi mi dovete dire con chi (c….) devo fare i miei film: li ho fatti con la Rai e mi avete contestato, ora con Medusa e protestate ancora”. Dopo, credendo la cronista statunitense, ha parlato del cinema americano che, dopo i misfatti compiuti dal governo Usa ovunque, tenta di recuperare facendo vedere quanto gli americani siano ‘buoni’ e ‘pacifisti’ (come nel film con Clooney), chiudendo il discorso con un “ma andatevene a quel paese”. Ma, dopo la proiezione ufficiale, Placido ha dedicato il suo film all’ex direttore de “L’Avvenire”, Boffo, “una persona che ha lo spirito del ’68”. Sarà, come lo stesso direttore della Medusa, Carlo Rosella che era stato fischiato dai giornalisti, quando aveva esordito con “Anch’io ho fatto il ‘68”. Però sono tanti quelli che dopo averci partecipato hanno ‘cambiato sogno’, dal ‘mondo migliore’ al ‘miglior conto in banca’, oppure al successo ad ogni costo. O no?

Tornando al film, Placido ha dichiarato che la gioventù di allora era “desiderosa di libertà e libera davvero, svincolata da tutto ed altruista. Il ’68 è stato un movimento straordinario che travolse convenzioni ed ipocrisie, sconvolse equilibri decennali, fu un’onda travolgente ed i giovani di allora hanno fatto bene a lottare. Erano motivati ovunque nel mondo e pronti a combattere una società ingiusta sia a casa propria sia nelle lontane e orribili guerra come quella del Vietnam. Un grande movimento e, appunto, come dice il titolo del mio film, un grande sogno”.

Un film pensato a lungo, anzi da una vita, che ha visto l’attore-regista impegnato, corpo e anima, per evitare l’effetto nostalgia. E il rischio, visto le premesse, c’era.

“Non volevo un film nostalgico – afferma l’autore - su quel ’68 che non tornerà più e perciò non è nemmeno diretto ai sessantottini di allora. O, almeno, non sono i principali destinatari. Il film, che è una commedia corale su come eravamo, come ci ribellavamo, come pensavamo, è per i giovani di oggi”.

Placido, allora giovane poliziotto venuto dal profondo sud, c’era ma dall’altra parte della barricata.
E non sognava solo un mondo migliore ma sognava soprattutto una vita diversa: quella dell’attore. Un sogno non facile da trasformare in realtà, per lui povero giovane appena arrivato nella capitale (del cinema) con una pessima dizione, che voleva essere ammesso all’Accademia d’Arte Drammatica e di fuggire da quella Valle Giulia dove, durante i fatidici e celebri scontri, c’era anche lui. Tra i poliziotti.

Però i giovani di oggi “sognano poco o non sognano affatto – conclude Placido - perché non credono quasi più in nulla. O così mi sembra. Per loro un nuovo ’68 sarebbe necessario. E io spero che cambino. Anche per questo ho fatto questo film pensando a loro”.

Oggi erano in programma, in concorso, “Al mosafer” di Ahmed Maher, “Soul Kitchen” del turco-tedesco Fatih Akin, e “La doppia ora” di Giuseppe Capotondi, quarto e ultimo film italiano. Per Controcampo Italiano, “Il piccolo” di Maurizio Zaccaro. Fuori concorso, “L’oro di Cuba” di Giuliano Montaldo, e “Gulaal” di Anurag Kashyap. Nella sezione Orizzonti, “Korotkoye zamykaniye” di Petr Buslov, “Dou niu” di Hu Guan, “Touxi” di Liu Jie, “Wahed-Sefr” di Kamla Abu Zekri, “Dai mon e Cock-Croz” di David Zamagni e Nadia Ranocchi.

Domani, per le Giornate degli autori, ancora un film italiano, “Mille giorni di Vito” di Elisabetta Pandimiglio, dedicato ai (dimenticati) figli delle carcerate.

In Italia c'è chi è condannato al carcere senza avere mai commesso reati: i figli delle detenute. Compiuti tre anni, vengono liberati. Saranno costretti a rientrare in carcere ogni settimana per visitare le madri ancora detenute. Oggi nel nostro Paese sono più di settanta i bambini carcerati senza colpa. Vito è uno di loro. Compiuti tre anni, come prescrive la legge italiana, è tornato libero portandosi dietro il peso di quell’infanzia così particolare.

José de Arcangelo

martedì 8 settembre 2009

Dopo il blitz di Chavez, George Clooney di nuovo al centro dell'attenzione al Lido


Clooney, è sempre Clooney a concentrare l’attenzione di pubblico e stampa, anche al Lido. Prima perché portando con sé Elisabetta Canalis ha confermato voci e rumori sulla loro love story; poi perché è presente (ancora una volta) come protagonista di un film sulla guerra in Iraq, fuori concorso, “The Man Who Stare at Goats” di Grant Heslov, il cui riferimento è “M.A.S.H.” di Robert Altman; infine perché con il gossip ci scherza, scambiando battute con i colleghi e con il giornalisti, dato che Brad Pitt – sempre scherzando - gli ha fatto sapere che è ora di fare outing e dichiarare di essere gay. Ribattute e colpi di scena anche nella conferenza stampa veneziana, dove un ‘giornalista’ – un altro esibizionista della nostra società dell’apparire - si è persino spogliato dichiarandogli il suo amore.

Ma oggi era il settimo giorno di proiezioni alla 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, segno del primo giro di boa della kermesse. Proiettato il secondo film italiano in concorso “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini con Margherita Buy protagonista. Un dramma femminile intenso e toccante che l’autrice di “Le parole di mio padre” costruisce con passione e sincerità. Un riflessione profonda e sincera su maternità e dintorni nel terzo millennio. Importante anche l’altro film in concorso, targato Israele, “Lebanon” di Samuel Maoz, un’altra – amara – riflessione sulla prima guerra in Libano (la stessa del film d’animazione “Valzer con Bashir”), e firmata da un autore che ne ha preso parte, allora ventenne.

Il film presentato nel Controcampo Italiano è “Il compleanno”, opera seconda di Marco Filiberti (“Poco più di un anno fa”) con Alessandro Gassman, Maria de Medeiros, Massimo Poggio, Michela Cescon, Christo Jivkov, Piera Degli Esposti e per la prima volta sullo schermo il fotomodello brasiliano Thyago Alves. Un coinvolgente, emozionante e suggestivo melodramma contemporaneo dagli echi ora viscontiani ora pasoliniani ora sirkiani. Un labirinto di passioni mediterraneo che diventa universale, anche quando a scatenare gelosie, rancori e frustrazione è l’esplosione di un rapporto omosessuale. Perché se fosse stata una relazione fra un uomo maturo e una giovane non sarebbe cambiato nulla, forse. Nemmeno l’epilogo e un finale, per così dire, aperto. Per non parlare del riferimento ai classici, dalla tragedia all’Odissea; dell’ambiguità della bellezza; della nostra società che ci allontana sempre di più gli uni dagli altri. Non è un caso che il regista sia un appassionato, tra l’altro, di musica lirica.

“Difendo con unghie e denti il mio lavorare con severità, libertà ed autonomia – esordisce il regista a proposito della produzione indipendente (Zen Zero con la partecipazione degli Atelier d’écriture Evian éQuinoxe 2207 al Royal Evian Resort) –. La cosa più tragica è che (alla fine ndr) non c’è catarsi, ma la complessità dei rapporti nella cultura giudaico-cristiana dopo duemila anni di storia, oserei dire un dramma proustiano. Non mi interessava la dimensione omosessuale, non ho mai nascosto niente, ma la tensione, l’ambizione di universalizzarlo. E’ la dimensione tragica che mi appartiene. In una società che tende all’omologazione, alla semplificazione dei linguaggi, volevo una forza ontologica superiore, una tensione metaforica”.

Sull’ambientazione, invece, afferma: “La cornice è la spiaggia di Sabaudia ai piedi del Monte Circeo, spazio denso di suggestioni epiche e mitologiche intrise di seduzioni, come quella subita da Ulisse da parte della maga Circe. L’epos è presente in modo inequivocabile nel mio lavoro, è una delle funzioni da me più usate per suggerire un secondo piano di lettura, un altrove che amplifichi il senso di ciò che cerco di fare. Ma Sabaudia è anche un nome che ha rappresentato un ‘mondo’ importantissimo nella recente storia italiana: qui negli anni ’70, alcune tra le voci più importanti della nostra cultura (basti pensare a Moravia, Pasolini, Bertolucci e la Maraini) si davano appuntamento e qui sono nate opere fondamentali per il cinema e la letteratura di quegli anni. Di quel clima e dei suoi valori estetici e culturali, i protagonisti del mio film hanno nostalgia, una nostalgia che rimanda alla loro adolescenza, ma anche, indirettamente, a quello che è stato l’ultimo momento possibile di una classe intellettuale, portatrice di istanze capaci di compenetrarsi con la società. Mi emoziona molto l’idea che questo film possa essere letto come una metafora dell’occidente o anche solo del mio Paese, teatro di passività e di omertà”.

“Poeti” di Tony D’Angelo – che sarà invece presentato domani, sempre nel Controcampo - è un singolare viaggio nella poesia nascosta e metropolitana per raccontare Roma attraverso le immagini e le parole dei due protagonisti: Biagio Propato e Salvatore Sansone. Biagio e Salvatore non si vedono da anni e si incontrano per caso una mattina al cimitero acattolico di Roma dove entrambi sono andati per visitare la tomba di Gregory Corso, poeta Beat che trascorse gli ultimi anni della sua vita declamando poesie a Piazza Campo de’ Fiori. I due conversano sulla poesia, sui tempi moderni e si chiedono se mai si ripeterà un evento come quello di Castelporziano dove nel 1979 i poeti di tutto il mondo si riunirono in una grande Woodstock della poesia. Decidono di provare ad organizzare un Grande Reading con i poeti underground, quelli che popolano le cantine notturne di San Lorenzo, ma anche poeti come Elio Pecora, Maria Luisa Spaziani…

In serata un gran numero di poeti affollerà la terrazza dell’Excelsior per declamare poesie, dando vita a un Reading ispirato allo storico evento di Castelporziano nel ’79 che richiamò centinaia di poeti underground, e di cui si racconta nel film. Declameranno i loro versi i poeti Cony Rey, Silvia Bove, Eugenia Serafini, Giovanni Minio, Paolo Pagnoncelli, Gabriele Peritore, Marco Orlandi, Domenico Alvino, protagonisti de “Poeti”. Non solo: anche altri scrittori parteciperanno al Reading, come Melissa P e Francesca Ferrando. Ma chiunque potrà essere poeta per una notte. Tutti quelli che vorranno dare voce al poeta che è in loro potranno nel corso dell’evento chiedere spazio per la loro lettura.

I giornalisti cinematografici del Sngci hanno promosso in mattinata un incontro su Pietro Bianchi con l’ultimo saggio firmato da Tullio Kezich e con i primi 12 minuti del documentario in via di realizzazione, sulla figura e l’opera del critico. E’ stato quindi un doppio ricordo d’autore, l’incontro che il Sindacato ha dedicato con l’Eni, per presentare in anteprima il libro appena pubblicato, e l’Associazione Laminarie (che sta producendo il documentario) a Pietro Bianchi, il grande critico al quale è dedicato il Premio che i giornalisti cinematografici consegnano ogni anno al Lido in collaborazione con la Mostra (per il 2009 è andato a Citto Maselli).

Il libro: È la raccolta di un decennio significativo di recensioni cinematografiche, quelle che Bianchi scrisse tra il 1955 e il 1964 per Il Gatto Selvatico, la rivista dell’Eni diretta in quegli anni da Attilio Bertolucci. Sabato prossimo, 12 settembre sarà presentato dall’Eni ufficialmente al Festival delle letterature di Mantova. Il Sngci ne anticipa alla Mostra il “battesimo” per il mondo del cinema.

Ma ieri è stata la giornata del presidente venezuelano Hugo Chavez che si è catapultato al Lido dietro invito del regista Oliver Stone che gli ha dedicato il documentario (fuori concorso) “South of the Border”. Il capo di Stato, in visita non ufficiale, ha risposto cantando l’inno nazionale a un giornalista venezuelano che ne intonava i primi versi, poi – a proposito del film – ha affermato che illustra “parte della verità sul rinascimento in atto in Sudamerica” e, infine, ha replicato “non sono un demonio come dicono, ma solo un essere umano e non favorisco il narcotraffico né il terrorismo come affermano negli Usa”. Però, ha concluso, “Obama mi sembra un uomo diposto ad unirsi per cambiare e salvare il mondo dal disastro totale che stiamo vivendo”. E, anche lui – pur ammirando la Loren e la Cardinale -, ha riconosciuto di essere stato innamorato della Lollo.

José de Arcangelo

domenica 6 settembre 2009

Festa per il Leone d'Oro a John Lasseter e alla Disney-Pixar, ma anche tanti film al Lido


Quinto giorno per la 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e giornata dedicata alla Disney Pixar, visto che il Leone d’oro alla carriera è stato consegnato da George Lucas – alle 16.30 in Sala Grande - al regista John Lasseter (e ai suoi colleghi), pioniere e fautore dei più grandi successi dello straordinario sodalizio dei due studios, tra classicità e rinnovamento, del cinema d’animazione. Infatti, sono stati proiettati alcuni dei loro capolavori come “Toy Story” e “Toy Story 2” nella nuova versione 3-D, “Alla ricerca di Nemo” e “Gli incredibili”. Festa per i bambini con la presenza dei loro eroi ‘in carne e ossa’, si fa per dire visto che sono sempre delle ‘controfigure’, e per i gadget, come è tradizione in casa Disney.

Tra i film in programma oggi, due in concorso, “White Material” di Claire Denis e l’atteso, nuovo documentario, Capitalism: A Love Story” di Michael Moore che ricostruisce la storia dell’economia americana, attraverso la recente crisi e il, discusso, salvataggio delle banche da parte del governo. Nella sezione Orizzonti, il brasiliano “Insolaçao” di Felipe Hirsch e Daniela Thomas, il vietnamita “Choi voi” di Thac Chuyen Bui, e il documentario svizzero “Hugo en Afrique” di Stefano Knuchel. Nella stessa sezione, ieri, è stato presentato, tra gli eventi, il documentario di Pappi Corsicato “Armando Testa – Povero, ma moderno”.

L’autore, a proposito del suo mediometraggio, afferma: “Gran parte del lavoro di Armando Testa, è un cardine della mia memoria visiva. Grazie al materiale d’archivio ho potuto riscoprire ed approfondire la produzione di un genio, vero precursore della Pop Art. Il suo stile che fondeva e rielaborava arte, moda, cinema e design, era quello che solo molti anni dopo è stato etichettato come ‘Postmodern’. Ho cercato di raccontare il suo mondo, dialogando con le sue mitiche invenzioni utilizzando la ripresa ‘passo uno’, tecnica che Testa utilizzò per primo in spot pubblicitari. Testa si definiva ‘povero ma moderno’, coniugando due concetti apparentemente antitetici. Nella sua poetica questi due elementi, povertà e modernità, si fondono grazie ad una creatività e uno stile di vita pervasi di ironia e fantasia, proiettati verso il futuro”.

Proiettato anche “La Boheme” di Werner Herzog, ovvero l’opera pucciniana ambientata tra i Mursi, una popolazione del sud-ovest dell’Etiopia, che acquista così una nuova forza enigmatica. Oggi invece, sempre per gli eventi, “The Death of Pentheus” di Philip Has, versione cinematografica di un’installazione artistica esposta per la prima volta al Kimbell Museum.

Ispiratasi a un’antica coppa greca, i cui dipinti celebrano il dio Dioniso, la pellicola ha un formato tondo. All’inizio, si vedono gli uomini e poi il dio e i suoi satiri mentre raccolgono l’uva. I vasai danno forma e cuociono le coppe, e l’artista Douris dipinge scene della storia di Penteo, che si oppone al culto dionisiaco. Dioniso invita Penteo a guardare le menadi di Tebe, nascosto dalla cima di un albero. Le menadi lo scorgono e, in preda a una cieca frenesia estatica, gli lacerano le membra una a una, credendolo un animale. Persino Agave, madre di Penteo, non lo riconosce. Il padre di Agave, a palazzo, le rivela a chi appartiene la testa riportata dai boschi.

Ma, negli ultimi due giorni, sono passati altri due film italiani, accolti calorosamente da pubblico e critica, nella sezione Controcampo italiano: “Dieci inverni” di Valerio Mieli con Isabella Ragonese, lanciata da Virzì in “Tutta la vita davanti”, e Michele Riondino. Ambientato nel 1999, è la cronaca di un incontro e della nascita di un rapporto tra due giovani, lungo dieci anni. In “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli, facciamo un tuffo negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, per un dramma familiare delicato e toccante, o meglio la storia di una donna dall’infanzia alla maturità, sullo sfondo dei viaggi spaziali e dell’impegno politico, non a caso la regista firma anche il cortometraggio “Sputnik”.

Oggi, invece, è toccato al documentario “Negli occhi” di Francesco Del Grosso e Daniele Anzellotti, ritratto del grande attore – fra teatro e cinema - Vittorio Mezzogiorno. Il racconto – intenso e sentito - attraverso la voce della figlia Giovanna e di chi l’ha conosciuto. Ma anche aneddoti, fotografie, immagini di repertorio, filmati e le musiche di Pino Daniele.

Nella Settimana Internazionale della Critica è stato passato l’altra sera il russo “Come gli scampi” di Ilya Demichev, tra dramma e commedia grottesca – e il dichiarato riferimento a Gogol, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita -, il racconto di un intenso rapporto tra un cinquantenne funzionario sposato e la giovanissima impiegata di una libreria di Mosca. Fra sentimenti e sorrisi, fra crisi e armonia una riuscita storia quotidiana, ricca di sfumature e di sana ironia, che pian piano diventa sempre più toccante e universale. Ieri è stata la volta di “Domaine” (Dominio) di Patrick Chiha, mentre oggi è passato l’italiano “Good Morning Aman” di Claudio Noce.

“Una Roma multietnica fa da sfondo a una storia che scava nelle vite di un giovane somalo – si legge nella presentazione -, che sogna di vendere auto mentre è relegato alle pulizie della concessionaria, e di un ex pugile segnato dal dolore più che dai pugni presi sul ring. Il loro incontro appare inevitabile. E’ l’incontro di due anime in pena, una tesa a dare un senso alla propria esistenza, l’altra a chiudere i conti con il passato per poter riprendere a vivere. Entrambi dunque viaggiano nella stessa direzione, in cerca di un evento dirompente in grado di scuotere un presente ripetitivo e senza sbocchi. Ma la loro amicizia non è priva di sofferenza, si dipana infatti attraverso una serie di scontri verbali e fisici che rendono impossibile distinguere la personalità dominante da quella dominata. Intorno a loro figure di un universo non meno dolente: la famiglia di Aman, la ragazza vittima del fidanzato violento, la ex moglie di Teodoro, gli amici della palestra pugilistica. Roma è definitivamente una città aperta dove tutti sono stranieri accomunati dalla speranza di un futuro migliore. Lo sguardo di Noce è lucido e impietoso eppure al contempo partecipe e avvolgente, sorretto da uno stile sorprendentemente maturo al punto da permettersi di citare apertamente Pasolini senza rischiare la maniera”.

José de Arcangelo

venerdì 4 settembre 2009

Al Festival di Venezia l'Italia attraverso l'obiettivo del documentario


Terzo giorno di proiezioni alla 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e apertura della sezione Controcampo italiano con “Dieci inverni” di Valerio Mieli. Ben tre i film in concorso presentati: “Lourdes” dell’austriaca Jessica Hausner, “Bad Lieutenant” (Il cattivo tenente) di Werner Herzog – arrivati ieri sera i protagonisti Nicolas Cage e l’affascinante Eva Mendez - e “Lei wangzi” di Yonfan. Fuori concorso, “Valalla Rising” di Nicolas Winding Refn ed “Ehky ya Schahrazad” di Yousry Nasrallah. Nella sezione Orizzonti, “Viajo porque preciso” (t.l. Viaggio perché ne ho bisogno) di Marcelo Gomes e Karim Aïnouz, “Dowaha” di Raja Amari, “Francesca” di Bobby Paunescu, di cui ne abbiamo parlato ieri, e “Il colore delle parole” di Marco Simon Puccioni.

A proposito di “Videocracy - Basta apparire” (da oggi nelle sale distribuito da Fandango), non solo ha scatenato la polemica (della maggioranza al governo) e il divieto per il trailer in tivù (leggi Rai e Mediaset), ma ha affollato le sale dov’è stato proiettato al Lido.

Ecco le parole del regista: "In una videocrazia la chiave del potere è l’immagine. In Italia soltanto un uomo ha dominato le immagini per più di tre decenni. Prima magnate della tivù poi Presidente, Silvio Berlusconi ha creato un binomio perfetto caratterizzato da politica e intrattenimento televisivo, influenzando come nessun altro il contenuto della tv commerciale in Italia. I suoi canali televisivi, noti per l’eccessiva esposizione di ragazze seminude, sono considerati da molti uno specchio dei suoi gusti e della sua personalità".

“Comunque la si pensi – ha dichiarato il direttore della Settimana Internazionale della Critica Francesco Di Pace - è un film che andava mostrato perché denuncia il potere che la tv ha sulla nostra società e sulla nostra cultura, quello che produce nella gente e come ne condiziona i comportamenti”.

Ma oltre al lucido e sorprendente, ma vero, documentario del regista italo-svedese, è stato presentato - nelle Giornate degli autori - “L’amore e basta” di Stefano Consiglio (anch’esso nelle sale da oggi, prodotto e distribuito da Lucky Red) che affronta senza retorica né rimaneggiamenti un altro argomento scottante attraverso le storie d’amore di nove coppie gay e lesbiche, non solo italiane, anzi europee.

Introdotto da Luca Zingaretti – che recita un testo di Aldo Nove – e intervallato da brevissimi film d’animazione di Ursula Ferrara, l’opera di Consiglio ci racconta le storie di Alessandro e Marco, due studenti universitari di Catania; delle quarantenni Nathalie e Valérie (e la loro figlioletta Sasha) che vivono a Versailles; di Catherine e Christine, due sessantenni parigine che stanno insieme da vent’anni; di Lillo e Claudio che, da diciassette anni, convivono a Sutri, un paesino vicino Roma; dei quarantacinquenni berlinesi Thomas e Johan; di Emiliana e Lorenza che stanno felicemente insieme nella loro bella casetta nella Bassa Padana; di Gino e Massimo che portano avanti un sodalizio amoroso e professionale da ben trent’anni nel loro negozio/laboratorio di oggetti in pelle nel cuore di un quartiere popolare di Palermo; di Gael e William che, invece, vivono e lavorano insieme nel loro ristorante del 14° arrondissement di Parigi; delle coniugi spagnole Maria e Marisol (legalmente unite in matrimonio non appena è stato possibile) che vivono in campagna a Vic, vicino Barcellona, con la loro prole formata da un maschietto di circa otto anni e due gemelline di sei.

Il regista ricorda come è nata l’idea. “Stavo ultimando – dice – il mio documentario sui bambini ‘Il futuro – Comizi infantili’, e tutt’ad un tratto mi sono risuonate nella mente le parole di una bambina e di un bambino di 12 anni che, interrogati sul tema dell’omosessualità, mi avevano dato una risposta tanto semplice quanto inequivocabile. Lei: ‘Se loro si vogliono bene… è certo che quello che vogliono fare lo fanno. Cioè se si vogliono bene si fa di tutto per uno che si vuole bene’. E lui: ‘Ci sono certi che sono di sesso diverso che non si amano tanto come certi che sono di sesso uguale… Un uomo che ama un altro uomo può amarlo più di una donna che ama un altro uomo”.

Un documentario che parla soprattutto di amore (come da titolo) e di coppia, ma illuminante soprattutto perché usa, appunto, quella spontaneità e quella freschezza tipiche dei bambini. Però anche un film per chi ancora non capisce, o non vuol capire, che la vita privata degli altri non dovrebbe interessarlo, così come non comprende che negando agli altri i diritti che appartengono a tutti non si fa altro che fomentare la violenza e il razzismo, e si condanna ancora una volta i bambini a restare orfani o vittime dei maltrattamenti e degli abusi, di solito commessi dai cosiddetti eterosessuali. Infatti, non è una novità, anzi è accertato che la pedofilia non c’entra niente con l’omosessualità.

E il film colpisce perché sono i diretti interessati a parlarne, senza nessun intervento del regista, tranne quello di cogliere il succo della questione, attraverso un montaggio efficace e una durata che non arriva all’ora e mezza. Da vero ascoltatore/spettatore.

La 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica ha ricordato in mattinata lo scrittore, commediografo, produttore e critico cinematografico Tullio Kezich, recentemente scomparso, con la proiezione del film “Il terrorista” (1963,), opera prima di Gianfranco De Bosio. Il film, girato proprio a Venezia e presentato alla 24a. Mostra, è tra i primi film prodotti da Kezich con la 22 dicembre, la casa di cui fu direttore artistico, da lui fondata il 22 dicembre 1961 insieme a Ermanno Olmi, dopo aver collaborato alla sua opera prima “Il posto”.

Attiva fino al 1965, la 22 dicembre ha prodotto anche le opere prime di Eriprando Visconti, “Una storia milanese” (1962, presentata alla 23a. Mostra) e di Lina Wertmüller “I basilischi” (1963), oltre a “I fidanzati” di Olmi (1963), “La rimpatriata” di Damiano Damiani e “L'età del ferro” di Roberto Rossellini, suo primo film televisivo.

José de Arcangelo