venerdì 4 settembre 2009

Al Festival di Venezia l'Italia attraverso l'obiettivo del documentario


Terzo giorno di proiezioni alla 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e apertura della sezione Controcampo italiano con “Dieci inverni” di Valerio Mieli. Ben tre i film in concorso presentati: “Lourdes” dell’austriaca Jessica Hausner, “Bad Lieutenant” (Il cattivo tenente) di Werner Herzog – arrivati ieri sera i protagonisti Nicolas Cage e l’affascinante Eva Mendez - e “Lei wangzi” di Yonfan. Fuori concorso, “Valalla Rising” di Nicolas Winding Refn ed “Ehky ya Schahrazad” di Yousry Nasrallah. Nella sezione Orizzonti, “Viajo porque preciso” (t.l. Viaggio perché ne ho bisogno) di Marcelo Gomes e Karim Aïnouz, “Dowaha” di Raja Amari, “Francesca” di Bobby Paunescu, di cui ne abbiamo parlato ieri, e “Il colore delle parole” di Marco Simon Puccioni.

A proposito di “Videocracy - Basta apparire” (da oggi nelle sale distribuito da Fandango), non solo ha scatenato la polemica (della maggioranza al governo) e il divieto per il trailer in tivù (leggi Rai e Mediaset), ma ha affollato le sale dov’è stato proiettato al Lido.

Ecco le parole del regista: "In una videocrazia la chiave del potere è l’immagine. In Italia soltanto un uomo ha dominato le immagini per più di tre decenni. Prima magnate della tivù poi Presidente, Silvio Berlusconi ha creato un binomio perfetto caratterizzato da politica e intrattenimento televisivo, influenzando come nessun altro il contenuto della tv commerciale in Italia. I suoi canali televisivi, noti per l’eccessiva esposizione di ragazze seminude, sono considerati da molti uno specchio dei suoi gusti e della sua personalità".

“Comunque la si pensi – ha dichiarato il direttore della Settimana Internazionale della Critica Francesco Di Pace - è un film che andava mostrato perché denuncia il potere che la tv ha sulla nostra società e sulla nostra cultura, quello che produce nella gente e come ne condiziona i comportamenti”.

Ma oltre al lucido e sorprendente, ma vero, documentario del regista italo-svedese, è stato presentato - nelle Giornate degli autori - “L’amore e basta” di Stefano Consiglio (anch’esso nelle sale da oggi, prodotto e distribuito da Lucky Red) che affronta senza retorica né rimaneggiamenti un altro argomento scottante attraverso le storie d’amore di nove coppie gay e lesbiche, non solo italiane, anzi europee.

Introdotto da Luca Zingaretti – che recita un testo di Aldo Nove – e intervallato da brevissimi film d’animazione di Ursula Ferrara, l’opera di Consiglio ci racconta le storie di Alessandro e Marco, due studenti universitari di Catania; delle quarantenni Nathalie e Valérie (e la loro figlioletta Sasha) che vivono a Versailles; di Catherine e Christine, due sessantenni parigine che stanno insieme da vent’anni; di Lillo e Claudio che, da diciassette anni, convivono a Sutri, un paesino vicino Roma; dei quarantacinquenni berlinesi Thomas e Johan; di Emiliana e Lorenza che stanno felicemente insieme nella loro bella casetta nella Bassa Padana; di Gino e Massimo che portano avanti un sodalizio amoroso e professionale da ben trent’anni nel loro negozio/laboratorio di oggetti in pelle nel cuore di un quartiere popolare di Palermo; di Gael e William che, invece, vivono e lavorano insieme nel loro ristorante del 14° arrondissement di Parigi; delle coniugi spagnole Maria e Marisol (legalmente unite in matrimonio non appena è stato possibile) che vivono in campagna a Vic, vicino Barcellona, con la loro prole formata da un maschietto di circa otto anni e due gemelline di sei.

Il regista ricorda come è nata l’idea. “Stavo ultimando – dice – il mio documentario sui bambini ‘Il futuro – Comizi infantili’, e tutt’ad un tratto mi sono risuonate nella mente le parole di una bambina e di un bambino di 12 anni che, interrogati sul tema dell’omosessualità, mi avevano dato una risposta tanto semplice quanto inequivocabile. Lei: ‘Se loro si vogliono bene… è certo che quello che vogliono fare lo fanno. Cioè se si vogliono bene si fa di tutto per uno che si vuole bene’. E lui: ‘Ci sono certi che sono di sesso diverso che non si amano tanto come certi che sono di sesso uguale… Un uomo che ama un altro uomo può amarlo più di una donna che ama un altro uomo”.

Un documentario che parla soprattutto di amore (come da titolo) e di coppia, ma illuminante soprattutto perché usa, appunto, quella spontaneità e quella freschezza tipiche dei bambini. Però anche un film per chi ancora non capisce, o non vuol capire, che la vita privata degli altri non dovrebbe interessarlo, così come non comprende che negando agli altri i diritti che appartengono a tutti non si fa altro che fomentare la violenza e il razzismo, e si condanna ancora una volta i bambini a restare orfani o vittime dei maltrattamenti e degli abusi, di solito commessi dai cosiddetti eterosessuali. Infatti, non è una novità, anzi è accertato che la pedofilia non c’entra niente con l’omosessualità.

E il film colpisce perché sono i diretti interessati a parlarne, senza nessun intervento del regista, tranne quello di cogliere il succo della questione, attraverso un montaggio efficace e una durata che non arriva all’ora e mezza. Da vero ascoltatore/spettatore.

La 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica ha ricordato in mattinata lo scrittore, commediografo, produttore e critico cinematografico Tullio Kezich, recentemente scomparso, con la proiezione del film “Il terrorista” (1963,), opera prima di Gianfranco De Bosio. Il film, girato proprio a Venezia e presentato alla 24a. Mostra, è tra i primi film prodotti da Kezich con la 22 dicembre, la casa di cui fu direttore artistico, da lui fondata il 22 dicembre 1961 insieme a Ermanno Olmi, dopo aver collaborato alla sua opera prima “Il posto”.

Attiva fino al 1965, la 22 dicembre ha prodotto anche le opere prime di Eriprando Visconti, “Una storia milanese” (1962, presentata alla 23a. Mostra) e di Lina Wertmüller “I basilischi” (1963), oltre a “I fidanzati” di Olmi (1963), “La rimpatriata” di Damiano Damiani e “L'età del ferro” di Roberto Rossellini, suo primo film televisivo.

José de Arcangelo