venerdì 31 agosto 2007

Festival di Venezia: L'Iraq di Brian De Palma e le multinazionali di Clooney

VENEZIA, 31 – Dopo il trio Branagh-Caine-Law, oggi è toccato all'amato George (Clooney) – sbarcato al Lido ieri sera ‑ presentare il film in concorso da lui interpretato e prodotto (con Soderbergh e C.), accanto a Tilda Swinton, Tom Wilkinson e Sydney Pollack, scritto e diretto da Tony Gilroy: "Michael Clayton". Un legal thriller che oltre alla denuncia delle malefatte delle multinazionali, tenta il ritratto psicologico delle persone che ne sono coinvolte nel bene e nel male, in buona fede e non. Soprattutto gli avvocati dello studio legale che le difendono, ma anche quelli delle corporation stesse.

"Ho aspettato molto tempo – afferma il regista ‑ per realizzare questo film. Forse questa storia è stata influenzata da quel percorso di attesa più di quanto non pensassi all'inizio. Questo era il progetto personale che continuavo a lasciare in disparte per tutte le pseudo-emergenze che mettono il tuo tempo e la tua fantasia in mani altrui. Poi finalmente ho capito che stavo rimandando una cosa che per me era molto importante per risolvere le incombenze di chiunque altro. Michael Clayton è giunto a un punto della vita in cui le poche decisioni che prenderà in futuro determineranno tutto quanto lo riguarda. Come compiamo queste scelte – in che modo la paura, l'inerzia e l'autoconservazione ci rendono vittime dell'ingranaggio: è questo il carburante di questa storia. Il motore è, come sempre: E poi, che succede?".

"Anche il cinema degli anni Settanta – aggiunge – cercava di raccontare il disagio morale attraverso la denuncia, ma io ero più curioso delle persone intrappolate in questo sistema. Non sono in grado di pensare le cose in grande".

"Chi sono io? – esordisce scherzando Clooney ‑, ci sto ancora pensando. Michael (il protagonista del film, "risolutore" dello studio legale ndr) si esprime meglio quando prende con sé le persone. Quando è in crisi inizia a porsi domande, ma ormai ha usato tutte le sue opzioni, è intrappolato. Perciò il personaggio mi è interessato subito". Poi elogia i colleghi Tilda (Swinton) e Tom (Wilkinson) che "sono così bravi che ti intimidisce lavorare con loro".

A proposito dello spot del caffè della Nestlé, discussa multinazionale, che lo meterebbe in contraddizione con la sua lotta ecologico-democratica, il bel George resta quasi senza parole, sembra preso in fallo e l'aggiusta col classico "Chiedo scusa, però bisogna guadagnarsi da vivere. In futuro cercherò di consigliare".

Sul regista esordiente lancia un ironico "Non mi piace", per poi confessare: "Si è dimostrato in grado di gestire benissimo 150 persone sul set. La sua sceneggiatura è ottima, è stata un'esperienza perfetta ad eccezione – scherza ancora – che è più bello di me".

E Gilroy ribatte: "Da tempo volevo fare il regista ma non volevo debuttare con un film qualsiasi o per un grande studio. Perciò l'ho scritto e messo da parte perché funzionava bene e volevo giostrarmelo al meglio. Ho aspettato e lottato per poterlo fare. Non credo ci siano studi legali 'buoni e cattivi'. Accettano la causa e difendono qualcuno o qualcosa. In questo caso c'è qualcosa di cattivo da coprire". Infatti, al centro del film c'è un concime che alla lunga contamina l'acqua e provoca il cancro nei contadini.

"Il film è chiaro fin dall'inizio – esordisce Tilda Swinton, già attrice feticcio di Derek Jarman ‑, cerca gli esseri umani all'interno degli uffici (dello studio e della multinazionale ndr). Quando ho letto la sceneggiatura ho capito che andava fatto, cattivo donna uomo che sia, volevo capire come si guardano in faccia la mattina. Per esempio lei in bagno, suda, poi sembra mettersi addosso un'identità pubblica, quella che usa per assumere il suo posto nella catena di comando".

"E' figlia di un soldato – aggiunge Gilroy – e riesce a fare cose disumane, è lei che prende ogni decisione e cerca di identificare il senso umano. Poteva benissimo essere un uomo, perché cerca di essere la persona giusta nel momento giusto".

Nonostante tutto, il film ha un finale ottimista. "Un finale agrodolce – conclude il regista ‑, ma la posta in gioco è alta". E si parla del nuovo film di Gilroy, sempre con Clooney protagonista e produttore, anzi "un partner" come dice l'autore. Sarà un po' (Una squillo per l'ispettore) "Klute", un po' "Quinto potere", quindi, un po' anni Settanta.

Anche Brian De Palma ha presentato il suo nuovo film – girato interamente in digitale ‑, insieme ai giovani produttori (indipendenti) e attori, non ancora noti, anche perché parla di un fatto di attualità come la guerra dell'Irak attraverso la vita quotidiana dei soldati americani: "Redacted".

L'idea è venuta al regista italo-americano facendo una ricerca su Internet dove ha scoperto che tra siti, blog e chat si vengono a sapere fatti e a vedere immagini su quella guerra che i grossi mass media nemmeno nominano. "E volevo raccontarle a un pubblico più ampio – esordisce ‑. Il film è un tentativo di mostrare la realtà di quello che sta succedendo agli americani in Iraq, di portarlo alla luce per il grande pubblico. La difficoltà è entrare nel mondo di una difficile legalità. Qualcosa ho trovato su Internet ed è reale, ma se lo inserisce in un film rischi di essere denunciato. Le foto non passano attraverso questo processo finché non passano in redazione. Adesso non possiamo mostrare le foto di persone che soffrono".

"Mi piacerebbe – continua – che avessero un'influenza sul pubblico. Non vediamo queste immagini, sono lì ma non sui mass media. E così ho chiesto datemi le foto che non potete pubblicare. Mi ricordo una rivista con immagini orribili sul Vietnam (non a caso De Palma ha realizzato negli anni Ottanta, qualcosa di simile con "Vittime di guerra" ndr), forse se portassimo queste immagini al grande pubblico otterremo qualcosa. Spero che queste immagini facciano arrabbiare il pubblico da indurlo a chiedere al governo di mettere fine a questa guerra. Gli architetti di questa guerra erano allora lì, nel Vietnam. Se fossimo rimasti forse avremo vinto, non si sa".

"Mai visto immagini di questo genere – afferma Robert Devaney, uno dei protagonisti ‑. Ho provato tanto rimorso, soprattutto pensando a mio figlio, a mia moglie incinta. Ma ho soprattutto improvvisato".

"Ad una prima proiezione su Internet – dichiara l'altro protagonista Patrick Carroll – ho visto soprattutto alcune immagini concentrate sul fatto. Hanno fatto la cosa giusta (inserendole on line ndr) e hanno avuto delle giuste risposte. Sono fiduciosi che possono dire le cose come stanno. La gente vede la vicenda come viene rappresentata dai mass media. La gente crede a quel che vede, al reality show. E' vero siamo circondati da telecamere ma è una realtà costruita, le immagini sono ricostruite ripulite".

"Redacted è qualcosa che non vediamo ‑ dice Jason Kliot, uno dei quattro produttori ‑, un po' come lettere inviate durante la guerra che venivano ripulite, censurate. Ed è una ripulizia legale. La realtà si vede nelle immagini prima di essere rilasciate dalla censura economico-legale."

Infatti, aggiunge De Palma, "c'erano dei vincoli legali e cercavano delle clausole che ci salvassero, fare una versione nuova. In America tutti poso fare causa a chiunque e la ripulizia seconda la legalità tocca a tutti. Ma dovevamo usare nostre immagini e perciò abbiamo ricostruito. Possiamo prendere del materiale reale e renderlo emotivo, commovente. Ma è molto difficile mostrare la noia senza annoiare il pubblico, perché sono le azioni ripetitive della vita quotidiana".

A questo proposito il regista trova un riferimento in Stanley Kubrick, "Barry Lyndon" e le sue musiche. "Kubrick – conclude De Palma – rallentava il battito cardiaco del film, così come Sergio Leone rallentava i movimenti nella scena iniziale di 'C'era una volta il West'".

Iniziata ieri, è proseguita oggi con "Im Sturm der Zeit – Facts & Fakes" la monografica dedicata ad Alexander Kluge, ovvero 75, perché anche il regista tedesco ha la stessa età della mostra, ma dimostra ancora la vitalità e la voglia di sperimentare di un ragazzino. Il film, preceduto da una serie di "corti" presi in prestito dal cinema muto tanto amato dall'autore, per poi passare al Reichstag, la sede del parlamento tedesco, coperto da Cristo con dei teli bianchi e così purificato dai fantasmi del suo passato. Una settimana di ripresa accelerata in condizioni climatiche di forte variabilità. Una guardia del corpo di Hitler racconta la sua esperienza; poi gli animali dello zoo sono vittime di un bombardamento; mentre ad alta quota una misteriosa muffa cresce nei serbatoi del Concord; e, infine, durante il G8 del 2007, uomini rana proteggono dall'acqua il luogo della conferenza a Heiligendamm sul Mar Baltico. Incredibile, forse, ma vero il tono del racconto si fa man mano sempre più ironico e grottesco, mettendo in ridicolo manie e vizi della nostra società.

Sono già arrivati protagonista e regista del primo italiano in concorso "Nessuna qualità agli eroi" di Paolo Franchi con Elio Germano e domani incontreremo il cast di "In the Valley of Elah" di Paul Haggis ("Crash"), ovvero Tommy Lee Jones, Charlize Theron e Susan Sarandon, quello del francese "Les Amours d'Astrée et de Céladon" di Eric Rohmer, Rutger Hauer che accompagna la versione restaurata di "Blade Runner: The Final Cut" e Spike Lee.

José de Arcangelo

giovedì 30 agosto 2007

Festival di Venezia: Dopo Ang Lee e Kitano, al Lido Clooney e De Palma

VENEZIA, 30 – La 64a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia è entrata oggi nel pieno delle sue attività, e ormai le proiezioni si accavallano e le conferenze stampa sono così affollate che molti di noi sono rimasti fuori, nonostante la fila, anche perché tutti gli accrediti stampa non sono uguali (tranne nel costo) mentre il lavoro è duro per tutti. Anche se si rivela più duro per altri, perché devono seguire le conferenze da un piccolo grande schermo e senza fare domande.

Dopo il mélo-noir di origine letteraria "Espiazione", è stato il turno di quello di Ang Lee, sempre in bilico tra ragione e sentimento. Infatti, con "Sie, jie - Lust, Caution", e dopo il Leone d'Oro vinto con "Brokeback Mountain", il regista cinese-americano si ripropone due anni dopo ancora in concorso.

Stavolta però il melodramma è interamente cinese, ambientato nella Cina dell'occupazione giapponese negli anni Quaranta, tra Shanghai e Hong Kong.

Tratto dal romanzo di Eileen Chang, nota da noi col nome cinese Zhang Ailing, narra la storia della giovane Wang Chiah-Chih che dopo uno spettacolo patriottico viene coinvolta in un pericoloso gioco di intrighi e tradimenti con Mr. Yee, un potente uomo politico e feroce collaborazionista. E così il mèlo-thriller diventa pian piano spy story, poi dramma sentimental-erotico, infine crudele love story. Non a caso a proposito delle scene di sesso si è tirato in ballo persino "Ultimo tango a Parigi", ma si potrebbe ricordare anche "Il portiere di notte" visto che in fin dei conti si tratta di un rapporto vittima-carnefice, anche se il gioco dei ruoli si confonde sempre più tra finzione e realtà, tra recita e vissuto. Perché lei deve sedurre l'apparentemente calmo e dolce assassino di partigiani e patrioti affinché il gruppo di giovani idealisti lo possa far fuori. Solo che la "recita" dura troppo e la bella Wang Chiah-Chih, diventata l'affascinante signora Tai Tai, dovrebbe reprimere passione e sentimenti. Perciò il titolo, traducibile come "Voglia sfrenata, prudenza" non è riferito solo all'amore e al sesso, ma soprattutto alla vita.

Protagonisti sono l'esordiente Tang Wei, di cui ne sentiremo giustamente riparlare, e il celebre Tony Leung, attore feticcio di Wong Kar-wai, che ha già lavorato con lo stesso Ang Lee ma anche con i maggiori registi cinesi, tra cui Chen Kaige e Zhang Yimou, qui in un ruolo insolito perché ambiguo e negativo. E' il "cattivo" di turno per intenderci.

"Nessun'altra storia di Eileen Chang – dice Ang Lee – è tanto bella e crudele quanto "Se, jie". Ha rivisto il testo per anni e anni – se non per decenni – ritornandoci sopra come un criminale a volte torna sul luogo del delitto, o una vittima ricostruisce un trauma subito, raggiungendo il piacere solo variando e immaginando nuovamente il dolore. Nel girare il film, non abbiamo semplicemente adattato "Se, jie", ma l'abbiamo ricostruito proprio come fanno i suoi personaggi mentre recitano, adattandosi alle loro parti. Chang ha inteso la messinscena e la mimica come qualcosa che è brutale di natura: gli animali, come i suoi personaggi, si mimetizzano per sfuggire ai predatori e per attirare le loro prede. La mimica e l'esibizione sono anche dei mezzi per aprire noi stessi, come esseri umani, a grandi esperienze, a rapporti umani indescrivibili, a significati più elevati, all'arte e alla verità".

Approdati assieme al film "Sleuth", il regista Kenneth Branagh, e i protagonisti Michael Caine e Jude Law (anche produttore). Un remake (dell'omonimo film di Joseph L. Mankiewicz, con lo stesso Caine giovane e sir Laurence Olivier, da noi "Gli insospettabili") che non è un vero remake come affermano gli illustri ospiti a tre voci. Infatti la commedia e la sceneggiatura di Anthony Shaffer è stata riscritta dal premio Nobel Harold Pinter che non solo l'ha adattata e aggiornata – in realtà è una storia senza tempo – ma la ripropone da un punto di vista completamente diverso.

"E' stato Jude Law a contattarmi – confessa Branagh – chiedendomi se volevo dirigere un film a cui stava lavorando, una sceneggiatura di Harold Pinter, con protagonisti Michael Caine e se stesso. Penso di aver accettato ancor prima che avesse terminato la domanda".

"Volevamo esprimere la nostra ammirazione – dichiara Law ‑, il piacere che ci aveva offerto l'originale, indagando sul punto focale della storia. Con uno sguardo diverso, da un punto di vista diverso".

"Jude e Simon (Halfon, un altro dei produttori ndr) – continua il regista ‑ volevano mettere in luce qualcosa di grande interesse, non legato al tempo: il confronto tra due uomini. E ci siamo concentrati su questo aspetto".

"Se si fosse trattato di un semplice remake – afferma Caine – non l'avrei fatto, anche perché l'originale era un ottimo film. Ma poi ho capito che era completamente diverso, più rigido, e c'è un fatto non indifferente: Pinter non aveva mai visto l'originale e ha lavorato direttamente sulla sceneggiatura".

"Anche se il film originale – continua il grande attore, ora nei panni che furono di Olivier – non l'ho più visto da allora, Jude mi ha costretto a spingermi pericolosamente verso la psicologia di un uomo vittima di una gelosia perniciosa, che alla fine lo fa uscire di testa. E con la seduzione finale, che gli fa constatare di essere gay, arriva l'ultima umiliazione. Allora non ci eravamo spinti fino a quel punto".

"La caratteristica dello scrittore – conclude Jude Law ‑, di Harold, è l'ambiguità. A lui piace lasciare allo spettatore-lettore lo spazio per l'immaginazione, per la fantasia. Infatti, Harold pensava al film come lo scontro tra due uomini in guerra per qualcosa che però alla fine scordano, e lottano solo per vincere".

E riguardo il confronto con Caine, visto che in passato ha interpretato anche il remake di "Alfie", il film che lo aveva lanciato quarant'anni fa, dice: "Mi piacerebbe essere all'altezza di Michael. 'Alfie' è stata una sfida e l'ho accettata perché era un ruolo che non avevo mai interpretato prima. In questo caso invece, ero così coinvolto nel ruolo di produttore che non avevo ancora pensato alla parte. Ma prima delle riprese ho capito che era un ruolo eccezionale".

Presentata, per la rassegna "Orizzonti – Eventi", l'ultima fatica di Amos Poe "Empire II" che l'autore ha dedicato alla memoria dei due maestri che ci hanno lasciato recentemente: Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni. Ispirata dal classico di Andy Warhol "Empire", un film underground del 1965, dalla Divina Commedia e dal capolavoro di Waltern Ruttman "Berlino: Sinfonia di una grande città" del 1927, l'opera è un lungo esperimento di video arte che ripercorre (in tre ore di proiezione) un anno nella vita di New York, ripreso da un finestra e da un terrazzo che, ovviamente, hanno vista sull'Empire State Building. Poe però non lascia sempre la camera fissa su un'unica inquadratura ma gioca con le diverse angolature, con i colori (virando l'immagine ora sul rosso ora sul blue ora sul giallo), trasformando le immagini con una sorta di effetto solarizzato, fondendo luci e pioggia, riprendendo anche la formicolante vita della strade, riprendendo i fuochi di artificio e i festeggiamenti. Il tutto con una colonna sonora quasi multietnica, ma sicuramente internazionale tra cui rap italiano e canzoni francesi, che ora fa di contrappunto ora si fonde con i rumori quotidiani della strada. Naturalmente un film per cinefili doc.

Due grandi attese per domani, quella del divo George Clooney, ormai di casa anche al Lido, che porta "Michael Clayton", un legal thriller di Tony Gilroy, prodotto dallo stesso Clooney con l'amico Soderbergh, e quella di Brian De Palma che firma "Redacted", entrambi in concorso.

José de Arcangelo