sabato 1 settembre 2012

In concorso al Lido due dei film più attesi, l'italiano "E' stato il figlio" e l'americano "The Master"

Due attesissimi film in concorso nella quarta giornata della 69a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, uno italiano – il primo in gara, accolto da 8 minuti di applausi -, “E’ stato il figlio” di Daniele Ciprì, dal romanzo di Roberto Alajmo, e l’altro americano “The Master” di Paul Thomas Anderson.

“Cercavo una persona che ricordasse un luogo comune, futuristico, di attesa e che la gente non lo ascoltasse – afferma Ciprì sul protagonista -, l’ho trovato. Toni era preoccupato dal dover recitare in dialetto (siciliano ndr.), ma gli ho detto che non mi interessava una pronuncia perfetta. Fin dall'inizio sapevo che non avrei voluto un attore siciliano, ma qualcuno che fosse in grado di evocare i personaggi della Palermo della mia infanzia. Non volevo vederla ma evocarla, un posto (il film è stato girato in Puglia ndr.) che mi ricordasse la periferia e i luoghi di Palermo in maniera grottesca e, senza mandare messaggi, volevo che arrivasse qualcosa allo spettatore. E’ una tragedia greca sull’ottusità umana. Alle musiche mi ha portato Bellocchio (per cui ha firmato la fotografia de “La bella addormentata”, in concorso ndr.), rimescolando temi di Carlo Crivelli, Nino D’Angelo, Jimmy Fontana, che poi è una canzone di Perry Como”. Un regista “visionario” che si riconosce subito dalle prime immagine per il collega Francesco Patierno, e “molto cinico” - secondo Giulio Base- e perciò nel suo film “si ride sul grave”. Un po’ come la commedia all’italiana perché ci riporta in mente “Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola, trionfo del grottesco che il rimpianto Monicelli affermava “non si usa più nel nostro cinema”. Bentornato dunque, perché Ciprì è sulla strada giusta
“E’ la storia abbastanza paradossale di una famiglia sottoproletaria – ribatte Toni Servillo -, per la quale il risarcimento dello stato, come palliativo per la morte della figlia, diventa una sorta di riscatto, quasi una lotteria, per raccontare in maniera tragica che il sangue porta danaro che provoca altro sangue, ma con un tono tra il comico – leggero - e il tragico, soprattutto nel finale. Un’atmosfera tragica dettata dalla decisione presa dalla parte femminile della famiglia. Un matriarcato molto forte, le cui leggi arcaiche sconfinano col metafisico, in un consumismo sfrenato. Un’infanzia negata per i figli, che non hanno nessuna consapevolezza della morte, ma sono offesi da essa, negandoli la speranza, l’avvenire. Questa la parte più toccante, singolare della storia”. Invece “The Master”, in parte, ha deluso critica e pubblico, ma in fondo, come ha detto lo stesso Anderson, è “una storia d’amore che esiste da sempre, quando due persone che si incontrano, poi uno dei due va via e si lasciano”.
L’equivoco, forse, perché è nato come un film su Scientology, che resta solo un riferimento, anche se dopo l’incontro/proiezione del regista con Tom Cruise – il più noto e ‘potente’ sostenitore – pare che nella pellicola manchi qualcosa (errore di sceneggiatura?). Infatti, dopo una prima ora molto bella (ne dura più di due), la storia dell’uomo e del suo mentore, uno studioso che con la sua filosofia riesce a tirar fuori le persone dalla nevrosi, e ha creato una setta, un culto; si perde un po’. Pare quasi che Anderson non avessesaputo come arrivare alla conclusione. Perciò si rumoreggia di tagli e rimaneggiamenti dell’ultima ora, anche quando l’autore non neghi né confermi. Ma chi tace acconsente? Resta la grande performance dell’intero cast, dai protagonisti Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman ed Amy Adams ai comprimari. E “Magnolia” rimane il suo capolavoro.
Ben tre i film fuori concorso: la commedia “Cherchez Hortense” di Pascal Bonitzer con Kristin Scott Thomas, Jean-Pierre Bacri, Isabelle Carré e Claude Rich; il dittico “Lullaby to My Father” dell’israeliano Amos Gitai con Yael Abecassis e le voci di Jeanne Moreau e Hanna Schygulla; e il blockbuster australiano “Bait” di Kimble Rendall, un film di genere tra tsunami e squali bianchi che uscirà in sala la prossima settimana col titolo “Shark 3D”, appunto.
Nella sezione Orizzonti è stato proiettato l’egiziano “Winter of Discontent” di Ibrahim El-Batout, dove gli eventi della ‘rivoluzione egiziana’ nata il 25 gennaio 2011 vengono visti da tre punti di vista: un progettista di software trentenne, una giovane giornalista televisiva e un funzionario della sicurezza statale. Fuori concorso “Witness: Libya”di Abdallah Omeish, un viaggio dopo la morte di Gheddafi, sulle orme di un fotografo che ripercorre il percorso fatto durante la guerra. José de Arcangelo