giovedì 27 ottobre 2016

Konchalovskij, a Roma per presentare "Paradise", incontra il pubblico del Tertio Millennio Film Fest e riceve un RdC Award. "Non è un film sull'olocausto"

Andrei Konchalovskij a Roma per presentare al pubblico “Paradise”, vincitore del Leone d’Argento alla 73.a Mostra del Cinema di Venezia e candidato dalla Russia per l’Oscar come miglior film straniero, nell’ambito del Tertio Millennio Film Fest. Il maestro russo cha incontrato il pubblico prima e dopo la proiezione al Cinema Trevi. Autore di film indimenticabili quali “La storia di Asja Kljacina che amò senza sposarsi”, “Maria’s Lovers” fino a “Le notti bianche del postino”, il regista russo era ospite del festival e,

dopo aver ricevuto a Venezia il premio Robert Bresson dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, nella capitale ha avuto dalla Rivista del Cinematografo un RdC Award per il miglior film straniero. E proprio sulla sua ultima opera “Paradise”, ambientata in un lager, esordisce “Non è un film sull’olocausto ma sul male che seduce, un’analisi della burocrazia nei campi di concentramento, una riflessione sulla seduzione del male. Sullo sterminio degli ebrei sono stati fatti centinaia di film, e volevo evitare il consueto camminamento nei lager, visto e rivisto, come in un Nabucco di Verdi rivisitato”.
“La parola attualità non mi piace perché con l’arte non c’entra niente. Quale attualità c’è in Dante? Nella Nona di Beethoven? L’attualità presuppone un discorso di politica, e la politica cambia ma l’essere umano no. Il dolore resta dolore, il male resta male. Le persone fanno del male perché è così seducente, le persone infliggono un male profondo credendo di fare la cosa giusta, addirittura buona. Io non fornisco risposte ma sollevo delle domande”. “Tutto mi interessa perché non esistono storie noiose ma narratori noiosi. Oggi, venendo qui, osservavo gli artisti di strada, quelli che fanno le ‘statue’ e stanno lì immobili per ore. Mi chiedevo cosa fanno quando tornano a casa, se hanno una casa, a cosa pensano mentre stanno lì fermi. Ci vuole uno sguardo più intenso per dare realtà alle storie, ma anche un buon udito per ascoltare il sussurro di Dio. Einstein, ad una conferenza stampa, disse che ‘la teoria della relatività è molto semplice, allora perché aspettare, la natura ha una voce molto bassa ma io ho un udito molto acuto’”.
“Altrettanto con la definizione ‘moderno’, davanti ad un’opera o si piange o si ride, ma se non provi emozioni non è moderna; un film può essere molto moderno ma se non provoca emozioni ti addormenti. Ogni cosa è possibile se si condividono le emozioni e si dà un significato alto alla storia. Oggi è molto difficile perché ogni emozione viene banalizzata, anzi tutto viene banalizzato attraverso internet, persino il sesso. Perciò c’è chi sostiene che l’olocausto non è mai esistito e chi invece giustamente ribatte che è esistito. Ma sono soprattutto le nuove generazioni che non capiscono di cosa si tratta. Perciò bisogna impegnarsi e lottare per il ricordo, visto che i soldati tedeschi erano persone perbene, della media borghesia, facevano quello che facevano perché lo facevano gli altri. Questo è successo tremila anni fa, è successo allora e succede oggi”.
“E’ sempre bello ricevere dei premi – confessa -, è come avere dei regali sotto l’albero di Natale, sono un apprezzamento di film che faccio per me stesso senza preoccuparmi degli altri, e sono sempre pronto al flop. Puoi scrivere un fantastico romanzo senza bisogno di un computer, perché basta soltanto una matita e un pezzo di carta. Con i film non è possibile perché costano, è facile a dirsi ma difficile da farsi. Per un giovane cineasta senza fama è estremamente difficile perché chi dà i soldi vuol sapere quanti ne torneranno indietro; anch’io all’inizio dovevo farmi una strada, ora dopo più di cinquant’anni, ispiro una certa fiducia ma chi mi dà i soldi ha un compito molto rischioso. Oggi con le nuove tecnologie è molto più economico realizzarli perché si può girare persino con un headphone, ma il problema è il talento, ci vuole sempre. E come diceva il più grande maestro Robert Bresson ‘il futuro del cinema è nelle mani dei giovani registi che sono pronti a pagare per fare un film’. Purtroppo è un concetto in contrasto con la filosofia moderna da Coca Cola, la concezione del successo, successo e ancora successo”. José de Arcangelo
Paolo Virzì e Andrei Konchalovskij sono tra i vincitori degli RdC Awards 2016. I prestigiosi riconoscimenti della «Rivista del Cinematografo» consegnati nell’ambito del Tertio Millennio Film Fest ieri, giovedì 27 ottobre alle ore 20.30, nel corso di una cerimonia al Cinema Trevi di Roma (Vicolo del Puttarello, 25), condotta da Fabio Falzone, giornalista e critico cinematografico per TV2000. Al regista italiano va il Premio Navicella Cinema riservato al miglior film italiano per “La pazza gioia” interpretato da Micaela Ramazzotti, Valeria Bruni Tedeschi e Valentina Carnelutti. Al maestro russo è invece assegnato l’RdC Award per il miglior film straniero per “Paradise”, già vincitore del Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia e proiettato in anteprima al TMFF alla presenza dello stesso regista. A consegnare il premio a Konchalovskij è Michele Placido. Gli altri riconoscimenti sono stati assegnati a Luigi Fedele e Blu Yoshimi, i due giovani interpreti di “Piuma” di Roan Johnson, ai quali va il Premio Rivelazione 2016, a Marco Pontecorvo che si aggiudica il Premio Navicella Fiction per “Lampedusa - Dall'orizzonte in poi”, accompagnato dalla protagonista Carolina Crescentini; a Gabriele Mainetti e Michele Braga, è andato il Premio Colonna Sonora per il film rivelazione “Lo chiamavano Jeeg Robot”, e al critico cinematografico Alberto Crespi ha ricevuto il Premio Diego Fabbri per il libro “Storia d'Italia in 15 film” edito da Laterza.
TUTTI I PREMI Premio Navicella Cinema “La pazza gioia” di Paolo Virzì Premio RdC Miglior Film Straniero “Paradise” di Andrei Konchalovskij Premio Rivelazione Luigi Fedele e Blu Yoshimi per “Piuma” Premio Navicella Fiction “Lampedusa - Dall'orizzonte in poi” di Marco Pontecorvo Premio Colonna Sonora Gabriele Mainetti e Michele Braga per “Lo chiamavano Jeeg Robot” Premio Diego Fabbri Alberto Crespi per “Storia d'Italia in 15 film” (Laterza)