sabato 9 luglio 2016

"Les Ogres" di Léa Fehner vince il Premio Lino Micciché alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. Menzioni speciali alle opere prime "David" e "Per un figlio"

PESARO, 9 - La giuria, composta da sedici studenti provenienti dalle Università di cinema italiane: Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Università degli Studi di Salerno, Università degli studi di Milano, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Chieti e Pescara, ha assegnato dopo intense discussioni il Premio Lino Micciché per il miglior film del Concorso Pesaro Nuovo Cinema a: “Les Ogres” di Léa Fehner (Francia, 2015, 144’).

Sostenuto dalla seguente motivazione: “Per raccontare con efficacia le molteplici sfumature della vita, che prendono forma nella rappresentazione di un variopinto microcosmo; per la sua narrazione acrobatica e dinamica che avvolge lo spettatore in un girotondo di note, colori ed emozioni; per l'incisività dei dialoghi che restituiscono la malinconia dell'esistenza; per farsi specchio sognante dell'essenza artistica della natura umana”- la giuria della 52. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro assegna all'unanimità il premio Lino Miccichè al film ‘Les Ogres’ di Léa Fehner”.
Un giudizio che condividiamo, con un’unica pecca perché, forse, la durata di quasi due ore e mezza, soprattutto nell’ultima parte, si fa sentire e proprio quando sfiora il melodramma. Già perché “Les Ogres” non è una commedia né un dramma, non è un film romantico né on the road, ma una mix efficace e quello più adatto per rappresentare l’esistenza umana. Inoltre, la giuria ha deciso di assegnare due menzioni speciali: 1) a “Per un figlio” di Suranga Deshapriya Katugampala (Italia, 2016, 74’): per l’emozionante racconto di un’intimità che si impone sullo schermo come autentico ritratto sociale; per il suo verismo che sfuma in una seducente mappa simbolica; e per l'interpretazione della protagonista, che racchiude nei suoi affanni e nei suoi sguardi silenziosi la fatica del percorso verso una piena multiculturalità.
Un’opera prima italiana importante perché non solo è riuscita e toccante, ma anche perché conferma come la vera integrazione si ottenga attraverso le culture, spesso attraverso la loro fusione, senza che l’una cancelli l’altra. 2) a “David” di Jan Tesitel (Repubblica Ceca 2015, 78’): per la sua coerenza stilistico-formale; per il suo sguardo audace sull'incomunicabilità dei sentimenti; per il suo attore protagonista in grado di far emergere con estrema verità la complessità del suo personaggio e ad imprimere al film una tensione psicologica sempre vibrante. Anche questo tra i più vicini ai giovani e al loro disagio nella società contemporanea, ma tutti i film, trattandosi di opere prime e secondo, hanno offerto un ritratto o affrontato tematiche generazionali di ogni angolo del mondo, che spesso diventano universali.
Infatti, la scelta nella sezione a concorso con otto opere in anteprima mondiale, internazionale o italiana, non era un compito facile. Il comitato di selezione – formato dal direttore Pedro Armocida, Paola Cassano, Cecilia Ermini, Anthony Ettorre e Michela Greco – aveva visionato centinaia di film per arrivare a segnalare le opere cinematograficamente più libere, più nuove, lontane anche dall’idea che si ha dei film ‘da festival’. E tutte le opere contenevano qualcosa di nuovo, originale, anche quando avevano come riferimento i capolavori del passato, anche remoto. Attraverso un percorso lineare e coerente, si è passati dal ritratto corale di una grande compagnia di teatranti – il vincitore - della francese Léa Fehner con il suo “Les Ogres” (con Adèle Haenel, l’interprete de “La fille inconnue” dei fratelli
Dardenne presentato all’ultimo Festival di Cannes e vincitrice del Premio César come migliore attrice per il film “The Fighters - Addestramento di vita” di Thomas Cailley) allo sguardo etnologo dell’africano Christopher Kirkley, passando per il toccante viaggio nella più recondita provincia cinese di Bi Gan nel suo “Kaili Blues” (Miglior regia al festival di Locarno - Cineasti del presente), fino al percorso interiore di un giovane affetto da disturbi psichici che, una volta scappato da casa per raggiungere Praga, sperimenterà nuove forme di solitudine in “David” di Jan Těšitel. Il viaggio – che sia on the road o interiore – è il filo conduttore della selezione. Ed è quello che affronterà anche la giovanissima protagonista (interpretata dell’esordiente Moriah Blonna di cui sentiremo parlare presto) di “The Ocean of Helena Lee” dell’americano Jim Akin, nella dolorosa elaborazione
del lutto materno. Un film, quest’ultimo, in cui la seconda protagonista è la musica con la colonna sonora scritta dalla cantautrice Maria McKee, moglie del regista. Ma la Mostra del Nuovo Cinema è, ovviamente, anche politica, nel senso più primordiale del termine, e critica sociale. Ed è proprio su questa (consueta) linea che si muovono gli ultimi due film del concorso: il brasiliano “Where I Grow Old” (tl Dove invecchierò) di Marilia Rocha che, attraverso due complessi ritratti femminili, ci offre il punto di vista di due portoghese nel Brasile di oggi, e l’egiziano In “The Last Days Of The City” di Tamer El Said in cui emerge preponderante il disperato tentativo di ‘normalità’ in un paese sconvolto dalla cosiddetta ‘Primavera araba’. In continuità con
questi ultimi anche l’italiano “Per un figlio” di Suranga Deshapriya Katugampala, immigrato di prima generazione dello Sri Lanka, che rappresentava l’Italia in concorso. Il film, infatti, ci mostra le difficoltà e i conflitti culturali di una piccola comunità relegata ai margini della società che lotta per la sopravvivenza. Attraverso il complesso rapporto fra Sunita, cinquantenne cingalese trapiantata nella provincia nordica italiana, e il figlio adolescente – che rappresenta un perfetto esempio di ibridazione culturale –, “Per un figlio” diventa metafora di un’Italia interculturale con tutte le sue difficoltà. A giudicare il miglior film è stata una giuria composta dagli studenti provenienti dalle università con corsi di cinema insieme a colleghi delle principali scuole di cinema, presieduta da Roberto Andò che – per motivi personali (doveva accudire la madre 89enne) ha lavorato in diretta con i ragazzi via Skype. José de Arcangelo