venerdì 10 settembre 2010

Venezia 67. Ultima corsa per i Leoni tra il redivivo maestro Monte Hellman (Road to Nowhere) e il giovane Richard J. Lewis (Barney's Version)

Decimo e penultimo giorno per la 67a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e ultimi tre film in gara, “Road to Nowhere” del redivivo e poco prolifico maestro Monte Hellman, Barney's Version” di Richard J. Lewis, tratto dal best-seller di Richler e “Drei” di Tom Tykwer. Tra le altre pellicole in programma “Dante Ferretti: Production Designer” di Gianfranco Giagni, un documentario sul celebre scenografo premio Oscar, insignito al Lido col Premio Bianchi del SNGCI e “L'ultimo Gattopardo” di Giuseppe Tornatore, dedicato al rimpianto e inimitabile produttore Goffredo Lombardo, fuori concorso. News from Nowhere” di un altro autore americano redivivo, Paul Morrissey, e “The Forgotten Space” di Noel Burch e Allan Sekula in Orizzonti.
Cinema nel cinema (e altro) nel film-puzzle di Hellman che ha disorientato e/o lasciato perplesso qualche spettatore, quindi realtà e finzione, sogno e vita si intersecano e si confondono. Il giovane regista cult statunitense Mitchell Haven – alter ego dell’autore - ha trovato il materiale per il suo nuovo capolavoro: un film giallo tratto da una storia vera che ha per protagonisti una bella ragazza, Velma Duran, e il suo compagno Rafe Taschen, più anziano e politicamente impegnato. Il fallimento del loro truffaldino piano di corruzione causa l’uccisione di un vicesceriffo e culmina nel drammatico suicidio della sfortunata coppia. Mitchell si innamora di questa storia dal finale tragico, e ancor più della splendida Velma Duran. E il suo amore si accende ancor di più quando ingaggia per il film Laurel Graham, modella e attrice emergente che può vantare un’inquietante somiglianza con Velma. Quando però iniziano le riprese, nel luogo stesso degli avvenimenti, Mitchell scopre che…
“Steven Gaydos (co-sceneggiatore ndr.) ha sognato il film – confessa Hellman, tornato dietro la cinepresa a oltre vent’anni dal suo ultimo lavoro, “Iguana” - e da ciò è nata l'idea di realizzarlo davvero. E’ stata la prima idea che è piaciuta anche a me in trent'anni. Questo è il vero primo dei miei film perché mi appartiene completamente. Prima avevo lavorato solo su commissione”.
“Nel film io faccio una piccolissima parte – dice Fabio Testi, che è stato protagonista 30 anni fa del western italiano firmato dal regista “Amore, piombo e furore” ¬ . E visto che non potevo spostarmi a Miami per impegni di lavoro, Monte è venuto a casa mia sul lago di Garda e abbiamo girato lì le mie scene perché lui mi voleva ad ogni costo. Ci conosciamo da trent'anni e lavorare con lui significa stare con un grande maestro. Questo, come tutti i suoi film, sarà attuale tra dieci anni perché ciò che lui ha cominciato a fare trent'anni fa lo stanno facendo tutt'oggi”.
“La cosa più difficile al mondo è fare un film – conclude il regista -. Nel nostro caso però abbiamo usato tutto ciò che avevamo e con i mezzi di cui disponevamo. Le produzioni indipendenti permettono di avere una maggior libertà”.
Tratto dall’omonimo romanzo di Mordecai Richler – morto quando stava già lavorando alla sceneggiatura -, il riuscito adattamento “Barney’s Version” firmato da Lewis (che si è fatto le ossa col televisivo “CSI scena del crimine”), narra la storia emozionante, arguta e divertente di Barney Panofsky (sempre grande Paul Giamatti), uomo apparentemente comune con una vita fuori dal comune. Il candido racconto autobiografico di Barney copre quattro decenni e due continenti, includendo tre mogli, un padre stravagante (Dustin Hoffman, assente alla mostra) e un migliore amico amabilmente dissoluto. Barney’s Version ci accompagna tra i numerosi alti – e i bassi ancor più numerosi – di una vita lunga e pittoresca che ruota attorno all’improbabile eroe: l’indimenticabile Barney Panofsky.
Il film, però, era in cantiere da quasi dieci anni perché oltre la scomparsa dello scrittore, ha dovuto affrontare anche altri problemi di produzione e, circa cinque anni fa, al produttore canadese si è affiancato anche Domenico Procacci, anche perché la parte ambientata a Parigi era stata spostata a Roma dallo stesso Richler. Quindi nel cast c’è anche qualche attore italiano e il figlio di Barney è interpretato, invece, dal vero figlio di Hoffman, Jake. I riferimenti ‘politically scorrect” e sottilmente eversivi presenti nel libro sono stati però trascurati per concentrarsi sull’eccentrica esistenza del personaggio e, in un certo senso, edulcorati. Comunque, la commedia di vita funziona e diverte.
“Anch'io come Barney – ammette Giamatti - sono un tipaccio orribile e come lui un romantico frustrato, dolce ma anche bastardo. Ho pensato anch’io di scappare dal mio matrimonio (con la cameriera), come lui, però poi mi sono trattenuto, non bisogna mica essere dei selvaggi! Perciò ho accettato il ruolo proprio per poter fare quello che nella vita ho desiderato ma non ho avuto il coraggio di fare”.
Dramma intimo ed intimista di un (in) solito triangolo quello firmato dal tedesco Tykwer, autore del già acclamato “Lola corre”, ma molto meno convincente. Berlino, oggi: Hanna e Simon sono una coppia mondana, che ha vissuto assieme per anni. Lavoro, amore, sesso e quotidianità si sono ormai amalgamate in una belligerante armonia. Poi Hanna incontra Adam. E Adam incontra Simon. Inaspettatamente, i tre si innamorano. Hanna e Simon non sanno della relazione dell’altro. Ma il segreto comincia lentamente a confondere tutti e tre gli amanti, e minaccia di spezzare i fragili legami della coppia. “Tre” è un’indagine sulla vita emozionale di una generazione che prova a riconciliare nuove possibilità e antichi desideri.
Il documentario di Giagni ripercorre la vita e la carriera del grande artista e scenografo Dante Ferretti, distintosi nell’ambito del cinema italiano e internazionale (due Oscar, tre Bafta Awards, cinque David di Donatello e dodici Nastri d’Argento). È lo stesso Dante a guidare lo spettatore nei luoghi che hanno fatto da cornice ai più importanti momenti della sua vita personale e professionale: dalla sua infanzia a Macerata agli inizi della sua carriera sempre nelle Marche sino a Cinecittà dove insieme a lui entriamo nel suo studio: è lì che ci mostra i suoi splendidi disegni, i plastici, i premi ricevuti; sino al Museo del Cinema e lo Statuario del Museo Egizio di Torino. Il documentario è arricchito da sequenze di alcuni dei più emozionanti film cui ha contribuito e da immagini di repertorio, alcune inedite, interviste e backstage che ricostruiscono a 360 gradi l’anima e la carriera di questo grande artista. Tra gli intervistati: Martin Scorsese, Harvey Weinstein, Terry Gilliam, Leonardo Di Caprio, Giuseppe Tornatore, Liliana Cavani, Jean Jacques Annaud, Valentino, Carla Fendi e tanti altri.
Goffredo Lombardo è stato uno tra i più illustri produttori del panorama cinematografico italiano e grande testimonial – come si dice oggi – nel mondo; “L’ultimo Gattopardo” di Tornatore ne ripercorre la vita e l’attività grazie a una serie di sequenze di film prestigiosi della Library Titanus con testimonianze d’epoca e dei nostri giorni di attori, registi, sceneggiatori sia italiani che stranieri, che hanno lavorato con lui e che tracciano la storia centenaria di una delle più prestigiose case cinematografiche italiane.
“News from Nowhere” (Notizie da nessuna parte) di Morrissey, già allievo di Andy Warhol, segue gli incontri fra un enigmatico sconosciuto e gli abitanti di una città portuale statunitense affacciata sull’Atlantico, allo scopo deliberato di ritornare non solo allo stile delle opere giovanili del regista, ma anche al tipo di film che il cineasta ha realizzato in Europa (inclusa l’Italia) negli anni '60 e '70: uno stile cinematografico che è praticamente scomparso e, proprio come il protagonista di questa pellicola, è di fatto indesiderato. La natura e l’aspetto dello straniero lo separano dagli autoctoni che tentano di stabilire un contatto con lui; il protagonista, che mantiene solo un’identità di facciata, non ha alcuna intenzione di dare spiegazioni o di raccontare storie drammatiche sulla propria vita. Quali che siano le sue motivazioni, preferisce tenerle per sé.
“Lo spazio dimenticato” è il mare, almeno finché non accade un disastro. Ma, secondo il documentario girato a quattro mani, forse il maggiore disastro dei trasporti marittimi è la catena di distribuzione che porta l’economia globale verso l’abisso. Il film, infatti, ‘insegue’ i container a bordo di navi, chiatte, treni e camion, ascoltando i lavoratori, tecnici, progettisti, politici e quelli che vengono marginalizzati dal sistema globale dei trasporti. Si tratta di visite presso agricoltori costretti ad abbandonare la propria terra in Olanda e Belgio, camionisti sottopagati a Los Angeles, marinai a bordo di mega navi che fanno la spola tra l’Asia e l’Europa e operai cinesi, i cui salari bassi sono la fragile chiave dell’intero rebus. A Bilbao, scopriamo l’espressione più sofisticata dell’idea che l’economia marittima, e il mare stesso, sono in qualche modo obsoleti.
Fuori concorso anche l’horror (tridimensionale) giapponese “The Shock Labyrinth 3D” di Takashi Shimizu, che uscirà nelle sale italiane il mese prossimo. Una ragazza riappare a dieci anni dalla sua misteriosa scomparsa, avvenuta durante una gita al lunapark. Gli amici la accolgono sorpresi e felici, ma sono costretti a portarla d'urgenza in ospedale per un improvviso collasso. L'ospedale si rivelerà però un luogo da incubo, un vero e proprio labirinto… degli orrori!
Ad un giorno dai Leoni sono arrivati i premi collaterali. Il “Premio Brian”, alla sua V edizione, è stato attribuito al film “I baci mai dati” di Roberta Torre. Messo in palio dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), il “Premio Brian” (dal titolo del film satirico dei Monty Python “Brian di Nazareth”) viene attribuito a “un film che evidenzi ed esalti i valori dal laicismo, cioè la razionalità, il rispetto dei diritti umani, la democrazia, il pluralismo, la valorizzazione delle individualità, le libertà di coscienza, di espressione e di ricerca, il principio di pari opportunità nelle istituzioni pubbliche per tutti i cittadini, senza le frequenti distinzioni basate sul sesso, sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale, sulle concezioni filosofiche o religiose”.
Il Leoncino Agis-Scuola è andato a “Barney’s Version”, mentre il Premio “Pari Opportunità” alla protagonista del discusso “Venus Noire” di Abdellatif Kechiche, Yahima Torres e consegnato dal Ministro dell’omonimo dicastero, Mara Carfagna. E domani, invece, ci sarà l’attesa premiazione ufficiale.
José de Arcangelo