martedì 24 giugno 2008

"La terramadre" conquista il pubblico in piazza a Pesaro



PESARO, 24 – Giornata piena e ricca di proposte, ieri, alla 44°. Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, nonostante comincino oggi la Retrospettiva-Omaggio a Dario Argento (al cinema Astra) e il Dopofestival a Palazzo Gradari, a mezzanotte circa, dedicato alle nuove tendenze ed al cinema altro, cioè video soprattutto ma non solo.

Di primo mattino, per la sezione Cinema Tedesco Contemporaneo, abbiamo visto “L’amour, l’argent, l’amour” di Philip Groening che già fin dal titolo si rifà ad un certo cinema francese, incentrato sull’amour fou e dintorni. Forse il riferimento più eclatante è il Rivette anni Settanta, anche se con meno inventiva e, per certi versi, più urlato e meno riflessivo, anzi. Groening è, sicuramente, meno ‘filosofico’ del maestro francese. Ma, comunque, la sua è una pellicola più che interessante e (quasi) on the road, che dimostra come alla fine i soldi condizionino le nostre scelte e la nostra esistenza.

Per la stessa sezione, in serata, è stato proiettato “Aus der Ferne – From Far Away” di Thomas Arslan. Un documentario che racconta il viaggio del regista, tra maggio e giugno 2005, da Istanbul al monte Ararat, la terra di suo padre.

Nel pomeriggio, per Cine en Construcciòn, è stato presentato l’ecuadoriano (il paese sudamericano ne produce uno al massimo due film all’anno) “Esas no son penas” (t.l. Quelle non sono pene) di Anahi Hoeneisen e Daniel Andrade (2006). Gruppo di donne – della piccola borghesia di Quito, la capitale – in un interno, amiche fin dai tempi del liceo che non si vedevano né sentivano da quindici anni e si ritrovano perché una di loro ha scoperto che ha i giorni contati. Ne viene fuori il ritratto di quattro donne (Marina, Diana, Elena, Tamara) che conosciamo prima dell’incontro con la quinta, Alejandra. E quello che le accomuna in fin dei conti è la solitudine, anche quando hanno un marito o un amante, o entrambi.

Ben costruito e meglio interpretato, i registi hanno il pregio di narrare le quattro storie contemporaneamente ma, forse, per il pubblico europeo il film sa di déjà vu. Anche quando il titolo allude, indirettamente, al fatto che “queste pene d’amore e solitudine” non sono niente in confronto a tragedie ben più gravi che accadono nei dintorni della stessa capitale sudamericana.

Per Bande à Part è toccato a “The Prisoner / Terrorist” di Masao Adachi (2007) che abbiamo visto in copia dvd da lavoro perché la dogana di Milano tiene fermo il film da quasi una settimana, forse a causa del titolo. D’altra parte il regista stesso non è potuto essere presente al festival perché il governo giapponese non gli concede il passaporto, forse perché, a suo tempo (35 anni fa), era un collaboratore nel Libano del gruppo Armata Rossa che compì un attacco suicida all’aeroporto. E, secondo il produttore Naruhiko Onosawa, anche perché si è sempre dichiarato contro le istituzioni. Probabilmente pure perché l’azione suicida sembra essere il punto di partenza del terrorismo contemporaneo.

Infatti il film si ispira alla storia dell’attentato e narra soprattutto la vicenda carceraria dell’unico sopravvissuto. Ma lo fa dal punto di vista esistenziale, in una sorta di spietata (e lunga per il pubblico occidentale) riflessione su libertà e oppressione, punizione e tortura.

“Disegnando questa fantasia – ha detto in patria l’autore – di complicazioni contraddittorie, come la questione della libertà, ho cercato di fare appello a quelle persone che vivono gli stessi problemi nel mondo presente, quello dell’attuale società ben controllata”.

Di seguito quattro cortometraggi del giovane Ben Rivers “Ah, Liberty!”, “House”, “The Coming Race” e “This Is My Land”, realizzati tra il 2005 e il 2008. Con una tecnica che ricorda il cinema muto, perché senza dialoghi e in bianco e nero, e il (finto) documentario, Rivers ricrea mondi lontani di ieri e di oggi, veri o fantastici. Dal ritratto del solitario Jake Williams, che vive a poche miglia dalla foresta di Aberdeenshire, in Scozia; alla storia di un vago, misterioso e inquietante pellegrinaggio denso di intenzioni sconosciute, tratto da un romanzo vittoriano di E.G.E. Bulwer-Lytton (1870).

In serata “Ten Oxherding Pictures 3 e 4 del sud coreano Ji-Sang Lee, il primo è un documentario di mediometraggio girato in Tibet, il secondo è un cortometraggio ispirato a un racconto popolare su due mele cotogne cinesi.

La vera sorpresa in piazza, in parte preannunciata dalla calorosa accoglienza alla berlinale, con l’unico film italiano del concorso, “La terramadre” di Nello La Marca che, raccontando di gente che viene e gente che va – ma non siamo al Grand Hotel ma bensì in un paesino della Sicilia –, fotografa la dura e cruda realtà di emigranti e immigrati. I siciliani che sono emigrati venti-trent’anni fa in Germania e gli extracomunitari che approdano sulle coste siciliane – quando ci riescono – in cerca di fortuna ma che finiscono nella rete di speculatori e sfruttatori. Ma il giovane protagonista, Gaetano, non vuole lasciare la sua terra, anche se il padre - che la definisce “terra dei morti” -, pretende ad ogni costo che lo segua in Germania dove intende aprire un bar.

Il tutto raccontato con grande freschezza e lucidità, senza calcare la mano né denunciando nulla, ma soltanto illustrando fatti e personaggi in modo giusto e sincero. Inoltre, affronta un tema che in Italia tocca un po’ tutti, nonostante la più grande emigrazione sia partita dal Meridione, perché per i nostri antenati, amici e parenti è stata (quasi) sempre una scelta forzata, spinta dalla necessità, quando non dalla miseria e dalla fame.

Il lungometraggio è stato preceduto dal corto documentario “Ayazma, un ghetto curdo nel cuore di Istanbul” di Matteo Pasi e Marcello Dapporto - prodotto dal Ciscase con il supporto dell’Associazione Non Governativa “Un Ponte per…” -, su un vero e proprio villaggio sorto nella periferia della ex capitale turca (sotto il supertecnologico nuovo stadio di calcio), e abitato dai profughi curdi, i cui villaggi erano stati distrutti. Un quartiere che per l’amministrazione municipale e persino per gli abitanti d’Istanbul non esiste e, quindi, non offre né servizi né diritti a nessuno.

José de Arcangelo