giovedì 1 settembre 2011

Polanski, Madonna e Gaglianone sul grande schermo della 68a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica al Lido di Venezia

Seconda giornata per la 68a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che ha presentato oggi due film in concorso: “Saideke Balai” di Wei Te-Sheng e l’atteso “Carnage” di Roman Polanski, dalla pièce dell’iraniano-americana Yasmina Reza “Il dio della carneficina”. In Sala Grande il programma si è chiuso alle 22.00 con “W.E.”, opera seconda di Madonna regista, fuori concorso. Tra le altre proiezioni, “Summer Games” (Giochi d'estate) di Rolando Colla, “La Désintégration” di Philippe Faucon e il ritrovato-restaurato “India, matri bhumi” di Roberto Rossellini, sempre fuori con
corso. Il primo film italiano è approdato, invece, per l’apertura delle Giornate degli Autori: “Ruggine” di Daniele Gaglianone.
L’episodio del film di Polanski-Reza è tanto comune quanto terribilmente feroce. Due undicenni fanno a pugni in un parco cittadino. Quello più forte e “armato di bastone” ferisce l’altro. Sangue, labbra gonfie e denti rotti. Ora i genitori della “vittima”, Penelope e Michael (Jodie Foster e John C. Reilly), invitano nel loro appartamento nei pressi dell’elegante quartiere di Park Slope, a Brooklyn, Nancy e Alan (Kate Winslet e Christoph Waltz), i genitori del “bullo“, per chiarire la questione. Penelope, una donna liberale e progressista che sta scrivendo un libro sulla tragedia del Darfur, vorrebbe risolvere tutto in modo civile, senza rancori. Il marito Michael, grossista di impianti da bagno; Nancy, consulente finanziaria all’apparenza riservata, e Alan, un avvocato di successo il cui cellulare non smette mai di suonare, vorrebbero tutti onorare le buone intenzioni di Penelope. Ma non esattamente per le stesse ragioni e non a qualsiasi prezzo. Le linee di combattimento vengono costantemente ridisegnate, finché ognuno a sua volta si rivela per quello che è veramente. Incredibilmente divertenti, deliziosamente perfidi e semplicemente disperati, tutti e quattro i genitori rivelano le proprie contraddizioni più profonde in quella che risulterà la giornata peggiore della loro vita, una resa dei conti davvero massacrante.
Alla conferenza stampa di presentazione mancano il regista – confinato a Parigi per ovvie ragioni giudiziarie -, e Jodie Foster, rimasta negli States, ma ci sono la scrittrice e gli altri protagonisti, tutti e tre d’accordo sul fatto straordinario di lavorare con Polanski e che quando lui chiama non si può certo dire di no. Chiusi in un appartamento per sei settimane perle riprese del film, il trio d’attori afferma che tra di loro è nata una vera amicizia, senza rivalità né gelosie, fatto che l’autore ha apprezzato perché era “la prima volta che si trovava a lavorare con un gruppo così unito”.
Se la commedia è nera e spietatamente satirica, Polanski – sempre più vicino al suo maestro Hitchcock - lascia sul finaleuno spiraglio aperto alla speranza.
“La mia commedia teatrale in realtà si conclude in maniera nerissima – afferma Reza. Ma la volontà di modificare la fine è dello stesso Roman che voleva offrire un messaggio positivo alle nuove generazioni”.
In realtà siamo sul filo del tragicomico, tanto che l’atmosfera ricorda quella de “La congiura degli innocenti” del vecchiocaro Hitch, dove dalle buone intenzioni di partenza scaturiscono pian piano i più bassi istinti. A riconferma che la famiglia, nonostante le apparenze, si rivela spesso un nido di vipere.
“Quando si è genitori e si ha alle spalle una grande famiglia – dice la Winslet - i temi e la complessità delle dinamiche familiari risultano particolarmente interessanti. Poi conoscevo già la pièce, l’avevo visto a New York in teatro. E’ fantastica, anche per questo ho accettato subito”.
“Come Kate anch’io mi ritengo molto fortunato di essere stato scelto – ribatte Reilly. Quando Polanski chiama, a un at tore sembra di volare. E si tratta di una storia preziosa e di un lavoro molto intenso. Ma non credo di avere il solo ruolo comico del film. E’ la pièce che è molto divertente. Ho cercato di essere il più naturale e credibile possibile. L'esperienza che i quattro personaggi condividono, in realtà, è tragica. Gli aspetti comici sono una conseguenza.”
“E’ davvero eccitante essere contattati da Roman – dichiara Waltz - e ancora più eccitante poter lavorare in una commedia scritta dalla famosa Yasmina Reza, ma quando l'eccitazione si è esaurita ci siamoconcentrati sul lavoro”.
L’altro film del concorso, “Warriors of the Rainbow” (titolo internazionale), rievoca uno straordinario episodio della storia del XX secolo poco conosciuto persino a Taiwan. Tra il 1895 e il 1945, l’isola era una colonia giapponese abitata non solo da una maggioranza di immigrati cinesi Han, ma anche dai discendenti di quelle tribù aborigene che per prime si erano stabilite sul suolo montagnoso dell’isola. Nel 1930 Mouna Rudo, il leader di una delle tribù Seediq stabilitesi sul Monte Chilai e nei suoi dintorni, formò una coalizione con altri capi tribù per organizzare una rivolta contro i coloni giapponesi. La rivolta scoppiò ad una celebrazione sportiva dove i membri delle tribù Seediq presenti attaccarono e uccisero gli ufficiali giapponesi. La rivolta iniziale prese i giapponesi di sorpresa ed ebbe un successo quasi completo. Ma i nipponici ben presto mandarono l’esercito per stroncare l’insurrezione, con l’aiuto dell’aviazione e di gas velenosi. Mouna Rudo sapeva dall’inizio che le forze relativamente limitate delle tribù Seediq non avevano alcuna chance di sconfiggere la potenza del Giappone. Ma lui e i suoi alleati erano sostenuti dalle credenze e dai miti che avevano nutrito le loro tribù da tempo immemorabile. I giovani maschi dovevano sottoporsi a un rito di passaggio per diventare adulti, che dava loro il diritto di farsi tatuare il volto. Nella lingua tribale, diventavano così Saideke Balai – eroi della tribù.
“L’opinione comune è che il cosiddetto ‘Incidente di Wushe’ nel 1930 – dice l’autore - fu una ribellione taiwanese contro l’oppressione del governo coloniale giapponese. Questo è vero, ma la rivolta aveva radici molto specifiche: il divieto giapponese di celebrare pratiche culturali indigene. Non fu l’Incidente di Wushe in sé ad essere eroico, ma piuttosto il fatto che esso scaturì in difesa di un principio. La mia intenzione è stata di riesaminare l’Incidente di Wushe in questa luce, attraverso il prisma delle credenze Seediq. Allo stesso tempo, ho cercato di attuare una specie di riconciliazione tra due parti opposte, e di affrontare questioni più ampie quali la dignità umana e la realizzazione di sé”.
Una superproduzione – prodotta da John Woo - che l’ex indipendente regista e sceneggiatore Wei Te-sheng non riesce a controllare completamente né a trasformare nel blockbuster annunciato – è il film più costoso mai realizzato in Taiwan – ma in una lunga (2 ore e mezza) epopea sì scintillante e roboante che però soffoca il discorso umano e politico della vicenda.
Ma al Lido è approdata anche Madonna per la presentazione della sua opera seconda (fuori concorso) da regista “W.E.” ovvero “Wallis & Edward”, sulla ‘scandalosa’ love story fra l’americana Wallis Simpson e il re Edoardo VIII che abdicò per amore, sconvolgendo non solo la famiglia reale ma il mondo intero; una vicenda che faceva da sfondo al film premio Oscar “Il discorso del re” di Tom Hooper. Però Madonna racconta in parallelo la storia di una Wallis contemporanea mettendo a confronto due esistenze e due scelte. Un dramma romantico e patinato in cui la celebre cantante stavolta rinuncia alla ‘sperimentazione’, della sua precedente opera “Sacro e profano”, per la ricerca visiva, la bellezza di ambienti ed immagini, inquadrature e movimenti di macchina. Un mélo non certo facile per un’autrice ancora ‘alle prime armi’ che ha detto di aver messo in questa pellicola tutta la sua metà italiana – compresa Roma, La dolce vita, l’arte – e che la sua ispirazione è il cinema - niente meno che - di Luchino Visconti.
“Ero totalmente coinvolta – esordisce la cantante-regista alla conferenza stampa, accompagnata dai protagonisti - dal cercare di capire i motivi che abbiano spinto Eduardo VIII a rinunciare al trono d'Inghilterra per seguire l'amore. Questo mi interessava. In quanto al lavoro, beh, ci ho messo tre anni per scrivere la sceneggiatura con Alek Keshishian (regista di “A letto con Madonna” ndr.). Ho lavorato soprattutto alle ricerche e alla raccolta di materiale sul tema, dovendo confrontare veramente una grande quantità di fonti. Poi ho messo insieme il cast e sono stata davvero fortunata di poter lavorare con loro. Mi rendo conto che detto così può sembrare un percorso facile, ma vi assicuro che non lo è stato affatto”.
La Simpson (Andrea Riseborough), che scandalizzò il mondo negli anni '30 per la sua relazione sentimentale con il re d'Inghilterra (James D'Arcy), è il modello e l’ispirazione per l’omonima donna (Abbie Cornish) dei nostri giorni che, seguendo le tracce della coppia di innamorati più celebre del Novecento, tenta di ricominciare da zero, riprendendosi da una drammatica crisi matrimoniale e ritrovando l'amore in Evgeni (Oscar Isaac), addetto alla sicurezza da Sotheby's.
“Volevo sottolineare come la verità storica potesse cambiare a seconda del punto di vista da cui la si guarda. Ho passato molto tempo a raccogliere informazioni, ma questo è solo il ‘mio’ punto di vista sulla vicenda di Wallis Simpson e ho lavorato affinché questo aspetto potesse trasparire dal modo in cui la Wallis di oggi guarda alla Duchessa di Windsor. Sentivo il bisogno che la storia della Simpson fosse raccontata attraverso lo sguardo della Wallis contemporanea”.
Un’opera prettamente d’autore è invece quella di Gaglianone – tratta dal romanzo omonimo di Stefano Massaron -, controversa e discussa, e che affronta un tema tanto ambiguo quanto delicato come quellodella pedofilia. Una pellicola complessa – da domani in sala in 52 copie distribuita da Fandango - e, forse, volutamente complicata tanto per un pubblico tanto di addetti e di cinefili quanto di spettatori comuni, perché l’autore di “Nemmeno il destino” e “Pietro” non rinuncia al suo stile, anzi. Cose non dette (non sentite e/o ascoltate da una presa diretta ‘sporca’), atmosfere rarefatte, un continuo andare avanti e indietro nel tempo per raccontare una storia di un’infanzia comune e altre tre degli adulti che non si incontrano mai (più). Una storia per tre quarti implosa che, finalmente, esplode (e tutto diventa chiaro per lo spettatore) nel sottofinale.
“Come raccontare la storia di ‘Ruggine’? – si chiede lo stesso regista – Posso partire dalle favole, che anche se le associamo ai bambini e ad un’età che vogliamo preservare come innocente, raccontano a volte storie terribili e spaventose; e come accade spesso nelle fiabe, in questa storia un gruppo di bambini incontra l’orco, l’uomo nero. E’ la storia di una battaglia contro il male assoluto che divora l’infanzia”.
Una città del nord (è stato girato interamente a Torino) alla fine degli anni ’70: durante una calda estate in un quartiere di periferia abitato da immigrati meridionali e del nord est, in una piccola babele linguistica, la banda capitanata dal siciliano Carmine passa il tempo tra giochi e scontri con altre piccole bande. Giocano a fare gli adulti per sentirsi grandi, soprattutto nel loro luogo mitico, il ‘Castello’, due vecchi silos arrugginiti sui quali col tempo si sono accatastati rottami e ferraglia. Ma in quella stessa estate, un nuovo medico arriva nel quartiere: il dottor Boldrini, un elegante e aristocratico signore. Mentre la gente della zona, socialmente assai modesta, prova soggezione e ammirazione per il pediatra. Solo Carmine e i suoi piccoli amici, Sandro, Cinzia, Betta, Andrea e Tonio, si renderanno drammaticamente conto della reale natura dell’uomo…
Tre decenni più tardi, lontano da quell’estate, tre adulti alle prese con il quotidiano delle loro vite. Sono Carmine (Valerio Mastandrea), Sandro (Stefano Accorsi) e Cinzia (Valeria Solarino). Tre esistenze segnate (per sempre) unite da un passato comune difficile da dimenticare.
“Quando ho letto l’omonimo romanzo di Stefano Massaron mi sono sentito a casa – confessa Gaglianone -, nel senso che quei bambini e quel quartiere li sentivo vicini a ciò che io e i miei coetanei eravamo stati alla fine degli anni Settanta nella periferia di Torino (è emigrato a 5 anni ndr.). E poi uno dei temi del film riguarda qualcosa che esercita su me una forte suggestione; quali tracce lascia dentro a una persona un’esperienza drammatica? Come si sopravvive all’incontro con il male? Come cambia la relazione con il mondo che ci circonda, indifferente alla guerra che ormai ‘solo io so di aver combattuto’?”.
José de Arcangelo