sabato 10 novembre 2012

Roma Film Festival. "Steekspel" di Paul Verhoeven, quando il 'film partecipato' diventa una corrosiva e intelligente commedia, nata dall'ignoto

ROMA, 10 - Uno sperimento davvero riuscito e una scommessa vinta quella di Paul Verhoeven perché "Steekspel" non è solo un progetto speciale, ma una commedia intelligente e divertente che, probabilmente, non vedremo nei cinema italiani. Perché quello che i produttori 'vendono' è il 'format' come accade per i programmi televisivi e i reality show. Partito da 4 minuti di sceneggiatura/filmato iniziale, opera del regista olandese con gli sceneggiatori Kim van Kooten, Robert Alberdingk Thijm, i fan non hanno solo "sceneggiato" le scene successive ma, come dice Verhoeven stesso, hanno contribuito proponendo colpi di scena, parti di scenografia, pezzi musicali, immagini e persino le locandine, visto che sono ispirate alle loro proposte. "E il mio storyboard - prosegue l'autore - è stato pesantemente influenzato dai film che gli 'users' hanno pensato usando la mia stessa sceneggiatura." "Tutto è iniziato dall'idea di fare un film basato sui primi 3/4 minuti e così ci siamo ritrovati con materiale per una ventina di film, se non di più, inviato dal pubblico (i suoi fan ndr.), ma noi lo abbiamo utilizzato in gran parte della sceneggiatura. Ovviamente il tutto è stato poi vagliato e corretto da me e dal mio coautore (lo sceneggiatore van Kooten). Un'esperienza divertente, interessante, una sorta di avventura".

"Ma è stato anche orribile - confessa - perché ci siamo trovati con 700 e-mail e abbiamo dovuto trarre cinque/sei pagine dalle circa diecimila pagine ricevute. Io pensavo magari due o tre sarebbero state eccellenti, idee giuste da poterle poi unire. Invece non è andata proprio così, solo un'illusione. Dopo averle lette tutte ho tratto dei pezzi da 50 sceneggiature che poi ho fuso, ma bisognava trovare il modo giusto per inserirle, tanto che abbiamo addirittura fatto un codice a colori per fondere le diverse idee in un'unica storia. E' stato molto più lungo e difficile di quello che pensavo, però sono stato contento di averlo fatto perché ho avuto una certa libertà, mi sono sentito ringiovanito, non lavorando su niente di fatto, ma su un flusso di idee che ho un po' modificato, perché non avevo niente da perdere. Alla fine ho sentito che essere creativi significa fare un passo nell'ignoto". "Nel secondo episodio c'era un'idea, che però è stata posticipata, visto che alla fine funziona molto meglio; basata sul mio istinto però venuta dal pubblico. Certo ha qualcosa a che vedere con i miei lavori precedenti, riguardo le forbici per esempio, perché lei è una donna insincera. Infatti, alcuni hanno scritto in questo modo, cercando di copiare i miei film, tanto che ogni scena c'era qualcosa di sadomaso ('Basic Instinct' ndr.), ma io invece di tutto ciò ho utilizzato una sola battuta ('mostrami le tette'), mentre chi l'aveva scritta proseguiva con bondage, frustate ed altro.". "Dopo aver girato la prima scena, gli attori non sapevano se si sarebbe continuato il film, quando e come sarebbe andato a finire. E all'inizio hanno dovuto lavorare nell'incertezza". "Non ci ha detto tutto - dichiara il protagonista Peter Blok -, ma la cosa bella è che di solito ti danno la sceneggiatura completa, e spesso sei influenzato dalla fine. Stavolta non ne sapevo niente fino all'ultimo, se il personaggio sarebbe stato padre o no. Ma in qualche modo mi è stato d'aiuto perché mi sono lasciato trasportare dalla corrente, come nella vita, ed è stato più facile. E la motivazione più grande era rendere felice Paul e poter lavorare con lui è stato un privilegio". "Come ho detto all'inizio - riprende il regista -, secondo Heidegger, 'un passo nell'ignoto è quello che va fatto', e se ci pensi persino Adolf Hitler ha tenuto presente questo detto, ma la nazione tedesca non sapeva dove stava andando. Se non sai dove vai diventi creativo, perché devi avere un po' di paura. Essere troppo sicuro di sé, non è il modo giusta; magari lo è per un film di fantascienza perché non c'è libertà, devi seguire uno schema e delle regole. Lavorare in questo modo, invece, mi ha messo su un'altra strada, tanto che vorrei continuare a usare questa tecnica: due telecamere, grandissima libertà, e poter vedere quello che funziona e cosa non va. In questo momento della mia vita è stato fantastico". "Non c'era un piano b - afferma -, sicuramente molti membri della produzione pensavano che non avrebbe funzionato, che non avrei potuto arrivare ad un finale. Ma il pubblico continua a perseguire la stessa strada, e pensa che il film possa durare oltre dieci ore. Strutturare è difficile perché devi fare in modo che dopo 50/60 minuti sia finito. Robert (Alberdingk) ed io volevamo fare in modo che il pubblico affrontasse il finale del film, perciò ci siamo incontrati tutti gli sceneggiatori per pensare insieme alla fine. Alla fine ho dovuto far qualcosa per l'ultima parte, oltre a strutturarere il lavoro del pubblico". "Indipendentemente dalla storia che si racconta - aggiunge - seguire i propri desideri, i sentimenti, la passione è tanto eccitante quanto pericoloso. Certo, molto di questo viene da Alfred Hitchcock che tiene il tuo interesse vivo dall'inizio alla fine del film, ma per farlo deve violare le regole, tanto che ti spinge a pensare che la storia vada in una direzione e poi, invece, va da un'altra. C'è molta ambiguità, per altro amorale, in tutto ciò, ma funziona. Dei Rammstein sono un fan, come una volta lo ero di Bryan Ferry, devo dire che per me è stata una grande scoperta e negli ultimi dieci anni ho seguito tutti i loro concerti, li ho visti a LA ma anche in Olanda. Il loro sound è duro, tosto, ma anche lirico. La prima volta li volevo usare in 'Showgirls' tanto che l'ho proposto alla produzione per la colonna sonora, ma non ho potuto. Li ho conosciuti girando nelle università statunitensi, ma questa è la prima volta che ho potuto utilizzare la loro musica, e nel frattempo tutti sono diventati loro fan". "Io non faccio niente di tutto ciò - dice a proposito della vendita e uscita del film -, sono loro (della produzione ndr.) che stanno tentando di vendere il format in tutto mondo, ma io non prendo neanche un centesimo".
"E' stato realizzato per l'Olanda, proposto al miglior regista - ribatte il produttore -, un 'concept' molto più grande di quelli televisivi o di telefonia mobile. Quando se ne parla con registi negli Usa, in Cina, sono tutti interessati. Paul ha detto che sta reinventando questo progetto. L'idea è quella di parlare con vari registi nel mondo, e cercare di produrre tutta una serie di film con questo metodo". "Ho individuato lo stile nei primi 4 minuti - dichiara il regista -, poi un'attrice, che fa anche la sceneggiatrice, mi ha aggiornato sulla terminologia usata dai giovani oggi e che io non conoscevo. Ho cercato il più possibile di seguire lo stile di Kim, un atteggiamento leggermente (e non solo) amorale che è l'essenza del film. Anche perché le persone tendono a schiacciare le cose sugli altri, addirittura passano sopra certe cose e poi se ne dimenticano. Infatti, la protagonista femminile ha qualche problema coi 'bambini', ma poi accetta le scappatelle del marito". "Chiaramente il ruolo dell'autore è importante - continua - perché senza una sceneggiatura, come regista ho dovuto prendere decisioni che fanno parte della struttura del film, ma la scrittura va affidata a chi la fa di professione, non puoi affidarti ad un chirurgo se non ha la professionalità giusta. Il film è venuto dal pubblico, ma non basta. L'imput è dei due sceneggiatori e il mio. Avevamo tantissime idee, dettagli, particolari sulla scenografia e i costumi venuti dai fan, ma ci deve essere qualcuno che riesca a creare un equilibrio nella struttura. Le regole della drammaturgia non sono ben comprese dal pubblico, ma bisogna mettersi al lavoro sennò la gente si addormenta, ci vuole una certa progressione, delle scene spettacolari, un ritmo efficace. Anche ne 'La Dolce vita' era fatta straordinariamente, perché Fellini la usa, anche se il film è, forse, più psicologico che drammatico". "Il problema del mio libro su Gesù (da cui vorrebbe trarne un film ndr.) - chiarisce - è che ha delle idee di base, ma è fondamentalmente educativo. Abbiamo fatto una bozza di sceneggiatura, ma dopo 3/4 mesi abbiamo dovuto rinunciare, perché prendeva troppo alla lettera il libro e l'adattamento così non funzionava. Bisogna scendere dalla storia, guardarla dall'interno. Ora ho trovato un nuovo sceneggiatore e staremo a vedere. Anche perché qualsiasi cosa si dica sul cristianesimo e su Gesù, in America è molto pericoloso, e poi loro hanno molte armi - ironizza -, sicuramente sarà un film europeo, ma non ne sono sicuro. C'è una sensazione". "Ho visto il remake di 'Atto di forza' (Total Recall) - conclude a proposito di rifacimenti dei suoi film -, ma credo non sia stato espresso molto bene, perché è preso troppo sul serio. Molto meglio quando l'abbiamo fatto con Swarzenegger. Su 'Robocop' ancora una volta ho la sensasione perché non sai cosa farà, ma penso che abbiano tolto anche qui la leggerezza e l'ironia dell'originale, sebbene sia lo stesso copione. Anch'io sono un grande fan di Woody Allen, vorrei rifare 'Io e Annie' senza Woody; peccato sia già stato fatto 'I crociati', su una società fallita che è una chiara e interessante affermazione valida anche oggi". José de Arcangelo