domenica 31 agosto 2008

Venezia 65°. Una tragedia (quasi) perfetta secondo Ferzan Ozpetek

VENEZIA, 30 - E’ stata la giornata di Ferzan Ozpetek alla 65a. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nonostante una certa delusione da una parte e una sorta di bocciatura dall’altra, con un coro di fischi, forse, esagerato a fine proiezione (stampa-industry). Certo non è l’Ozpetek migliore quello di “Un giorno perfetto”, storia corale, tratta dal romanzo omonimo di Melania G. Mazzucco, adattato dal regista con Sandro Petraglia. Il clou della storia è una tragedia familiare annunciata a cui si collegano altre storie, legate in un certo qual modo ai diversi componenti del gruppo. E, forse, sono proprio queste storie parallele a non raggiungere la forza e la drammaticità (credibilità?) giusta, mentre la disperata crisi matrimoniale ha un crescendo emotivo non indifferente. Così come non mancano riferimenti illustri che, naturalmente, gli si rivolgono contro, anzi gli nuocciono. Vedi la scena del tentato stupro che, soprattutto, per l’ambientazione rimanda a quella agghiacciante di “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti.

“Desiderare un’altra persona – ha detto Ozpetek – nel modo in cui avviene in ‘Un giorno perfetto’ è una cosa che mi affascina molto. Non si capisce chi è la vittima e chi è il carnefice; alla fine si confondono. Forse il carnefice è semplicemente la vita”.

Però ogni famiglia è un mondo a sé, cambiano spesso le situazioni e le condizioni, le cause e le conseguenze delle tante, troppe, tragedie familiari che ci ricorda la cronaca quotidiana, e sempre e comunque ci sembrano inspiegabili, viste ‘dal di fuori’. Caso e destino c’entrano e non c’entrano, caso mai possono provocare una “variazione”. Ma sono spesso disperazione e ossessione a provocarle, proprio da un momento all’altro, quando meno te l’aspetti. Amore e odio, eros e thanatos hanno dominato i rapporti di coppia fin dagli albori della civiltà. E le cause di ogni tragedia sono spesso indecifrabili perché legate a una (non lucida) follia d’amore in tutte le sue sfumature.

Supercast dove spiccano un sempre più maturo Valerio Mastandrea, un efficace (ma non troppo) Isabella Ferrari, l’ormai “nonna” a tutti gli effetti (anche nel film) Stefania Sandrelli e un’inedita Monica Guerritore, sobria e rassegnata professoressa.

L’altro film in competizione è il francese “L’autre” di Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic, un surreale ritratto psicologico al femminile, che fa della sperimentazione e della ricerca narrativa il suo punto di forza. Questo, purtroppo, non tutto il pubblico l’apprezza, anzi. Una matura assistente sociale ha una relazione con un giovane di colore che vorrebbe ‘impegnarsi’. Lei, invece, ritrovata la libertà dopo la fine del matrimonio, non vuole ma poi, quando lui sembra aver trovata ‘un’altra lei’ diventa ossessivamente curiosa, gelosa; quasi a instaurare una sorta di lotta ad specchi con se stessa.

Fuori concorso l’altro corto da maestro, ovvero “Vicino al Colosseo… c’è Monti” un fresco e interessante documentario sul quartiere romano tra botteghe artigiane al tramonto e locali notturni, tra processioni e sale da giochi, tra centro anziani e ritrovo dei giovani, tra palestre di boxe e bar storici.

Nella sezione “Orizzonti” è stato presentato un altro interessante documentario “Puisque nous dommes nés” (Visto che siamo nati) di Jean-Pierre Duret e Andréa Santana e girato interamente nel nordest del Brasile, al seguito di due ragazzini che fanno di tutto (anche lavoro gratis) pur di sopravvivere ed aiutare le loro famiglie, e il cui loro grande sogno è diventare camionisti per lasciare la regione (la più povera del paese sudamericano) e guadagnare finalmente da vivere dignitosamente. Ma non è facile, tanto che ad un certo punto, uno dei ragazzi medita il suicidio.

Per le “Giornate degli autori” il riuscito “Nowhere Man” di Patrice Toye, in bilico tra (melo) dramma e commedia, storia di un uomo (di Bruxelles) che decide di cambiare identità per scomparire e diventare un altro dall’altro capo del mondo. Così approfitta di un incendio per inscenare la sua morte, ma il peggio è che ha una moglie che scoprirà di amare ancora. Una ‘variazione sul tema’ raccontata con originalità e con una sottile ironia. Quindi è inutile fuggire da se stessi, anche perché la lontananza serve a farci capire meglio quali sono le cose e le persone che amiamo.

La Settimana della Critica ha proposto invece un intenso e toccante dramma psicologico “Venkovsky Ucitel – A Country Teacher” di Bohdan Slama. Storia di un trentenne professore che accetta un lavoro in una scuola di campagna per non insegnare nello stesso liceo di Praga in cui lavora l’ingombrante e invadente madre. Instaura un rapporto di amicizia con una vedova che manda avanti la fattori da sola con il figlio adolescente, ma l’uomo nasconde a tutti di essere gay, per paura di perdere la loro amicizia, la loro fiducia. Ovvio che tutti questi sentimenti e passioni represse finiranno per sfiorare la tragedia, ma solo sfiorarla, perché ognuno di loro capirà che l’importante è non restare soli e, quindi, che si può amare profondamente anche senza che ci sia per forza del sesso.

José de Arcangelo