domenica 10 novembre 2013

Alice nella Città ha portato al Festival di Roma il toccante documentario sui migranti "Chi è Dayani Cristal?" di Marc Silver e Gabriel Garcia Bernal

Anche al Festival Internazionale del Film di Roma è passato un lungometraggio che ripercorre l'odissea dei migranti centramericani verso l'ormai estinto 'sogno americano'. E' il documentario "Chi è Dayani Cristal?" diretto e fotografato (con Pau Esteve Birba) dall'impegnato produttore Marc Silver e (co-prodotto e interpretato) da Gabriel Garcia Bernal, presentato dal festival nel festival Alice nella Città come evento speciale, e già passato al Sundance FilmFest (dove ha vinto Cinematography Award World Cinema Documentary), al New York FF, e al Festival de San Sebastian (Donostia Zinemaldia).

Infatti, il lungo cammino che affrontano protagonisti è la stessa che percorrono quelli (almeno fino alla frontiera tra Messico e Usa) di "La gabbia dorata" di Quemada-Diez, appena uscito nelle sale. Solo che qui ci troviamo di fronte ad un vero documentario d'inchiesta, con alcune scene ricostruite grazie all'interpretazione di Garcia Bernal, perché si tratta di una sorta di indagine per scoprire l'identità di un cadavere, bruciato dal sole e in stato di decomposizione, ritrovato nell'immenso deserto di Sonora, dalla Polizia di Frontiera dell'Arizona. Uno su cento morti anonimi trovati lungo la strada della speranza, l'unico indizio è un tatuaggio: Dayani Cristal. Chi è quest'uomo senza documenti? Cosa lo ha portato fin lì? Come è morto? Chi o cosa è Dayani Cristal? Seguendo una squadra dell'obitorio della Contea di Pima, in Arizona, il regista Silver cerca di rispondere a queste domande, per dare a quest'uomo un'identità.
Parallelamente all'indagine, l'attore e attivista messicano ripercorre i passi di quest'uomo lungo il sentiero dei migranti del Centramerica (dall'Honduras agli Stati Uniti), nel tentativo di capire cosa avesse provato nel suo ultimo, lungo, viaggio. Bernal si confonde tra i migranti nell'atto imminente di varcare il confine; sperimenta sulla propria pelle i pericoli che sono costretti ad affrontare e impara dalle loro motivazioni, dalle loro paure, dalle loro illusioni. E, mentre viaggiano a Nord, le voci dall'altra parte del 'muro' ci danno una visione rara su una questione, come l'immigrazione clandestina, spesso ignorata nei dibattiti, ma anche a livello socio-politico. Il film, invece, racconta le loro storie, i loro sogni e le loro speranze, spesso deluse. La storia di un migrante che trova se stesso nel tratto del deserto conosciuto come 'il corridoio della morte' e mostra come una vita può diventare testimonianza dei tragici risultati dei conflitti degli Stati Uniti in materia di immigrazione.
Nato nel 2008 da un'idea condivisa tra Garcia Bernal, Silver, Thomas Benski e LUcas Ochoa, il film racconta quello che Bernal chiama "uno dei principali fattori che ha costituito la storia del genere umano e del pianeta: la migrazione". "In un primo momento - prosegue il protagonista di "Diari della motocicletta" - l'idea era dobbiamo pensare a qualcosa che potremmo trasformare in un film o in una serie tv. E' iniziato narrando dei ribelli, in seguito, trasformati in resistenti. E' stata una grande idea".
"Migranti che sono obbligati a diventarlo dallo status quo del mondo, dalle leggi economiche e dal commercio, dalla guerra o dai cambiamenti climatici. Si potrebbe parlare di tutte le questioni più importanti e urgenti del mondo - conclude Bernal -, cominciando a parlarne proprio dalla migrazione". Il documentario - sceneggiato da Mark Monroe, Marisa Clifford e Kurban Kassam - mette in scena una tragedia della storia umana, conosciamo questo John Doe, la cui identità è negata in punto di morte (sono costretti ad attraversare la frontiera senza documenti per non venir riconosciuti, se presi dalla polizia, e rimandati indietro al paese d'origine), e lo vediamo diventare un essere umano vivente, con una famiglia e un passato alle spalle.
Un dramma che ci coinvolge tutti e che commuove profondamente lo spettatore, non solo perché il nostro paese è stato ed è diventato terra di migranti, ma anche perché i nostri avi poco più di un secolo fa hanno iniziato la grande migrazione verso le Americhe, tanto che in Sudamerica la prima ondata migratoria è arrivata addirittura prima dell'Unità d'Italia, e i primi ad emigrare in Argentina sono stati piementosi, genovesi e lombardi, veneti e friulani. Quella dal Meridione è partita nei primi decenni del Novecento, sulla scia della precedente.
Il film è anche prodotto da Benski e Ochoa, i produttori esecutivi sono Dan Cogan, Lilly Hartley, Jeffrey Tarrant, Jess Search, Teddy Leifer e lo stesso Silver. Le musiche sono di Leonardo Heiblum & Jacobo Lieberman, Vanesa Lorena Tate. Il montaggio di Martin Singer e James Smith-Rewse, con la collaborazione di Miguel Schverdfinger, Kim Gaster. Il creative consultant è Jonas Cuaròn, figlio di Alfonso. Verrà distribuito nelle sale italiane da PFA Film / PMI José de Arcangelo
(4 stelle su 5)