domenica 31 ottobre 2010

Si moltiplicano le proposte al Festival di Roma: l'Italia dalla Stazione Termini all'India passando per la Sicilia di Camilleri

Roma, 31 – Al quarto giorno le proposte si moltiplicano al Festival Internazionale del Film di Roma ma non sempre le riusciamo a seguire sia per la contemporaneità di proiezioni e incontri, sia per ostacoli di organizzazione che finiscono per penalizzare persino noi accreditati.
Così ieri abbiamo mancato l’appuntamento con “La dinastia Bhutto”, incontro con i famigliari di Benazir, primo fra tutti il figlio Bilawai Bhutto Zardari, attuale presidente del Partito del Popolo Pakistano; e anche la proiezione del documentario “Bhutto” di Duane Baughman e John O’Hara. Alle fine la sala è stata riempita giustamente dal pubblico e non sono rimasti posti abbastanza per gli accreditati, stampa e non.
In concorso è stato presentato “In a Better World - In un mondo migliore” della danese Susanne Bier che ha risvegliato una falsa polemica sul Darfur, già smentita e superata.
Ecco il comunicato dell’ufficio stampa, portavoce dell’autrice: “Dopo il clamoroso successo con cui è stato accolto‘In un mondo migliore’ alla proiezione ufficiale del Festival di Roma, la regista Susanne Bier si vede costretta a tornare su un fraintendimento legato al film, già ampiamente chiarito in passato, ma purtroppo rilanciato erroneamente dalla stampa italiana. La parte del film ambientata in un campo di rifugiati africano, infatti, non si svolge in Sudan, né fa alcun riferimento alla situazione del Darfur. «La questione, priva di fondamento - chiarisce la regista - è saltata fuori durante il montaggio del film. Il Governo sudanese ha accusato il film, senza averlo visto, di essere anti-islamico e di dipingere una situazione inesiste nte in Darfur, mentre il film è stato girato in Kenya e l’azione si svolge volutamente in un luogo non specificato dell’Africa. La storia poi non ha nulla a che vedere con la religione: l’accusa era del tutto fuori luogo e, quando il film infine è stato visto, erano tutti d'accordo che si trattasse di un equivoco». La Bier si dice sorpresa e amareggiata di come questa vecchia polemica, di cui ovunque si era spenta l’eco, sia riuscita comunque ad arrivare in Italia, riprendendo vita sulle testate nazionali malgrado l’ulteriore chiarimento offerto durante la conferenza stampa ufficiale organizzata dal Festival di Roma”.
In gara anche “Oranges and Sunshine” di Jim Loach, figlio del celebre Ken (neth), su uno degli scandali più recenti della storia inglese. La storia di Margaret Humphreys, assistente sociale di Nottingham, svela un segreto nascosto per anni dal governo britannico: 130.000 bambini inglesi indigenti inviati all’estero dal 1920 al 1960.
Fuori concorso “Il padre e lo straniero” di Ricky Tognazzi con Alessandro Gassman, Ksenia Rappoport e Amr Waked, dal romanzo di Giancarlo De Cataldo, che ha collaborato anche alla sceneggiatura. Un dramma sulla diversità, sulla ‘malattia’ e sul rapporto padre-figlio che non ha convinto tutti, perché in bilico fra eccezionalità e ambiguità. Diego, impiegato romano con figlio disabile, conosce Walid, ricchissimo uomo d’affari siriano anche lui padre di un bimbo gravemente handicappato. Dalla stessa sofferenza nasce un’insolita amicizia. Anche l’inglese “We Want Sex Made in Dagenham” di Nigel Cole con Sally Hawkins e Bob Hoskins. Un titolo che può trarre in inganno su una vicenda vera ambientata a Dagenham nel 1968: Fabbrica della Ford, cuore industriale dell’Essex. Mentre gli uomini lavorano alle automobili nel nuovo dipartimento, 187 donne sottopagate cuciono i sedili in pelle nell’ala che cade a pezzi. Le operaie, però, finiscono per perdere la pazienza. Una commedia operaia con un tocco ‘all british’, fra Ken Loach e “Full Monty”, anche perché il regista è quello di “L’erba di Grace” e “Calendar Girls”.
Per l’Altro Cinema - Extra “The Woodmans” di C. Scott Willis e il cortometraggio “Salve Regina” dell’italiana Laura Bispuri. Sempre fuori concorso “Proie” di Antoine Blossier (Francia), su una famiglia di proprietari terrieri e industriali alla ricerca di un cinghiale mostruoso nella palude vicina alla loro residenza. Ma i cacciatori diventeranno prede. Fra Walter Hill e John Carpenter.
In concorso due film dove il sesso è al centro delle vicende: “The Canal Street Madam” di Cameron Yates (Usa), storia da una delle prostitute più rinomate di New Orleans che, costretta a fermarsi per uno scandalo, intraprende una battaglia per vedere riconosciuto il suo diritto a fare ciò che vuole all’interno delle mura domestiche, ispirando persino un serial tivù. E il giapponese “Yoyochu in the Land of the Rising Sex” di Masa Ishioka, sul patriarca del cinema per adulti nipponico che ha speso la sua esistenza alla ricerca dei segreti della sessualità e della rappresentazione del piacere femminile.
Per il Focus sul Giappone, nella retrospettiva dedicata allo Studio Ghibli, il cult di Hayao Miyazaki “Porco ros so”, e un incontro sul tema “Italia e Giappone: due paesi per vecchi?”, organizzato dalla Fondazione Sigma-tau. Storie di straordinaria longevità tra cinema e ricerca media.
Alice nella Città ha presentato in gara “Hold Me Tight”, opera prima del danese Kaspar Munk e “Lou” dell’australiana Belinda Chayko. Il primo racconta la storia di quattro adolescenti alla ricerca della loro identità; mentre l’altro dell’undicenne Lou che teme che qualcuno possa ancora ferirla e si costruisce un guscio attorno a sé, tanto da non lasciare avvicinare nemmeno la madre.
Oggi, nella stessa sezione e in collaborazione con L’Altro Cinema, è toccato all’italiano “Un sasso nello stagno” di Felice Cappa, sulla formazione e l’evoluzione del pensiero poetico di Gianni Rodari. Biografia e opere, giornalismo (Paese Sera) e letteratura, saggi e teatro.
Nella selezione ufficiale, in concorso, un altro italiano, ma ambientato in India, “Gangor” di Italo Spinelli. Da un racconto breve della grande scrittrice Mahasweta Devi, un dramma coinvolgente sulla condizione della donna, dove il contenuto supera la forma ed eclissa lo stile. Il fotoreporter indiano Upin (Adil Hussain), inviato nel Bengala occidentale per un reportage, immortala il seno nudo di Gangor (Priyanka Bose) che allatta il figlio con le buone intenzioni di denunciare lo sfruttamento e la violenza subita dalle donne tribali. La foto viene pubblicata in prima pagina suscitando lo scandalo e provocando sulla donna un ancora peggiore effetto boomerang. Ossessionato dal pensiero di Gangor, Upin decide di tornare a Purulia per ritrovarla: scoprirà di essere diventato, senza volerlo, strumento della stessa violenza che avrebbe voluto fermare.
L’altro film in gara è “The Poll Diaries” di Chris Kraus (Germania-Austria-Estonia), storia della quattordicenne Oda alla vigilia della prima guerra mondiale a Poll, ai confini tra Germania e Impero Russo. Il padre è uno scienziato morboso e inquietante che controlla la famiglia in modo crudele, ma Oda, curiosa e ribelle, si prende cura di un anarchico estone ferito.
Fuori concorso il remake americano del bellissimo film svedese “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson, a sua volta tratto dal romanzo omonimo di John Ajvide Lindqvist: “Let Me In”, scritto e diretto da Matt Reeves (“Cloverfield”). Un dramma, in bilico tra horror contemporaneo ed educazione sentimentale, adattato – una volta tanto – ottimamente all’America degli anni Ottanta, nel New Mexico. Infatti, poche variazioni rispetto all’originale ma senza diventare una ‘copia carbone’ dell’originale. Certo chi ha visto e amato il precedente non ritroverà (scoprirà) le stesse emozioni e la sorprendente originalità. Comunque un buon film.
La storia per chi non la conosce ancora: la misteriosa dodicenne Abby trasloca nell’appartamento a fianco di Owen, fragile ragazzino preda del bullismo. La ragazzina, crudele vampira, diventa la migliore, anzi, l’unica amica di Owen ma… Una metafora in chiave horror del difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta, attraverso Eros e Thanatos. Straordinari i piccoli grandi protagonisti: Chloe Moretz (Amy) e Kodi Smit-McPhee (Owen), assecondati da Elias Koteas (il poliziotto), Richard Jenkins (il presunto padre di lei), Cara Buono (la madre di lui) e Dylan Minnette (Kenny). Il film è prodotto dalla risuscitata casa di produzione inglese Hammer, leggendario marchio horror anni ’50-’60 e oltre, e sarà distribuito in Italia da Filmauro.
“La storia mi ha davvero colpito – dice il regista -. Lindqvist e Alfredson hanno creato un’efficace metafora del tumulto dell’adolescenza”. E poi aggiunge “Ero entusiasta dal fatto che fosse la Hammer a fare questo film, dato il suo storico contributo al genere”. Se tutto funziona anche nel rifacimento è quasi tutto merito di Reeves (pure sceneggiatore) anche perché confessa: “Ad un certo punto, qualcuno suggerì di alzare l’età dei bambini per il pubblico americano ma questo avrebbe rovinato la storia perché questo specifico momento della loro vita ne è il tema centrale. Si racconta quanto sia dura per un dodicenne non avere amici ed essere vittima di bullismo; si racconta l’innocenza e la scoperta di quell’età del contrasto tra luce e tenebre”.
Evento speciale della domenica sera l’anteprima di “La scomparsa di Patò” di Rocco Mortelliti, dal romanzo di Andrea Camilleri, adattato niente meno che da Maurizio Nichetti con gli stessi autori. E la sceneggiatura e il cast sono il punto di forza di questa commedia-giallo in costume, in cui Mortelliti trova la grinta che non aveva nel precedente “La strategia della maschera”, sempre tratto dallo scrittore siciliano. Grazie al film i caratteristi Nino Frassica (Paolo Giummaro) e Maurizio Casagrande (Ernesto Bellavia) diventano protagonisti e dimostrano di avere tutte le carte in regola per continuare a farlo. Accanto a loro Neri Marcorè (Antonio Patò), Alessandra Mortelliti (signora Patò), Guia Jelo (prostituta), Simona Marchini (Principessa Imelda Sanjust) e i grandi Flavio Bucci (Arturo Bosisio) e Roberto Herlitzka (becchino Don Carmelo).
Vigata 1890, Venerdì Santo: nella piazza del paese viene messo in scena il “Mortorio” ossia la Passione di Cristo, nella quale l’integerrimo e irreprensibile direttore della sede locale della banca di Trinacria Antonio Patò interpreta la parte di Giuda. La rappresentazione giunge all’acme con l’impiccagione di Giuda-Patò che, accompagnato dagli improperi degli spettatori, cade nell’apposita botola. Tutto regolare, sembra, ma alla fine dello spettacolo Patò è scomparso: nel camerino non si trovano né i suoi abiti né il costume di scena. Qualche giorno dopo su un muro compare la scritta “Murì Patò o s’ammucciò (si nascose)?”. E’ quello che vogliono sapere tutti, dalla moglie al Senatore Pecoraro, dalla gente comune al Ministero dell’Interno. Alla delegazione di Pubblica Sicurezza di Vigata nella persona di Ernesto Bellavia e alla locale Stazione dei Reali Carabinieri nella persona del maresciallo Paolo Giummaro il compito di far luce sul mistero… Ma che fine ha fatto veramente Patò? Lo scoprirete, forse, alla fine della proiezione.
Nell’ampio programma di Alice nella Città, è passato anche il bel documentario, fra immigrazione e musica, impegno e cultura, “Termini Underground” di Emilia Zazza. L’esperienza vera di un gruppo di ragazzi multietnici – italiani inclusi - che nei sotterranei della Stazione Termini (i locali dell’ex dopolavoro) partecipano ai laboratori di hip-hop e break-dance condotti con passione ed altruismo dalla coreografa Angela Cocozza. Una delle tante ‘isole’ di cultura e solidarietà alternative che rischia, come di consueto, di chiudere i battenti.
Altro evento speciale la presentazione in anteprima mondiale di venti minuti dell’attesissimo film ispirato a “Dylan Dog” e firmato Kevin Munroe. Una nuova versione cinematografica per il personaggio cult creato dal genio dei fumetti Tiziano Sclavi e pubblicato da Sergio Bonelli.
José de Arcangelo