venerdì 29 giugno 2012

Francesca Inaudi nella giuria del 48° Festival di Pesaro, parla del suo lavoro e della sua esperienza fra piccolo e grande schermo

PESARO, 29 - Francesca Inaudi è nella giuria del concorso della 48a. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema - Pesaro Film Festival, ma non è la prima volta che si trova in questo ruolo perché è stata giurato nel concorso lungometraggi del Festival di Trieste e in un paio di rassegne dedicate ai corti. "Mi piace perché riguarda il cinema internazionale - ci confessa l'attrice -, di film che probabilmente non usciranno in Italia, che ti danno un'idea di come si muove nel mondo. Il cinema necessita dire cose anche in maniera non organica. Mi piacciono il film belli, soprattutto quelli che hanno l'urgenza di dire qualcosa, ma non necessariamente di raccontare una storia. Hanno una cosa forte da esprimere, da dire". Da quello che abbiamo capito dei tuoi lavori precedenti e soprattutto in "Il " girato in Patagonia, ti piacciono le sfide. "Mi piacciono le sfide in generale, alzare le asticelle perché in questo mestiere impari fino agli ottant'anni, scopri parti di te che non sapevi avere. Interpretare personaggi molto lontani da me, appartenenti a un mondo che non condivido. Renderlo lo stesso anche se non mi piace". A proposito del film che hai appena girato con Brignano e delle polemiche di questi giorni che ne dici? "Penso che il modo in cui ognuno gestisce fama o l'enorme successo sia una reazione affidata all'essere umano non all'attore. Nel film ho girato pochissimo con Enrico Brignano, ma non mi sento di giudicare le persone perché io stessa non so come reagirei. Dipende da come ci si sente in un determinato momento, da come stai; magari ti è morto il gatto, stai male e non hai voglia di firmare autografi. Lui ha raccontato che gli hanno chiesto l'autografo persino ai funerali del padre. In certe situazioni il disequilibrio viene fuori. E' una persona piacevole, l'ho visto stanco, affaticato, ma ognuno si prende i pesi che sa portare. Nel film sono l'ex compagna, con la quale ha una figlia, e che tenta di riconquistare. Lei, invece, ha una certa forma di durezza perché entrambi sanno che non stanno bene insieme, ma non riescono a staccarsi. E' una commedia dai canoni leggermente diversi, ma finché non sarà finita non la posso giudicare. Il regista (Andrea) è molto preciso, diverso da quelli con cui ho lavorato finora, non fa mai 3/4 ciak a meno che non lo richiedano. Per me è un modo di lavorare congeniale perché non sento il bisogno di ripetere. Sarabbe molto bello che tutte le film commission producessero di più, perché abbiamo tutte regioni meravigliose. Marche è una delle più belle, anche per il modo della gente che dopo un'iniziale apparente chiusura si rivela estemanente aperta. Bisogna organizzarsi per decentralizzare il cinema, sarebbe sano per il paese e per il cinema. E che investissero soldi sul territorio per dare più possibilità di fare ai ragazzi, anche ai ventenni. Io mi sento una donna non più una ragazza". E sulla televisione che ne pensi? Come ti trovi a lavorare? "E' solo un cambiamento di codice, personalmente la guardo abbastanza poco - dice -, spesso per ricontrollare il mio lavoro, per vedere cosa ho fatto, come crescere. La uso per informarmi, per avere un approffondimento dei fatti e delle notizie. Il mio rapporto non è d'odio né d'amore, la considero quello che è, come un elettrodomestico. Lavorarci è una difficoltà in più, è una palestra soprattutto se la fai per diversi anni come ho fatto io. Una lunga serie ha dei ritmi inconcepibili, tanto che poi il cinema ti sembra una passeggiata. Con quella esperienza posso fare un film d'autore o un'opera prima a basso costo, sei una macchina e sai farlo. Tutto serve, perciò la rifarei anche se mi è costata fatiche e sofferenza. Se hai qualcosa da comunicare la manovalenza costa, il mio maestro diceva per fare una cattedrale devi cominciare facendo l'artigiano". A volte ci sono fiction realizzate come veri, buoni, film. "La televisione ha più mezzi perciò è più disposta a rischiare - conferma -, gli americani e gli inglesi fanno delle serie che hanno la dignità di una saga dai contenuti potentissimi, ma poi, alla seconda serie, anche loro la distruggono, come da noi con 'Tutti pazzi per amore' che era originale, brillante, irreverente, poi dalla seconda stagione tendeva a normalizzarsi. Il problema della normalizzazione è che si pensa che gli spettatori non siano pronti alla straordinarietà. Quando si cerca di fare cinema, invece, non si vuole vedere normalità, l'arte è fuori dalla normalità. La fiction contro la violenza sulle donne ("Mai per amore" ndr.) è di estrema attualità. Ma non mai è facile raccontarla perché le cose che accadono nella realtà sono spesso più improbabili della finzione. Però il pubblico italiano non è cretino come si pensa". Che progetti hai? "Riprendere a teatro "Colazione da Tiffany" e un film sul calcio fiorentino, diretto da Stefano Lorenzi, da girare a settembre. Lavoro molto e non mi lamento mai. Bisogna essere coscienti di quello che uno ha. Lo Star System in Italia, meno male che non c'è. Ci vuole un mercato enorme come quello americano per sostenerlo. Altrimenti fai un film pazzesco e 5 no, ed è tutto costruito su quello, sennò non campano; vivono della propria immagine. Il nostro cinema, invece, non è basato sull'immagine dell'attore, per una ragione di etica, mentre quello hollywoodiano predilige l'estetica fine a se stessa. La nostra è molto lontana, più concentrata sulle cose da dire e non su chi le dice. Certo in passato ci sono stati Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, e le star che emigravano a Hollywood, ma erano altri tempi. Dall'altra parte c'è la tivù in cui ogni giorno si può guadagnare lo status di star, dove si ha l'impressione che da un giorno all'altro si possa avere tutto. L'importante è che si riesca a riconoscere che dentro c'è anche qualcun altro che si è fatto il 'bucio' per arrivarci, anche se non lo condivide, non capisce. Spesso si pensa sia normale essere a un certo livello, perché ci è arrivato, lui c'è. L'essenza della star è essere intoccabile, irrangiungibile. Scamarcio per un po' ha fatto la star: non firmava autografi, si rifiutava di fare certe cose. Sali un gradino, ma il pubblico ti rifiuta, perché se tutto è raggiungibile anche tu lo devi essere. Sei dentro la scatola a casa mia, quindi ti posso toccare, e quando ti saltano addosso diventa faticoso. La star la fai, ma diventi stronzo. Le star americane sono intoccabili sempre, ma nei momenti pubblici in cui sono raggiungibili, sono perfetti, sorridono sempre, salutano, firmano autografi. Quando c'è un'industria crea lo Star System, da noi lo lasciamo alla televisione. Ma inun paese allo sfascio economico come il nostro è difficile. E ormai per non parlare male diun film si dice è 'un po' televisivo', ma non è vero, anche se si intende 'piccolo e brutto'. Non mi piace vedere i film in tv, perché diventano un'altra cosa. 'Noi credevamo' (in cui recita anche lei ndr.) in tivù sembrava intrappolato in qualcosa". "Mi innamoro delle cose non delle persone - dice -, ho fatto film più importanti o meno però è la definizione che danno gli altri. Anche lavorando con un cosiddetto regista di nicchia come, per me 'Il richiamo' è un film importante. Dentro ogni film, dentro ogni cosa trovi quello che ti piace. Mi piacerebbe lavorare anche fuori, all'estero, per confrontarmi, per capire perché la globalizzazione non si applica nelle cose positive, rispetto l'Africa nera, poter allargare i confini e sentirsi davvero cittadina del mondo. La difesa della proria identità in un mondo che verso la globalizzazione è un'altra dimensione". Quindi, non ti innamori sul set? "Ma amo le persone perché il mondo è fatto di persone, fatto di umanità. Strehler, il mio maestro, era considerato terribile. Io credo che un uomo possa essere il peggior stronzo ma una persona immensa. Però un regista che non ama gli attori sbaglia, non può volere la disumanizzazione dell'attore perché è un suo veicolo. Kubrick amava sostenere umanità, ma si dice avesse un rapporto conflittuale con gli attori, e loro la prendevano in un altro modo. E' una questione di equilibri. Mi interessa fino ad un certo punto chi sono gli attori e il regista con cui lavorerò, ma non parto mai prevenuta. Nella vita si cambia per tanti motivi e circostanze, forse un regista che conosci ora lavora in un altro modo. Non mi interessa chi, ma come e cosa vuol dire. L'armonia è necessaria per fare certe cose, la 'nostra disarmonia' con Sandra Ceccarelli è diventata elemento fondante per 'Il richiamo'. Non l'ho cercata, ma pensavo 'mi troverò male', invece è venuta fuori da sola ed era funzionale per i personaggi. Un'alchimia perfetta dentro un disagio. Se la cosa ha un senso, al di là della realtà, quando capita è molto bello, è qualcosa che va da sé". E domani tocca a Nanni Moretti che avra il tanto atteso incontro col pubblico e la stampa, in occasione dell'evento speciale a lui dedicato. Ed è già tutto 'esaurito'. José de Arcangelo