lunedì 6 settembre 2010

Al Lido il "Vallanzasca" di Placido e Rossi Stuart scatena le (solite) polemiche

Al centro del sesto giorno alla 67a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato l’atteso “Vallanzasca - Gli angeli del male” firmato Michele Placido (fuori gara) e ispirato all’autobiografia “L’ultima fuga” (scritto con Leonardo Coen), che ha scatenato le ormai solite polemiche. Tra gli altri film in programma oggi: “Essential Killing” di Jerzy Skolimowski e il film sorpresa “The Ditch” del cinese Wang Bing in concorso, mentre fuori concorso c’erano anche “I'm Still Here” di Casey Affleck e l’indiano “Raavanan” di Mani Ratnam, che ha ricevuto il premio Jaeger-leCoultre. “Ma che storia” di Gianfranco Pannone in Controcampo Italiano, “Reconstructing Faith” di Wen Hai e “Verano de Goliat” (Estate da Golia) di Nicolás Pereda in Orizzonti.
Accusato di apologia dai più (anche dai parenti delle vittime) e da genitori timorosi che i giovani possano imitarne le prodezze criminali, la pellicola di Placido è il solito e spettacolare dramma d’azione come ne sforna Hollywood fin dai tempi di Al Capone, o come ha fatto la Francia qualche tempo fa con “Nemico pubblico”, un biopic addirittura in due parti sul criminale più famoso d’oltralpe. Dopo le accuse rivolte alla tivù della violenza (e non) si ritorna a colpevolizzare il cinema – come periodicamente accadde fino agli anni ’60 - dei mali del mondo. Argomento vecchio quanto il cinema, quindi, ovvero che va e viene da oltre un secolo. Le critiche al film possono (e devono) essere altre, anche perché Placido poi ‘spara’ a destra e a manca.
La vita, i crimini, gli arresti e le fughe dal carcere di Renato Vallanzasca (interpretato da Kim Rossi Stuart, anche sceneggiatore) e della sua banda in un racconto cinematografico che è anche un capitolo della nostra storia più recente. Milano, anni ‘70. Il mondo della mala è dominato dal potere incontrastato di Francis Turatello, detto “Faccia d’angelo”, quando la banda Vallanzasca irrompe sulla scena. Iniziato fin da giovane alla carriera criminale ora guida un gruppo di amici di infanzia, tossici e delinquentelli, che dalle rapine passa facilmente all’omicidio. Il denaro scorre e la banda si dà alla bella vita. Renato nel frattempo ha incontrato Consuelo, bellissima e disinvolta ragazza meridionale che si trova con lui nel momento del primo arresto e gli resterà accanto fino all’evasione da San Vittore, 4 anni e mezzo dopo. Ma la latitanza si conclude con l’uccisione di due poliziotti presso il casello di Dalmine: il boss viene arrestato poco dopo. Il periodo di detenzione a Rebibbia gli offre l’occasione di un chiarimento col rivale Turatello. Gli anni successivi vengono scanditi dai passaggi da un carcere all’altro, da processi e rocambolesche fughe. Dopo l’ennesima evasione rivede Antonella, amica d’infanzia, che gli era stata accanto per tutta una vita. Ma ancora una volta la latitanza di Vallanzasca si conclude in una sera d’estate.
“Abbiamo raccontato la storia di un uomo nel bene e nel male – dichiara Rossi Stuart -, ma non c’è nessuna apologia, anzi. Si può dire tutto di lui, ma non che sia un furbo e questa è la cosa che mi è piaciuta. Ci sono tanti altri motivi per condannarlo, per metterlo sulla graticola mostrandone i lati negativi. E capisco perfettamente il punto di vista dei parenti delle vittime”.
“In questo periodo si dice un po’ ovunque che Vallanzasca è il pericolo numero uno in Italia dal dopoguerra a oggi – ribatte alimentando le polemiche Placido. Vallanzasca è un criminale, è ancora in prigione quindi sta pagando mentre in Parlamento si trovano persone che hanno fatto peggio di lui e sono a piede libero. Io sono stato prima in un collegio di preti e poi sono stato un poliziotto quindi conosco i vari lati dell'Italia. Kim mi ha dato forza e coraggio per realizzare il film perché voleva farlo come attore e io lo capisco bene. Negli anni '70 Vallanzasca è stato un mito costruito anche dalla stampa, comunque aveva una leggerezza, una bellezza dietro la quale si nascondeva il criminale. Non tutti i criminali rispondono al modello lombrosiano e qui sta il mistero di Vallanzasca”.
Dalla Milano anni ’70 all’Afghanistan oggi con il redivivo maestro polacco Jerzy Skolimowsky, che firma uno scioccante dramma esistenziale, ritratto (minimalista) di un uomo braccato come una belva che lo diventa per istinto di sopravvivenza. Redivivo anche il sempre bravo e intenso protagonista Vincent Gallo, a Venezia anche con il suo nuovo film da regista.
Catturato dai soldati americani in Afghanistan, Mohammed viene trasferito in un centro di reclusione segreto in Europa. Quando il mezzo su cui viaggiano rimane coinvolto in un incidente, il prigioniero si ritrova inaspettatamente in libertà e fugge nella foresta innevata, così lontana dal deserto a lui familiare. Braccato senza sosta da un esercito che ufficialmente non esiste, Mohammed è costretto a uccidere per sopravvivere, proprio come una bestia.
Dramma politico, il film a sorpresa cinese, perché narra un’atroce storia di dissidenti nella Repubblica Popolare Cinese alla fine degli anni ’50. Trionfo del contenuto sulla forma (narrazione un po’ piatta) nel dramma (freddo) di un regista che viene dal documentario. Il governo condanna ai campi di lavoro forzato migliaia di cittadini considerati “dissidenti di destra” a causa delle loro attività passate, di critiche contro il Partito Comunista o semplicemente a causa della loro provenienza sociale e famigliare. Deportati per essere rieducati nel campo di Jiabiangou nella Cina Occidentale, nel cuore del Deserto del Gobi (sorta di Siberia cinese), lontani migliaia di chilometri dalle loro famiglie e dai propri cari, circa tremila “intellettuali” di estrazione basso o medio borghese dalla provincia di Gansu furono costretti a sopportare condizioni di assoluta povertà. A causa delle fatiche disumane a cui venivano sottoposti, delle condizioni climatiche estreme e incessanti e delle terribili penurie di cibo, molti morirono ogni notte nei fossi dove dormivano. Il fossato racconta il loro destino: un resoconto coraggioso di un’umanità spinta ai limiti più estremi.
Uno spettacolare mélo è invece la pellicola targata Bollywood, già insignita di un premio collaterale. Amore, morte, avventura, azione, scontro tra il Bene e il Male sono gli ingredienti (soliti) ma ben mixati in oltre due ore di proiezione. Ma chi ama il genere non verrà deluso. La storia: Dev si innamora di Ragini, ballerina esuberante e anticonformista quanto lui. Si sposano e lui si trasferisce per un nuovo incarico a Vikramasingapuram, piccola città dell’India meridionale. Una città dove a dettar legge non è la polizia ma Veera, un membro della comunità tribale che nel corso degli anni ha spostato l’ago della bilancia del potere dalla classe dirigente verso i più poveri. Dev sa che se vuole riportare l’ordine in questo posto deve “catturare il pesce più grosso”, ovvero Veera. In un solo colpo Dev riesce a far breccia nel mondo del boss, scatenando una serie di eventi che costeranno la vita ad alcuni, e la cambieranno per sempre ad altri. Veera, ferito ma furioso, sferra un attacco che porterà Dev, Veera e Ragini nella giungla, quella fitta, che disorienta e spaventa. E in questo viaggio devono confrontarsi con la propria verità. Un viaggio che metterà alla prova i loro valori, le loro convinzioni ed emozioni. Emozioni che disorientano e spaventano quanto la foresta stessa…
Il debutto nella regia dell’attore candidato all’Oscar Casey Affleck, fratello e collega del più noto Ben, “I’m Still Here”, è l’impressionante ritratto di un anno tumultuoso nella vita dell’attore di fama internazionale Joaquin Phoenix. Con uno sguardo privilegiato (Affleck è oltre che amico è cognato di Phoenix), “I’m Still Here” segue l’attore mentre annuncia il ritiro da una carriera di successo nel cinema nell’autunno del 2008 e l’inizio di un processo di re-invenzione di se stesso come musicista hip-hop. A tratti divertente, a tratti scioccante, sempre avvincente, il film è il ritratto di un artista a un bivio. Sfidando le aspettative, esplora con destrezza le nozioni di coraggio e re-invenzione creativa, così come le conseguenze di una vita passata sotto l’occhio del pubblico.
Un viaggio tragicomico nella Storia, è invece il lungometraggio di Pannone, attraverso il lungo e faticoso percorso unitario italiano. Mazzini, Garibaldi, Cavour, Verdi…, nomi che oggi suonano lontani, ma che così lontani non sono. Una grande rivoluzione quella del Risorgimento, salutata come vera e propria epopea nell’Ottocento, ma ridimensionata nel secolo successivo dal “male oscuro” italiano. Potere, intellettuali e popolo, un rapporto difficile, spesso violento e non privo di cinismo, che di fatto ha impedito il formarsi di un sentimento nazionale condiviso. Il racconto di questa epopea a metà, si sviluppa tra cinegiornali e documentari, dell’archivio Luce che attraversano, non senza retorica, la storia nazionale dagli anni dieci agli ottanta.
“Un sentimento critico e amaro, anche ironico, che è nelle parole di scrittori e poeti di estrazione politico-culturale diversa; e, vero e proprio controcanto, suoni ed espressioni del popolo, che cantano gioie e dolori di una storia ricca e violenta. Un Paese incapace di mettersi in discussione, di elaborare i propri lutti, di guardarsi dentro, tutto proteso verso un finto nuovo che ha finito col procurare grandi tragedie partorite da folli illusioni. Un Paese che si potrebbe dire morto, se non fosse che gli appartengono pagine straordinarie di storia e letteratura oltre che una ricchezza antropologica unica”.
E’ un documentario, invece, l’altro film cinese presentato nella sezione Orizzonti “Ricostruendo la fede”. Infatti si tratta della fede buddista e del sogno della sacerdotessa Guo di ricostruire/ristrutturare il tempio. Nella città di Yueyang, un’associazione civica chiamata “I lettori di sutra” raccoglie volontari che vogliano migliorare le loro vite e il loro spirito attraverso la religione. Circa trecento membri offrono volontariamente il loro tempo per dare assistenza e sollievo agli anziani, ai deboli e ai disabili. Il Tempio della Foresta di Bambù Viola è dimora alla sacerdotessa Guo, che ha dedicato più di un decennio alla raccolta di scritture e saria (reliquie) buddiste. La sua speranza è di ristrutturare il Tempio Kunshan locale ed erigervi una stupa (edificio destinato a ospitare le reliquie). La costruzione della stupa è cominciata nel 2006 e si è conclusa nel 2009. Il Tempio è anche centro di attività buddiste. La gente vi si riunisce per leggere e discutere le scritture.
Dalla Cina al Messico per seguire la storia di Teresa, sconvolta dall’improvvisa scomparsa del marito. Scoprire che cosa è successo veramente diventa per lei una missione, ma anziché trovare risposte la sua ricerca si trasforma in un viaggio nelle strade e nelle case delle persone che incontra. Mescolando assieme storia inventata e documentario, i suoi vagabondaggi ritraggono la città e i suoi abitanti. Attraverso una storia fatta di personaggi e del paesaggio fisico del piccolo paese, ci lasciamo trasportare assieme a Teresa fra spazi e individui tormentati dalle conseguenze della perdita di persone care, delle promesse infrante, della separazione e da un’eterna nostalgia
Per la Settimana della Critica è stato presentato lo svedese “Beyond” di Pernilla August con Noomi Rapace, diventata famosa perché interprete della trilogia tratta dai romanzi “Millennium”.
José de Arcangelo