giovedì 25 ottobre 2007

Festa Internazionale del Cinema: Dagli anni Sessanta dei Beatles all'attualità di Extra doc

ROMA, 25 – Film evento della giornata, molto atteso alla Festa del Cinema, nella sezione Premiere, è stato il musical “Across the Universe” di Julie Taymor, ispirato alle canzoni (33) dei Beatles e con le coreografie di Daniel Ezralow, molto noto in Italia, per averci lavorato per anni.

“E’ stato veramente spaventoso dover fronteggiare l’eredità della musica dei Beatles – dice la regista ‑, perché rappresenta il Sacro Graal. E’ così importante per tante persone e gli originali erano perfetti. Sapevamo fin dall’inizio di non voler competere con le versioni dei Beatles”.

Quindi, nel film rivivono oltre che le musiche anche l’atmosfera, i sogni e, in un certo senso, le ideologie degli anni Sessanta, attraverso la storia di due innamorati dal destino avverso, assieme ad un piccolo gruppo di amici e musicisti, vengono coinvolti dai movimenti emergenti della controcultura che contestano la guerra del Vietnam.

“Sebbene Elliot (Goldenthal) sia un compositore e non c’erano canzoni da realizzare in questa occasione – continua l’autrice ‑, i suoi arrangiamenti e la sua comprensione del dramma e dei personaggi sono magnifici. Ho lavorato con lui per vent’anni e ho una completa fiducia ed ammirazione per le sue opere. Sapevo che avrebbe trovato un modo diverso di interpretare le canzoni e così, presentandole con dei nuovi arrangiamenti, la musica sarebbe tornata ad essere originale. Non significa che questa sia una versione migliore, è soltanto differente”.

Camei d’eccezione, tra cui quello di Bono degli U2 nel ruolo di Dr. Robert, Salma Hayek (amica della regista) che interpreta ben 5 infermiere sexy e tutte contemporaneamente grazie al motion control, e Joe Cocker che è ubriacone, pappone e hippie canterino in “Come Together”.

Presentato anche ieri sera, in concorso, il nuovo film di Emidio Greco “L’uomo privato”, un autore che divide sempre la critica in pro e contro.

Un professore di Diritto, quarantenne affascinante, intelligente, ironico e affermato socialmente e professionalmente, è corteggiato dalle donne, verso le quali mostra un’accorta disponibilità. Ma è anche un personaggio chiuso in sé, rinserrato nelle sue condizioni di “privilegio”, vissute e usate come corazza contro la “volgarità e insensatezza della realtà”, verso la quale ha un atteggiamento di totale e aristocratico rifiuto. Vive, quindi, in una sorta di torre d’avorio che sembra nulla possa mai violare. Tanto che spesso non esita a reprimere i propri sentimenti e a sacrificare quelli degli altri. Fino a troncare all’improvviso la relazione con Silvia, una giovane follemente innamorata di lui.

Ma il destino gli prepara una brutta sorpresa. Nelle tasche di un giovane suicida – che si scopre un suo assiduo studente – la polizia trova un foglio di carta con il suo nome e il suo numero di telefono. E la sua “perfetta” esistenza non sarà più come prima, mentre la vicenda di tingerà di giallo.

“Un personaggio, una situazione e un racconto – dice il regista – che nascono da un sentimento diffuso e condiviso: la tentazione di fuga o di isolamento, di chiusura al mondo di fronte alla iattanza di una quotidianità e di una realtà delle quali si sono persi le coordinate e i punti fermi (o ritenuti tali) che davano ad esse senso e ragione. Con inevitabile approdo: la frustrazione del proposito nel confronto con la forza delle cose”.

Dunque, non solo un racconto ma anche, come sempre nel suo cinema, una riflessione – anche complessa sotto l’apparente “banalità” della vita – sul malessere e l’insoddisfazione nella normalità-anormalità del reale. Nel cast Tommaso Ragno, Myriam Catania, Giulio Pampiglione, Mia Benedetta, Ennio Coltorti, Mariangela D’Abbraccio, Vanessa Gravina, Vanni Materassi e Catherine Spaak. Musiche del premio Oscar Luis Bacalov.

In concorso anche “El pasado” (Il passato) di Héctor Babenco, coproduzione argentino-brasiliana, dopo i film hollywoodiani degli ultimi anni (da “Il bacio della donna ragno” a “Ironweed” e “Giocando nei campi del Signore”). Tratto dal romanzo omonimo di Alan Pauls (Feltrinelli) e sceneggiato dal regista con Marta Goes, il film narra la storia del giovane traduttore Rimini, il cui matrimonio con l’amore dei tempi del liceo, Sofia, sta approdando alla fine. Una separazione di comune accordo che per lui diventa presto incubo, perché Sofia “non molla”. Lui inizia una relazione con la modella Vera, ossessionata dal tradimento, che proprio per colpa della ex finirà tragicamente. Quando tutto sembra ristabilito, Rimini sposa la collega Carmen, ma una misteriosa amnesia traumatica cancella dalla sua memoria la conoscenza delle lingue che traduce. Però, nonostante sia costretto a rinunciare al lavoro, la nascita di un figlio, Lucio, risolleva il suo spirito. Ma è ancora Sofia a distruggere tutto: rapisce il bambino e racconta una menzogna. Lui perde moglie e figlio in un sol colpo, e finisce per fare il preparatore atletico in palestra. E Sofia si ripresenta ancora una volta come ‘salvatrice’ e, fondatrice del circolo femminile “Adele H.” per donne che amano troppo, lo mostra come se fosse un trofeo.

“Il libro parla del rapporto di due giovani – afferma il regista ‑ dopo che si sono separati e le conseguenze che il ritorno di un sentimento che è concluso ed è passato può avere sul presente. Il fatto che i protagonisti siano molto giovani conferisce al film una sorta di aureola virginale, una purezza ed un’innocenza che riportano al passato. In effetti, è una storia che è agli antipodi di tutto quello che viene fatto nel cinema contemporaneo e anche di quello che si può immaginare il pubblico voglia vedere. Ma non è né femminista né antifemminista”.

“In fin dei conti – aggiunge ‑, la decisione di fare questo film mi ha riportato in un universo dal quale mancavo da troppo tempo, quello degli emarginati. Non parlo soltanto di ‘Pixote’, ma anche del ‘Bacio della donna ragno’, ‘Ironweed’ e ‘Carandiru’. Mi ha fatto tornare all’universo delle emozioni e dei sentimenti presenti in un rapporto uomo-donna. E’ un libro che parla dei sentimenti degli uomini nel rapporto con le donne”.

Ma la storia potrebbe anche essere ribaltata, nel caso in cui è l’uomo che “non lascia mai”.

Sulla scelta del messicano Gael Garcia Bernal come protagonista, Babenco dichiara: “Ho iniziato a pensare ad un attore sui trent’anni e che fosse taciturno, calmo e tranquillo, meno energico della generazione atletica moderna da Gatorade. D’altra parte, non volevo un giovane che avesse un approccio distruttivo, dark o triste nei confronti del mondo. Riassumendo, avevo bisogno di un attore che mi assomigliasse. Qualcuno che, fin da giovane, si fosse posto molte domande e non avesse trovato tante risposte. Un uomo che ama le donne”.

“Poi ho capito che non potevo girare, ambientare, la vicenda in Brasile, perché è una società diversa, se vogliamo più ‘leggera’, allegra. Il protagonista doveva essere, quindi, un attore di lingua spagnola. Un giorno apro il giornale e leggo che Gael recita Garcia Lorca a Londra. Ho preso l’aereo, ho visto lo spettacolo e poi ho parlato con lui della sceneggiatura che però non era ancora finita. ‘Mandamela quando sarà pronta’, mi disse. Ma, visto che sapevo bene che Gael riceve tante sceneggiature ogni settimana, mi sono ricordato che Kubrick non inviava mai uno script ad un attore, ma li incontrava per leggerli insieme, e decise di fare la stessa cosa. Abbiamo organizzato un incontro a Buenos Aires, nel novembre 2005, quando lui era in città per un altro film. Abbiamo letto la sceneggiatura con alcune amiche attrici e due settimane più tardi ho ricevuto la mail da parte sua, in cui mi diceva che sarebbe stato disponibile per il film a luglio del 2006”.

“Rimini è un personaggio tragico – conclude il regista ‑, nella grande tradizione degli eroi maschili di Dostoevskij o Camus. E’ la descrizione della mascolinità più fragile, molto lontana dall’archetipo universale dell’uomo virile che si vede nel teatro e nella televisione moderni. E’ un uomo, ma non è un ‘macho’. La mascolinità viene spesso scambiata con la mancanza di sensibilità. Mi identifico con un personaggio come lui”.

Anche quest’anno, Cult (canale 142 di Sky) assegnerà il Premio Cult al miglior documentario in concorso della sezione Extra (altre visioni). La giuria: Sherin Salvetti, vice presidente di Fox Channels Italy, Aldo Grasso, editorialista e critico televisivo, Erik Gandini, regista, Roberta Torre, regista, Simone Cristicchi, cantautore. Tutti interessanti i film selezionati: “Forbidden Lies” di Anna Broinowski (Australia), è la storia vera di Norma Khoury, autrice del bestseller omonimo, racconto di un delitto d’onore in un paese arabo, di cui fu vittima la sua migliore amica; “The Gates” di Antonio Ferrara e Albert Maysles segue la preparazione e l’inaugurazione dell’installazione degli artisti Cristo e Jeanne-Claude, realizzata a New York nel 2005, dopo aver impacchettato il Reichstag di Berlino e Pont Neuf a Parigi; “In Prison My Whole Life” di Marc Evans (GB), prodotto dall’attore Colin Firth e patrocinato da Amnesty International, narra la vita di Mumia Abu Jamal, un giornalista ex membro delle Pantere Nere, condannato a morte nel 1982 per il presunto omicidio di un poliziotto. Un documentario originale perché a raccontarlo è William Francorne, un giovane inglese nato lo stesso giorno in cui fu commesso il crimine; “The King of Kong: A Fistful of Quarters” di Seth Gordon (Usa) che racconta l’età d’oro (anni ’80) dei videogames attraverso l’eccentrica ossessione di un tipico ‘local hero’ della provincia americana, deciso a diventare primatista mondiale.

“Manda bala – Send a Bullet” di Jason Kohn (Brasile-Usa), è invece un documentario curioso e sorprendente, vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Filmfest, che ci mostra una Sao Paolo inedita e, ovviamente, piena di contraddizioni. E’ la metropoli con il maggior numero di elicotteri privati e macchine blindate, dove la corruzione non solo trionfa ma è un investimento economico e politico, e il crimine (soprattutto i sequestri) è un’attività così diffusa da essere praticata come routine. Intervistate le vittime, spesso mutilate vengono poi curate da un chirurgo plastico locale che si è specializzato nel ricostruire orecchie, dita e altro; e un rapitore (mascherato) che si dichiara una sorta di Robin Hood: con i soldi avuti aiuta gli altri membri delle favelas a sopravvivere e a costruirsi una casa. Ma non solo, al centro della corruzione sono coinvolti gli allevamenti di rane per il mercato alimentare, un vero boom economico che, da una parte, rimedia all’estinzione dei batraci a causa dei pesticidi; dall’altra mette a rischio ancora una volta l’Amazzonia.

Cinefilo e nostalgico “Natural Born Star” di Even Benestad (Norvegia) che ricostruisce la carriera dell’attore norvegese Fred Robsahm, diventato una star degli spaghetti-western. Appassionato di mare e sbarcato a Roma, Fredrik trova fortuna nel mondo del cinema di genere. E, tra un western e un poliziottesco, sboccia l’amore (sul set) con la diva e sex symbol degli anni ’70 Agostina Belli. Un grande amore che sembra non dover finire mai, però negli anni ’80, una crociera nel Mediterraneo cambia per sempre la sua esistenza. Un documentario costruito come un melodramma con materiali e spezzoni d’epoca, un’originale intervista con Robsahm oggi e che si conclude con il rincontro con l’amata Agostina.

Di “Le pere di Adamo” e “The Universe of Keith Haring”ne abbiamo già parlato (domenica 21) in occasione della loro presentazione, mentre “La position du lion couché” di Mary Jimenez (Belgio), narra di Anne, una donna che cerca di organizzare la propria morte in funzione dei suoi amici: sono loro, in fondo, che patiranno la sua assenza. Un storia, ovviamente, straziante ma da un punto di vista che raramente il cinema affronta, prodotto dalla Dérives dei fratelli Dardenne. Con “Sigur Ros – Heima” di Dean DeBlois (Islanda) seguiamo invece il tour dei Sigur Ros attraverso il loro paese, l’Islanda. Paesaggi spettacolari, anzi sublimi, contrapposti alle sonorità ieratiche e ancestrali della band. Un poetico mix di natura e musica.

“La sombra del iceberg” (L’ombra dell’iceberg) di Hugo Domenech e Raul Montesinos (Spagna), “indaga”, settant’anni dopo la celebre foto di Robert Capa che immortalò un soldato dell’esercito repubblicano colpito da un proiettile sparato dai franchisti, sulla veridicità dello scatto. Dal 1936, per tutti, è l’immagine che fissò per la prima volta l’istante preciso della morte in battaglia, i registi – intervistando esperti in ogni campo – cercano di scoprire se questa icona del secolo scorso sia autentica oppure il risultato di una geniale messa in scena.

“Taxi to the Dark Side” di Alex Gibney (Usa), premiato come miglior documentario al Tribeca Filmfest, racconta dell’omicidio di Dilawar, un tassista afgano, avvenuto nella base militare americana di Bagram. Da questo episodio scatta una sorta di indagine, con sorprendenti scoperte ed una tensione da thriller, sulle tecniche di repressione e tortura messe in atto dall’amministrazione Bush dopo l’11/9. “The Unforeseen” di Laura Dunn (Usa) è, invece, la storia di un ambizioso fattore texano che diventa facoltoso imprenditore con il boom edilizio degli anni Settanta. “War Dance” di Sean Fine e Andrea Nix (Usa) ci riporta invece tra i bambini dell’Uganda, dove vent’anni di guerra hanno provocato a 30mila bambini, non solo la perdita di casa, famiglia e infanzia, ma anche l’arruolamento nell’esercito ribelle. In un campo profughi, i piccoli sopravvissuti Dominic, Rose e Nancy cantano e danzano seguendo il ritmo dei loro avi. E si preparano ad un viaggio per dimenticare la tragedia e raggiungere la capitale dove partecipare all’evento dell’anno: il Kampala Music Festival.

“Zero – Inchiesta sull’11 settembre” di Franco Fracassi e Francesco Trento (Italia), da un’inchiesta di Giulietto Chiesa, che – attraverso le testimonianze di scienziati, militari e testimoni oculari – fanno luce sulle contraddizioni (e menzogne?) della versione ufficiale. Come e perché sono crollate le torri gemelle e l’edificio 7 del World Trade Center? Com’è possibile che la difesa aerea più potente del mondo abbia reagito senza la minima capacità di efficacia e contrasto? Perché sono state trascurate alcune informazioni? Narratori di eccezioni di questo illuminante e provocatorio documentario, su un tragico evento che ha cambiato non solo il mondo ma anche il nostro modo di rappresentarlo, sono Dario Fo, Lella Costa e Moni Ovadia.

Extra ha ospitato il pilot di un serial Fox Channels Italy, ispirato all’omonima miniserie argentina “Mujeres asesinas”, a sua volta liberamente tratta dal libro omonimo di Marisa Grinstein. L’episodio pilota di “Donne assassine” di Herbert Simone Paragnani è stato girato tra Buenos Aires e Torino, e ha come protagoniste Donatella Finocchiaro e Sabrina Impacciatore. Più melodrammatico, meno duro e crudo dei tv-movie argentini, il pilot però si presenta comunque un gradino più su della media televisiva italiana.

“Nel film si parla di un amore lesbico – dichiara il regista ‑, e di un delitto efferato che coinvolge una ‘donna di Chiesa’. Tutti tabù che nessuna rete ‘in chiaro’ sarebbe disposta a infrangere. E’ molto tempo che lavoro per il piccolo schermo, e l’esperienza mi ha insegnato che la tv generalista rifiuta il concetto di autorialità. Più che una critica, è una constatazione: i prodotti televisivi italiani si somigliano tutti, sempre alla ricerva d’un tocco di mélo, persino nelle sit-com”.

Domani ci attende il penultimo giorno di questa Festa, un po’ sfortunata riguardo al tempo. Dopo il weekend di freddo polare, ha dovuto affrontare anche la pioggia.

José de Arcangelo