martedì 20 ottobre 2009

Al Festival di Roma: Argentina in concorso, Italia fuori


ROMA, 20 – Giro di boa ormai per la quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma - che si conclude venerdì -, pieno di appuntamenti e proiezioni, spesso in contemporanea e perciò sempre più difficile da seguire, anche perché in periodo di crisi siamo sempre più costretti a ‘presenziare tutto’ e spesso con più ‘ostacoli’. Incontro con la ‘romana’ Asia Argento, che ieri sera ha presentato il suo minifilm (42 registi per 42 clip di 42 secondi ciascuno) del film collettivo “Onedreamrush” nell’incontro col pubblico. “Le menti di 42 malati”, lo definisce, prodotto da Michele Civetta, dove diversi autori raccontano in un flash i sogni “come in una brevissima poesia”. Il suo, “S/He” (ovvero Lei/lui in inglese), racconta la vita di un quartiere popolato di trans. “Sono entrata nella loro vita – afferma l’attrice-autrice -, ho visto come si vestono, ho osservato come vivono, insomma, abbiamo giocato”.

Nel concorso ufficiale è passata l’opera prima dell’argentino (di padre norvegese) Marco Berger “Plan B” (Piano B). Una commedia sentimentale particolare ed inedita girata tutta in piani sequenza, a loro volta collegati da panoramiche di Buenos Aires dall’alto incentrate su una palazzina, una torre moderna, e giocata sul filo dell’ambiguità dell’amore (e del sesso) e soprattutto della seduzione. Una commedia agrodolce che conquisterà il pubblico che ama le scoperte e il cinema d’autore, perché la pellicola non ha il ritmo scatenato dei film d’azione contemporanei né tanto meno è interpretata da star, nemmeno del cinema argentino, ma da giovani di oggi, come del resto è il regista stesso.

Bruno ha lasciato la sua ragazza ma vorrebbe rimettersi insieme ma come lei, nonostante continui a vederlo (ed andare a letto con lui), rifiuta progetta una fredda e dolce vendetta. Scoprendo che lei esce ‘ufficialmente’ con Pablo e, spinto dal pregiudizio degli altri, Bruno decide di diventargli amico, anzi di sedurlo. Naturalmente chi gioca col fuoco (sentimenti) finisce ustionato: i due giovani saranno sempre più confusi emotivamente e la ragazza si ritroverà sola. Già perché il gioco della seduzione ha funzionato troppo bene dando il via a un “Plan C”. L’amore fra i due maschi.

Ancora un film italiano in anteprima, fuori concorso, “Oggi sposi” di Luca Lucini (da venerdì nelle sale) con un cast (italiano) all stars (soprattutto trentenni e non, in ascesa e/o affermati): Luca Argentero, Moran Atias, Dario Bandiera, Carolina Crescentini, Francesco Montanari, Filippo Nigro, Gabriella Pession, Isabella Ragonese e con le partecipazioni di Lunetta Savino, Michele Placido e Renato Pozzetto.

Una commedia corale su quattro matrimoni che, secondo il regista di “Amore, bugie e calcetto”, si rifà ai classici nel tentativo di aggiornare il vero spirito, le atmosfere (e gli incassi) per “dare nuova forza” al genere per eccellenza del nostro cinema. “In realtà – dice Lucini – è stato più bello che duro realizzarlo perché c’era una sceneggiatura forte” (di Fabio Bonifacci con la collaborazione di Fausto Brizzi e Marco Martani), però – tra alti e bassi – la commedia non riesce ad uguagliare quelle di una volta, nonostante i richiami all’attualità (il matrimonio multietnico ma non solo) perché gioca ancora un po’ con i vecchi stereotipi. E non ci sono (ancora) dei veri “mattatori”.

Ma ieri era stato presentato l’evento speciale dedicato al sacerdote cattolico Jerzy Popieluszko, sequestrato e ucciso proprio venticinque anni fa, il 19 ottobre 1984. Per l’occasione è stato proiettato in anteprima “Popieluszko. Freedom is Within Us” di Rafal Wieczynski. Una sobria e appassionata ricostruzione storica degli anni di Solidarnosc e degli avvenimenti che portarono alla caduta del comunismo, non solo in Polonia. Una grande produzione (settemila tra attori e comparse, due ore e mezza di proiezione) per raccontare la vita e il sacrificio di padre Popieluszko, il “cappellano di Solidarnosc”, appunto, divenuto simbolo di coraggio nella lotta per la libertà e la verità. Ai suoi funerali parteciparono oltre mezzo milione di persone e il clamore che seguì all’evento fu enorme, travalicando i confini nazionali.

“Ho ascoltato il racconto dei testimoni – esordisce il regista che allora era poco più di un ragazzino – e visto i filmati sulla sua vita. Non si occupava di politica ma delle persone, era un uomo al servizio degli altri, che trascende l’opera della sua vita. Non ha mai convertito nessuno, aiutava le persone a mettere a posto le loro vita senza influenze né imposizioni. Popieluszko lasciava una traccia nelle persone che incontrava, perché non creava una distanza tra lui e l’altro, anzi gli dava ascolto, e possedeva una saggezza popolare che viene da lontano”.

Ad un appuntamento di importanza internazionale non poteva mancare Lech Walesa, leader sindacale e poi Presidente della Polonia, che ha dichiarato: “Avendo un polacco come Papa eravamo convinti di portare la Polonia fuori dal comunismo, verso la normalità e la democrazia. E’ stato un compito enorme e difficile ma in cui molte persone hanno creduto fortemente. Popieluszko ha pagato con la sua vita e, riflettendo sul suo sacrificio in questo terzo millennio, ho capito che il nostro percorso ora è differente perché oggi si dà più valore all’economia che alle persone in senso lato. Bisogna creare nell’uomo una coscienza perché il nostro sogno ancora non è fino in fondo realizzato. Ma un po’ più in là raggiungeremo lo scopo".

"Considerando la situazione geografica polacca - aggiunge il leader polacco -, il nostro paese non ha potuto mai parlare con voce propria. E talvolta la Chiesa si sostituiva alla nazione per farlo, perciò esiste un forte legame con la Chiesa. Senza questa simbiosi la Polonia sarebbe sparita già da tempo”.

Proiezione affollatissima anche alla presenza di autorità (tra cui il sindaco Alemanno), funzionari, prelati e suore (anche in passerella sul red carpet), stampa e pubblico. Il film comunque uscirà prossimamente nelle sale distribuito da Rainieri Made, che già ha fatto vedere nei cinema (non senza difficoltà) “Katyn” del grande maestro Andrzej Wajda.

Altro film presentato in anteprima, fuori concorso, è stato il cinese “The Warrior and the Wolf – Il guerriero e il lupo” di Lang Zai-Ji, con Joe Odagiri e Maggie Q. Un’ambizioso fantasy che mescola storia, avventura e leggenda con quella che sembra essere diventata oggi una mania (soprattutto all’inizio), l’andare avanti e indietro nel tempo con i flashback finendo per confondere lo spettatore più smaliziato. Non mancano immagini suggestive e risvolti inquietanti, ma nel complesso la pellicola non riesce a (s)coinvolgere il pubblico né la critica.

Duemila anni fa, l’imperatore Han invia il suo esercito nell’estremo confine occidentale della Cina, oltre il deserto del Gobi, per sottomettere le tribù ribelli. La zona, pericolosa e inospitale, al giungere dell’inverno è popolata solo dai lupi. Dopo cruente e sanguinose battaglie, il comandante Lu e i suoi uomini iniziano la ritirata, trovando rifugio in un villaggio della tribù maledetta degli Harran, che vivono sottoterra e di cui la leggenda racconta si tramutino in lupi dopo l’accoppiamento con ‘stranieri’. E, infatti, accadrà proprio a Lu e ad una misteriosa vedova.

José de Arcangelo