giovedì 30 agosto 2012

A Venezia 69, il primo film italiano non è in concorso ma parla di attualità: "Gli equlibristi" di Ivano De Matteo con Valerio Mastandrea e Barbora Bobulova

Seconda giornata della 69a. Mostra del Cinema di Venezia e primo film italiano in programma – nella sezione Orizzonti -, “Gli equilibristi” di Ivano De Matteo, con Valerio Mastandrea, Barbora Bobulova e la rivelazione Rosabell Laurenti Sellers. Un dramma di attualità, un ritratto esistenziale contemporaneo tra crisi e conflitti famigliari, tra sopravvivenza e solitudine.

Il quarantenne Giulio (Mastandrea) ha una vita apparentemente serena. Una casa in affitto, un posto fisso, una macchina acquistata a rate, una figlia ribelle ma brava e simpatica (Laurenti Sellers) e un bambino dolce e sognatore, una moglie (Bobulova) che ama e che tradisce. Però Giulio viene scoperto dalla moglie che lo lascia e la sua favola improvvisamente crolla. Ma cosa accade a una coppia che ai nostri giorni ‘osa’ separarsi? Diventano una sorta di ‘equilibristi’, ecco il perché del titolo del film che, attraverso una carrellata di eventi ora tragici ora ironici, ci conduce per mano nel mondo di un uomo che di colpo scopre quanto sia facile trovarsi a un passo dal precipizio.
Un tema già affrontato da Carlo Verdone con tragica ironia nella commedia “Posti in piedi in Paradiso”, un problema che, forse, potrebbe sembrare esasperato in questa pellicola, amara a tratti pessimistica, ma che nell’ultimo anno si è allargato a macchia d’olio tanto da colpire anche le coppie più solide – però se uno dei due ancora lavora riesce a sopravvivere - e persino i single non più ‘giovani’, visto che i posti di lavoro si continuano a perdere ed è sempre più difficile per tutti portare avanti un’esistenza quanto meno dignitosa.
L’altro film della sezione è “Tango libre”, coproduzione tra Belgio, Francia e Lussemburgo firmata Frédérik Fonteyne, con Sergi Lopez nel ruolo di un uomo comune, una guardia carceraria che l’unico lusso che si concede è un corso di ballo, dove incontra una donna radiosa che rincontrerà proprio durante le visite in prigione. Ad inaugurare le Giornate degli Autori è stato un altro film italiano, il “Pinocchio” di Enzo d'Alò, targato Rai Cinema, rivisitazione animata del celeberrimo libro di Collodi. Un ambizioso e riuscito progetto che ha richiesto molti anni di lavorazione e più di un ripensamento in fase di sceneggiatura, visto che si trattava di affrontare una storia che è entrata nell'immaginario collettivo universale, ovvero la
favola del burattino che sogna di diventare un bambino in carne e ossa, portata sullo schermo ormai centinaia di volte in tutto il mondo, dagli Stati Uniti (Disney) alla Russia, dal Sud America all’Asia, e rifatta in tutte le salse, inclusi televisione e fumetti. Un’intrigante variazione, riuscita visivamente, e soprattutto nei passaggi più onirici della vicenda, e quelli che accompagnano le canzoni composte dal rimpianto Lucio Dalla, scomparso un anno fa. In concorso il russo “Betrayal” di Kirill Serbrennikov - già autore di “Playing the Victim”, presentato al Festival di Roma e ancora inedito in sala -, ma non si tratta del convenzionale punto di vista dell’infedele o del tradito, e il tema viene affrontato in maniera diversa perché in questo caso è la donna a scoprire l’inganno, a pedinare, sorvegliare, indagare il fedifrago progettando la rivincita, a soffrire e tormentarsi in silenzio in attesa di una possibile vendetta. Ma poi incontra il marito dell’amante del suo coniuge e...
Ecco la storia. Un uomo e una donna si conoscono per caso e scoprono che i loro rispettivi coniugi sono amanti. La scoperta li spinge ad allearsi e fare cose che non avevano mai osato prima. Cosa prevarrà, il sentimento di gelosia o la passione? E cosa sceglieranno, la vendetta o il perdono? I protagonisti cercano qualcosa su cui poter ricostruire una nuova vita, ma non è facile, ogni loro azione è condizionata dal dato di fatto dell’infedeltà, e questa infedeltà ha la sua logica. L’altro film in concorso di oggi è la commedia franco-belga “Superstar” di Xavier Giannoli con Kad Merad (“Giù al nord”) e Cécile de France. “Ho cominciato con una scena nel metrò: i viaggiatori scattano foto e chiedono autografi a uno sconosciuto che non sa perché tutti si interessino a lui – dichiara il regista -. Si chiama Martin Kazinski e fino ad allora era stato soltanto una faccia nella folla, senza altra aspirazione che fare il proprio lavoro e condurre una vita ‘normale’. Più però rifiuta questa fama assurda, desiderando tornare nell’anonimato, più la gente lo adora. Più Martin modestamente afferma ‘Non voglio essere famoso’, più gli dicono ‘Ti amiamo per questo’. Più cerca di sfuggire al sistema, più ci si perde dentro. Martin è intrappolato in un labirinto contemporaneo dove agiscono media rapaci e social network invadenti e dove i valori umani crollano e la cultura si disgrega. Volevo dare a questo tentativo di sfuggire alla follia che sembra afferrare il mondo un’energia cinematica, kafkiana e hitchcockiana insieme.
Volevo che gli spettatori si sentissero vicini a quest’uomo come a un fratello, per sentirne le speranze e le paure, che gli stessero accanto nel suo calvario, a volte crudele, a volte buffo, e si emozionassero per il suo sguardo malinconico su un mondo che si dissolve al suono dell’applauso automatico di una trasmissione televisiva. E’ la storia di un uomo solo che si erge contro l’oppressione. La storia di un uomo che vuole conservare la propria dignità, l’anonimato, il pudore. Spero che sia anche la storia della società umana, passata e presente, con il suo bisogno di idolatria e sacrificio, quella cieca pazzia che si impossessa delle folle e le spinge a tagliare teste, a bruciare libri o a twittare mentre guardano la tivù. In questo tumulto volevo condurre la mia macchina da presa, su questi volti volevo cercare ciò che per noi resta della verità umana e gli spazi in cui volevo esplorare la nostra Storia”.
Tema non nuovo – sono passati più di cinquant’anni da “Un volto nella folla” di Elia Kazan e sono cambiate le strategie dei media, i gusti e gli idoli del pubblico -, ma aggiornato e corretto, anche se col rischio di cadere a tratti nella ‘banalità’ del personaggio di turno, quelli che oggi vengono esaltati dai reality e che ottengono in cambio (e anche involontariamente) il loro ‘attimo di celebrità”. Fuori concorso anche “Penance” di Kiyoshi Kurosawa – che non è imparentato con il maestro ma attivo e apprezzato da anni, da “Cure” a “Tokyo Sonata” -, realizzato per il piccolo schermo ma non per questo meno importante. Anche quando il regista si è affidato a un ritmo più sostenuto e ad uno sguardo più attento al pubblico televisivo. Comunque, questa rivisitazione per il grande schermo dell'omonimo serial, recupera molte costanti dell’opera di Kurosawa, e riesce a mantenere un'ottima tensione nonostante la notevole durata (quattro ore e mezza sulle cinque dell’originale). Della sua opera, della sua gestazione e dei suoi temi hanno parlato in conferenza stampa il regista e la produttrice Tomomi Takashima.
La serie, andata in onda in patria nel 2012, era tratta da un romanzo molto famoso in Giappone, di cui l’autore del nuovo tv movie ha detto: “Si tratta di cinque episodi con cinque protagoniste diverse. Sono come dei monologhi, delle confessioni. Nel libro vediamo descrizioni estremamente soggettive della realtà: l'uomo che ha ucciso la ragazzina, ad esempio, non viene mai descritto in modo oggettivo, ma sempre filtrato dai ricordi delle ragazze. I particolari si sviluppano intorno alle protagoniste, però i personaggi satellitari sono più delineati che descritti. E' stato difficile trasporre questo aspetto del romanzo, ma è stato anche interessante”.
Infatti, narra di una dolorosa tragedia che colpisce una cittadina, quando uno sconosciuto rapisce e uccide Emily, allieva di una scuola elementare. Le quattro compagne che stavano giocando con lei sono le prime a scoprirne il corpo. Il rapitore non viene mai trovato e il crimine resta irrisolto. Straziata dal dolore, Asako, madre di Emily, condanna le quattro bambine, perché nessuna riesce a ricordare il volto del rapitore. ‘Fate l’impossibile per trovare l’assassino’, dice loro, ‘altrimenti subirete un castigo che io approverò’. Quindici anni dopo le quattro ragazzine sono diventate donne. Ancora profondamente colpite dalla condanna di Asako, rimangono oppresse dalla maledizione del ‘castigo’ e ciò metterà in moto una catena di eventi tragici.
Fuori concorso, passati anche “The Iceman” di Ariel Vromen con un irriconoscibile e versatile Michael Shannon, Winona Ryder e Chris Evans; e il documentario argentino “El impenetrable” di Daniel Incalcaterra e Fausta Quattrini, girato nel Chaco, una regione che unisce le frontiere di Argentina e Paraguay. Infine, per la Settimana della Critica, “Water”, film a episodi firmato da registi israeliani e palestinesi, uniti da un argomento comune, l’acqua. José de Arcangelo