venerdì 27 giugno 2008

Pesaro: rincontro con Solanas quarant'anni dopo


PESARO, 27 – Siamo arrivati al penultimo giorno della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro 2008, ma ieri è stata un’altra giornata ricca di film e di eventi culturali. La mattina si è aperta con la proiezione, per la monografica Cinema Tedesco Contemporaneo, di “Milchwald” di Christoph Hochhausler, e si è chiusa con l’interessante tavola rotonda sul tema in presenza dei registi ospiti del festival.

Il primo pomeriggio è stato all’insegna del cinema malese con la presentazione di una selezioni di sei cortometraggi realizzati negli ultimi sei-sette anni, cioè da quando il digitale è diventato mezzo di espressione a portata di tutti e ha visto nascere una vera e propria generazione di registi, di cui Amir Muhammad – che li ha selezionati – è il più noto rappresentante. Presente all’incontro anche Tan Chui Mui, anche lei produttrice, regista di “A Tree in Tanjung Malim” e protagonista del corto “Sometimes Love is Beautiful” di James Lee.

Poi l’evento del 40° Anniversario del ’68, con la proiezione della terza parte de “La Hora de los Hornos” e l’arrivo del regista, direttamente dall’Argentina via Parigi-Bologna, Fernando Solanas. Un rincontro davvero emozionante perché l’autore, con il fondatore Bruno Torri, hanno rievocato l’allora quarta edizione del festival prima contestata, come ogni manifestazione culturale promossa dalle istituzioni “borghesi”, e poi trasformatasi in una sorta di assemblea permanente tra registi latino-americani e italiani. Tra i “nostri” c’erano l’attivissimo Valentino Orsini che - secondo Solanas che l’aveva conosciuto in Argentina, dove era andato a girare un documentario industriale - l’aveva spinto a realizzare la post-produzione e le copie del suo film in Italia, precisamente nei suoi laboratori di Roma. Ma nell’ormai lontano ’68 c’erano anche Bertolucci, Bellocchio, Gregoretti e tanti altri, tra brasiliani, argentini – c’era anche il co-sceneggiatore collaboratore di Solanas, Octavio Getino – venezuelani, cubani, e, ovviamente, studenti di tutt’Italia.

Poi l’autore argentino ha parlato non solo della realizzazione e della diffusione ‘clandestina’ del suo documentario-saggio socio-politico dell’America Latina, ma anche della situazione nel continente e nel paese sudamericano oggi. Ne riparleremo.

In serata, per Bande à part, un altro film malese del 2007: “Taufu - Prigione” di Brando Lee. Un dramma quotidiano che narra la vicenda di Hong, uscito dal carcere dopo cinque anni e ancora assillato dal ricordo della moglie e del figlio, uccisi in un incidente stradale mentre guidava ubriaco. E la vita fuori dalla prigione sembra peggiore, nonostante il padre insista nel fargli prendere in gestione l’attività familiare di produzione di taufu. Anzi il giovane finirà nel giro della prostituzione.

“Una volta lessi un libro religioso – confessa il regista – e rimasi molto attratto dal credo: ‘Ciò che dai, è ciò che ottieni’. Tutti fanno errori nella vita, ma sarà data una seconda possibilità, o dovrebbe essere data? Io credo di sì, ma si può fuggire dalla punizione per gli errori fatti? Credo di no, proprio perché: ‘Ciò che dai, è ciò che ottieni’”.

In piazza invece è stato presentato un ambizioso film tedesco scritto e diretto da Martin Gypkens, presente alla Mostra, “Nichts als Gespenster - Nothing but Ghosts”. Cinque storie incrociate e raccontate parallelamente, girate in cinque paesi diversi (Germania, Italia, Giamaica, Usa e Islanda) in cinque mesi. Un dramma on the road per parlare ancora di disagio, crisi dei rapporti (di coppia) e solitudine che ci fa constatare che il viaggio non basta se non riesce (né riusciamo) a cambiare noi stessi. Emergono in primo piano soprattutto i ruoli-ritratti femminili.

Ellen e Felix (l’episodio più intrigante-inquietante) sono in viaggio in macchina nel Sud-Ovest degli Stati Uniti per vedere il deserto, ma è la loro relazione ad essere arida; Caro (quello più autorial-esistenziale, forse), di ritorno da Praga, si ferma a Berlino a casa della sua amica Ruth che le presenta il suo nuovo ragazzo, e lui finisce per innamorarsi (ricambiato) di lei; Jonas e Irene (il più curioso e ‘carnale’) – che si dichiarano ‘migliori amici’ – cercano rifugio in Islanda da un vecchio amico sposato per superare relazioni fallite, ma finiscono a letto insieme; Marion (forse l’episodio più debole e banale) vuole festeggiare il suo compleanno con i genitori che si trovano in viaggio a Venezia; Christine (nella vicenda più ambigua) si ravviva quando un tornado si avvicina alla Giamaica, dove è ospite di amici.

Un buon film che però non eccelle, nonostante l’ottimo cast corale con volti ormai popolari in patria e che noi, in soli cinque giorni, abbiamo già imparato a riconoscere, tra cui August Diehl, Maria Simon, Jessica Schwarz, Janek Rieke, Brigitte Hobmeier. Da segnalare anche la fotografia di Eeva Fleig.

Va ancora avanti la retrospettiva-omaggio (quasi completa) Dario Argento che ieri ha presentato i suoi lavori degli anni Ottanta-Novanta: l’episodio del dittico, firmato con George A. Romero, “Due occhi diabolici” (1990), ovvero “Il gatto nero”; “Opera (1987), “Phenomena” (1985), “Trauma” (1993) e “La Sindrome di Stendhal” (1996). Nel Dopofestival altri cinque corti di video arte: “Nummer Vier” di Guido van der Werve, “Hit Me” di Oliver Pietsch, “Real Remnants of Fictive Wars – Part I” di Cyprien Gaillard, “Senza titolo (Dirigibili)” di Matteo Rubbi e “Balcus’ Latvia 1989-91” di Arnis Balcus.

José de Arcangelo