venerdì 2 settembre 2011

Passerella di dive al 68° Festival di Venezia mentre Freud & Jung si incontrano/scontrano sul grande schermo per Sabina Spielrein

Terza giornata alla 68a. Mostra e folla di dive sulla passerella, pardon red carpet: da Madonna e Kate Winslet – già arrivate ieri – da Monica Bellucci, sempre preceduta da presunti scandali sul nudo nel film di Garrel, a Keira Knightley, da Evan Rachel Wood (anche lei come la Winslet in due film) ad Asia Argento. Infatti oggi erano in programma “A Dangerous Method” di David Cronenberg, di cui l’attrice inglese è protagonista con Michael Fassbender che – come il collega Waltw – dopo la partecipazione al film di Tarantino (“Bastardi senza gloria”) è attivissimo più che mai, e Viggo Mortensen; e “Un été b
rûlant”, appunto, di Philippe Garrel, con la Bellucci.
Al via oggi la sezione Controcampo Italiano con una sorpresa come “Scialla!” di Francesco Bruni e “Out of Tehran”, documentario di Monica Maggioni. Fuori concorso, gli episodi di “Mildred Pierce” che Todd Haynes (omaggio al presidente della Giuria) ha tratto dal romanzo di James M. Cain, sulla scia del celebre film “Il romanzo di Mildred” di Michael Curtiz che fece vincere l’Oscar a Joan Crawford; e “Baishe chuanshuo” di Tony Ching Siu-tung. Nella sezione Orizzonti “Cut” il film ‘giapponese’ di Amir Naderi e altri cinque da tutto il mondo.
La vicenda del film di Cronenberg è la stessa che raccontava “Prendimi l’anima” di Roberto Faenza (2002), dal libro di Aldo Carotenuto, mentre stavolta è la trasposizione della pièce di Christopher Hampton – e da lui sceneggiato -, a sua volta ispirata al libro omonimo di John Kerr. Alla vigilia della Grande guerra, Zurigo e Vienna fanno da sfondo a una complicata storia di scoperte intellettuali e sessuali. Le relazioni burrascose tra Carl Jung (Michael Fassbender), psichiatra alle prime armi, il suo maestro Sigmund Freud (Viggo Mortensen) e Sabina Spielrein (Keira Nightley), la bella giovane paziente che si frappone tra i due. Nel triangolo si inserisce anche Otto Gross (Vincent Cassel, anche lui al Lido), un paziente sedizioso, determinato ad allargare il più possibile i propri orizzonti. La loro personale esplorazione della sensualità, dell’ambizione e dell’inganno spinge Jung, Freud e Sabina a mettere in discussione e cambiare per sempre la natura del pensiero moderno.
“La motivazione nascosta dietro a qualsiasi film biografico – afferma Cronenberg - è il desiderio del regista di riportare in vita i propri personaggi, in modo da farli respirare, vivere, parlare di nuovo. Quando si ha a che fare con personaggi come Freud, Jung, Spielrein, Gross, facendoli rivivere viene il desiderio di immergersi nei conflitti etici e nelle passioni intellettuali di un’intera epoca. Ma questa resurrezione per sua natura è imperfetta. Siamo tormentati dai nostri bei simulacri. Sono abbastanza reali? Sono fedeli? Ci perdoneranno?”
Infatti, l’opera del maestro canadese – definito ‘re dell’horror venereo’ e ‘Barone del Sangue” - può deludere i suoi fan, anche perché negli ultimi anni l’autore è passato dalle mutazioni del corpo a quelle della mente, dell’anima – come in questo caso – e quindi la narrazione e il suo stile possono sembrare a prima vista più tradizionali, persino anonimi. Non è un caso se si è concentrato ancora di più sull’interpretazione – Mortensen è diventato il suo attore feticcio -, perché gli interpreti sono più di uno specchio dei personaggi. Un’anima gemella, un sosia mentale.
“Per fortuna abbiamo a disposizione un sacco di lettere – aggiunge -. Il carteggio tra i protagonisti della vicenda è ricchissimo. Basti pensare che all'epoca a Vienna la posta veniva consegnata più volte nello stesso giorno, alle lettere veniva risposto immediatamente e i personaggi facevano spesso riferimento alle missive precedenti. Tutto questo materiale è alla base della sceneggiatura di Hampton. Le lettere sono molto personali, intime, quindi dal punto di vista umano il copione è molto denso e preciso”.
“Per prepararmi – confessa la Knightley - ho letto un mucchio di libri di Jung, la sua biografia e, ovviamente, i lavori di Sabina. Faccio spesso film in costume perché è il tipo di lavoro che preferisco. Inoltre, mi piace leggere e amo la storia”.
“Io non ho fatto nessun tipo di ricerca – ribatte Fassbender. La sceneggiatura era talmente densa che mi sono concentrato su di essa. In più ho comprato un libro per bambini, un bignami delle teorie di Jung e lì ho trovato tutto quello che mi serviva”.
“Quando si interpreta una figura storica – dichiara Mortensen/Freud -, che le persone pensano di conoscere, si ha l'idea di fare una cosa molto importante. Probabilmente è più difficile creare un personaggio famoso, la libertà è ridotta, perciò ci siamo affidati a David. Lui ha saputo gestire bene la cosa focalizzandosi sui rapporti tra i personaggi e mantenendo l'umorismo che trapela dalle loro diverse visioni. David non ha messo in secondo piano le questioni accademiche, ma ci ha fatto interpretare delle persone, esseri umani con pregi e difetti. Lavorandoci abbiamo scoperto che le posizioni intellettuali di Freud e Jung non erano poi così diverse. I due si sono allontanati per piccoli dissidi, questioni prettamente umane”.
E, a proposito di film ‘diverso’ come è stato definito da qualcuno, Cronenberg risponde con una sorta di confessione/riflessione: “Questa è la 68° Mostra del Cinema di Venezia e io ho sessantotto anni. Il film di apertura era “Le idi di marzo” che è il giorno del mio compleanno. Ricordatelo. Ho fatto molti film, anche se non tanti quanti Woody Allen, e il mio modo di fare cinema si è evoluto. Ogni volta che preparo un nuovo lavoro la gente mi chiede se ho intenzione di fare una cronenberghizzazione dell’argomento trattato, ma in realtà ogni film ha le sue esigenze e necessita di uno stile diverso. Io mi adeguo”.
Vicenda apparentemente banale quella del film di Garrel, ma come di consueto l’autore francese usa situazioni e personaggi per parlare d’altro, di incontri di anime e amicizia fra uomini e donne. Paul (Jérome Robart) conosce Frédéric (Louis Garrel) tramite un amico in comune. Frédéric è un pittore e vive con Angèle (Monica Bellucci), attrice di cinema impegnata in Italia per un film. Per sbarcare il lunario in attesa di sfondare come attore, Paul lavora come comparsa. Sul set incontra Elisabeth (Céline Sallette), un’altra comparsa. I due si innamorano. Frédéric invita Paul ed Elisabeth a Roma.
“Un amico è qualcuno per cui si darebbe la vita – dice Garrel. Né più né meno. E io ho perso il mio migliore amico. Un’esperienza che lascia indubbiamente un grande stato di confusione a livello onirico. Ma è anche un’opportunità per farci un film. Che ovviamente, ne sono più che convinto, non rimpiazzerà l’amico in questione. Ma mi restituirà qualcosa di molto somigliante alla vita degli artisti felici che un tempo eravamo. (Eravamo così felici perché siamo nati dopo la guerra ed è questo che voglio far vedere: gente che non ha conosciuto la guerra. Contrapposta all’immagine dei genitori, che invece l’hanno vissuta)”.
Inaugurato il controcampo italiano col buon auspicio di “Scialla!”. Anche questa una storia di ordinaria quotidianità che però ben si addice all’attualità italiana e raccontata in giusto equilibrio fra commedia e dramma. Bruno Beltrame (Fabrizio Bentivoglio) ha tirato i remi in barca… da un bel po’. Del suo antico talento di scrittore è rimasto quel poco che gli basta per scrivere su commissione “i libri degli altri“, le biografie di calciatori e personaggi televisivi (ora sta scrivendo quella di Tina, famosa pornostar slovacca divenuta produttrice di film hard); la sua passione per l’insegnamento ha lasciato il posto a uno svogliato tran-tran di ripetizioni a domicilio a studenti altrettanto svogliati, fra i quali spicca il quindicenne Luca (Filippo Scicchitano), ignorante come gli altri, ma vitale e irriverente. Un bel giorno la madre del ragazzo (Barbora Bobulova) si fa viva, come un fantasma dal passato, con una rivelazione che butta all’aria la vita di Bruno: Luca è suo figlio, un figlio di cui ignorava l’esistenza...
Il documentario “Out of Tehran” della Maggione racconta la storia di chi fugge dall’Iran perché lì, per loro, era ormai impossibile vivere una vita normale. Sono tre ragazzi e un professore i cui percorsi si incrociano: sono finiti senza colpa nelle maglie del regime, alcuni sono stati imprigionati, torturati. Hanno negli occhi la violenza dei giorni delle manifestazioni contro il regime e raccontano l’orrore della repressione vissuta sulla propria pelle.
Alla Settimana della Critica, l’argentino “El campo” (la campagna) di Hernan Belòn; mentre alle Giornate degli Autori il franco-canadese “Café de Flore” di Jean-Marc Vallée.
La casa e la famiglia come metafore della società contemporanea, fra crisi e disagio, paure e incertezze nell’opera prima “El campo”. La casa in campagna appena acquistata dai giovani coniugi Santiago ed Elisa, con una bambina piccola, si trasforma ben presto in un luogo inquietante. Non soltanto lo spazio domestico, ma anche l’ambiente rurale, il vuoto circostante e la gente del circondario mettono sempre più a disagio Elisa, perennemente allarmata da ogni rumore notturno, ogni visita inaspettata, ogni circostanza che la trova impreparata. Anche i rapporti affettivi e sessuali tra marito e moglie subiscono il contraccolpo di questa nuova situazione…
Dal famoso café parigino prende spunto il nuovo film di Vallée, dopo “C.R.A.Z.Y.” – presentato allora a Venezia – e “The Young Victoria”: storie d'amore di persone separate dal tempo e dallo spazio ma unite in modo profondo e misterioso. Il racconto di destini che si incrociano, quello di Jacqueline (Vanessa Paradis), una giovane madre con un figlio disabile nel 1969 a Parigi, e di Antoine (Kevin Parent), DJ di successo, appena divorziato, nella Montréal di oggi.
José de Arcangelo