venerdì 16 ottobre 2009

Una giornata fitta di incontri al IV Festival Internazionale del Film di Roma


ROMA, 16 – Seconda giornata fitta di incontri al Festival Internazionale del Film di Roma, che ha visto ancora una volta il sempre fascinoso divo hollywoodiano Richard Gere e l’ormai leggendario e sempre impegnato maestro cileno Miguel Littin, fino all’incontro a due (con pubblico e stampa) Giuseppe Tornatore-Gabriele Muccino per l’ormai tradizionale appuntamento della sezione L’Altro Cinema – Extra.

Gere – che domani alle 18.00 incontrerà pubblico e stampa per la stessa sezione – è il protagonista e coproduttore di “Hachiko: A Dog’s Story” di Lasse Hallstrom, presentato ufficialmente nel pomeriggio dopo il tipico rituale del red carpet, fuori concorso, per Alice nella Città, minifestival nel festival dedicato al cinema che parla dei, su e ai ragazzi. Invece, il film nonostante la storia si è rivelato una favola per adulti, che possono però vedere e apprezzare tutti, soprattutto i ragazzi più grandicelli, quelli che stando vivendo la loro adolescenza.

La possiamo considerare una “vera e propria storia d’amore” – l’ha definita giustamente la cinquantenne star – come ogni storia che parli di sentimenti (veri) che coinvolgono due essere viventi, uomo-donna, due uomini, due donne, un uomo o una donna e i loro ‘animali’ domestici che spesso si rivelano più ‘umani’ e ‘intelligenti’ di tanti uomini. Come del resto l’amicizia, dove il sesso non c’entra, ma in cui il rapporto è spesso profondo, cioè amore vero e proprio.

Non a caso, lo stesso attore ha detto: “Le persone hanno paura di parlarne e tutti lo definiscono amicizia, invece si tratta di amore nel senso più profondo del termine”.

Ispirato a una storia vera, diventato racconto popolare e poi l’omonima pellicola giapponese, il film – che uscirà nelle sale italiane per Natale distribuito da Lucky Red – racconta la vicenda di Hachi, un cane di razza Akita, e dell’amicizia speciale con il suo padrone (che, racconta Gere, nell’originale era un anziano anziché uno splendido cinquantenne). Ogni giorno Hachi accompagna il professor Parker alla stazione e lo aspetta al suo ritorno. L’emozionante natura di ciò che accadrà quando questa routine verrà bruscamente interrotta è il clou del racconto perché rivelerà allora lo straordinario potere dei sentimenti, ovvero come un semplice gesto possa trasformarsi nella più grande manifestazione di affetto mai ricevuta.

“Quando ho letto la sceneggiatura - confessa il protagonista - ho pianto tanto che non ero sicuro che fosse la reazione emotiva giusta, ma l’ho riletto qualche giorno dopo e ho pianto ancora. La potenza di questa storia per me resta un mistero. E’ quel qualcosa che comunemente chiamiamo amore, fedeltà, pazienza, compassione, comprensione; parti di noi stessi. Possiamo vederlo guardandoci allo specchio: noi non siamo il nostro lavoro, né il nostro look. Siamo quella forza misteriosa chiamata amore”.

Qualcuno, provocatoriamente, gli chiede se è più facile recitare con una famosa star o con un cane, il divo risponde diplomaticamente con un sorriso: “Il trucco, durante le riprese, è stato quello di non addomesticare il cane. Abbiamo solo fatto in modo di creare un’atmosfera di fiducia per l’animale, aspettando che succedesse qualcosa di magico. E’ stato come lavorare con un bambino, e come sosteneva Robert Altman sul set ‘il segreto è non dire mai ai bambini cosa devono fare’. Solo nelle situazioni autentiche, quotidiane, si può catturare quel momento magico e nel nostro film non ci sono stratagemmi né giochi cinematografici: c’è e resta solo la potenza della storia”.

Non mancano certo i riferimenti al buddismo e alla sua amicizia col Dalai Lama - infatti Gere ha voluto inserire in apertura un monastero zen -, né al suo legame con i cani fin dalla sua infanzia.

“Ho sempre avuto cani, fin da piccolissimo – rivela -. Non avevo ancora un anno quando me ne andavo per casa carponi col mio cucciolo cocker spaniel, Clipper; poi è stata la volta di Billie, una femmina (come Billie Holiday). Per me il cane è un compagno speciale e soprattutto per questo ho fatto il film. In realtà, non voglio dare un nome a questo rapporto ma spesso penso che gli animali siano reincarnazioni di cari amici con cui riprendiamo l’amicizia”.

Immancabile la domanda su Barak Obama, visto il recente premio Nobel, e Gere la pensa come tutti noi: “Si tratta di un incoraggiamento – conclude – per ricordargli il motivo della sua elezione a Presidente. C’è sempre il rischio che, nonostante le buone intenzioni, possa diventare come i leader che l’hanno preceduto, anche se lui è una persona che parla direttamente ai nostri cuori. Perciò tutti lo amano”.

Dalla star indiscussa e impegnata, al maestro del cinema latinoamericano Miguel Littin che ha raccontato una storia vera, da non dimenticare, e dedicata soprattutto ai giovani di oggi che hanno riempito i cinema cileni e non hanno vissuto i terribili momenti del golpe e gli anni della dittatura di Pinochet, che il regista – volutamente – non ha voluto nominare nemmeno una volta nel suo film. Un colpo di stato militare – appoggiato non solo moralmente dagli Stati Uniti - che soffocò il primo ‘esperimento’ di governo socialista democratico eletto e sostenuto dal popolo. Ispirato al libro autobiografico di Sergio Bitar, allora ministro delle miniere per Salvador Allende, che quella orribile esperienza l’ha vissuta, “Dawson, Isola 10” ricostruisce la prigionia in un’isola dimenticata dal mondo, all’imboccatura dello stretto di Magellano, flagellata dal freddo polare.

“E’ un caso esemplare in cui la tortura – afferma l’autore -, oltre che fisica, diventa anche intellettuale e psicologica. E l’obiettivo centrale dell'oppressore è quello di cancellare l'identità e perfino la nazionalità, distruggere la volontà, estirpare ogni segno di appartenenza e capacità di ragionare. Ma se l'oppresso sviluppa la capacità di resistere e mantenere intatta la propria dignità, come accadde per i ‘prisioneros’ di Dawson, i ruoli si ribaltano e l'oppresso inizia a esercitare la sua superiorità intellettuale sull'oppressore, che può solo contare sulla forza (bruta ndr.). Così gli uomini dell’isola riuscirono a ricostruirsi uno spazio democratico. Utilizzando il loro stato di prigionieri di guerra, organizzarono corsi secondo le rispettive professioni precedentemente esercitate. Si può addirittura parlare di una 'Repubblica di Dawson' tenendo conto però che fu una conquista dei prigionieri e mai concessione degli aguzzini. Che non sapevano come comportarsi. Per questa ragione applicarono la Convenzione di Ginevra riservata ai ‘prigionieri di guerra di una nazione straniera’”.

Sempre la dittatura di Pinochet – che diede il via ai ‘golpes’ militari a catena in tutto il Sudamerica (Uruguay, Argentina pian piano fino all’America Centrale) – è al centro del documentario di Mimmo Calopresti dedicato ad Adriano Panata “La maglietta rossa”, perché nel 1976, proprio in pieno regime, la squadra italiana di tennis doveva affrontare non solo il Cile ma disputare la finale della Coppa Davis proprio a Santiago. Mentre tutta la sinistra chiedeva di boicottare i giochi, fu Berlinguer stesso a consigliare gli atleti italiani di parteciparvi per evitare che il dittatore strumentalizzassi il fatto a suo favore. Però è stato lo stesso Panata l’ideatore di una sottile ma riuscita provocazione: presentarsi in campo in maglietta rossa. Il colore della contestazione e della ribellione che tanto irritava ovunque i dittatori.

Però gli incontri non finiscono qui, ci sono state la regista Donatella Maiorca, l’autore del libro “Minchia di Re” Giacomo Pilati, il cast (Isabella Ragonese, Valeria Solarino e Corrado Fortuna), l’autrice delle musiche Gianna Nannini e la produttrice Maria Grazia Cucinotta a presentare “Viola di mare”, da oggi anche nelle sale. Una storia d’amore, anzi di frontiera geografica e identitaria, che intreccia leggenda, verità e poesia nella Sicilia dell’Ottocento, rievocando uno scandalo antico, perduto. La venticinquenne Angela ama Sara e cerca di sopravvivere allo scandalo della propria omosessualità fingendosi uomo. Ma pregiudizio, intolleranza e menzogna regnano.

Chiusura con due autori italiani, amati anche all’estero e soprattutto in America, a confronto. Incontro e dialogo col pubblico illustrato da un frammento dei documentari sulla Sicilia realizzati dal ventenne Tornatore che anticipano il suo cinema e il suo ‘stile’, e poi sequenze di film di uno scelte dall’altro (Muccino) e viceversa. Quindi, i due registi parlano del loro lavoro, delle loro ricerche, dei loro film più amati, delle loro paure e timidezze, dei loro segreti e dei loro sogni, avverati e non. La ‘ridondanza’ che vedono tanti nell’autore siciliano e la ‘profonda leggerezza’ del regista romano di cui parlano altri.

José de Arcangelo