venerdì 19 ottobre 2007

Festa Internazionale del Cinema di Roma: Alla Festa è arrivata l'ironica e regale Cate Blanchett

ROMA, 19 – Seconda giornata per la Festa Internazionale del Cinema di Roma, di cui è stata protagonista assoluta Cate Blanchett, sempre eccezionale interprete in "Elizabeth: The Golden Age". Ma è stata anche la giornata di Carlo Mazzacurati, cioè del primo film italiano del concorso "La giusta distanza" proiettato ieri sera e nelle sale italiane da domani in cento copie, distribuito da 01. E, naturalmente, seconda giornata per la diva Sophia Loren che, dopo la proiezione del documentario "Sophia ieri oggi domani", ha incontrato stampa e pubblico all'Auditorium Parco della Musica.

Gruppo di cinema in un interno per presentare il film di Mazzacurati. Oltre il regista c'erano gli interpreti (Giovanni Capovilla, Valentina Lodovini, Ahmed Hafiene e Fabrizio Bentivoglio), gli sceneggiatori (Doriana Leondeff, Marco Pettenello e Claudio Piersanti) e i produttori (Domenico Procacci per Fandango e Caterina D'Amico per Raicinema).

Un piccolo paese alle foci del Po. Un meccanico tunisino, Hassan; una giovane maestra, Mara, che una supplenza ha portato lì; un diciottenne aspirante giornalista, Giovanni, che passa il tempo ad aggiustare una vecchia motocicletta nell'officina di Hassan. Una storia che nasce sotto il segno dell'inquietudine e avrà una svolta tragica inaspettata.

"C'è il rischio di essere fraintesi – esordisce l'autore sul fatto che i suoi film sono sempre ambientati nella sua Veneto ‑, ho bisogno di un riferimento e di un luogo riconoscibile per avere la materia con cui raccontare una storia, per partire. Poi la vicenda in sé è un'invenzione. Non mi sento mai di documentare la realtà. Devo trovare la giusta equidistanza, io ci devo stare, conoscere, viverci per poter capire. Nasce da un sentimento di osservazione, dalla sensazione di un'inquietudine che sembra essersi depositata. Si chiama Veneto, mi dispiace quando viene denominato nord-est, ma ha una sua riconoscibilità, va verso un altrove. A volte viene identificato come luogo negativo, io invece vedo un'infelicità, ma è un'immagine di superficie, c'è qualcosa sotto di più inquieto".

"Uno racconta il mondo che conosce – continua Mazzacurati ‑, ma spero di essere capace di parlare a persone il più lontane possibile. La provincia è un luogo steso che si assomiglia ovunque. Non credo bisogni dimenticare, ma sono storie che avvicinano, che ci accomunano ad altre province. Ci sono posti in cui il presente sembra arrivato solo in parte. Concadalbero è un paese immaginario, ma assolutamente plausibile in cui questa storia è ambientata, un microcosmo alla periferia della realtà. Un luogo anonimo, misterioso, struggente. Siamo nel nord Italia, in quel lembo di terra che nelle cartine geografiche sembra sprofondare nel Mar Adriatico assieme alle ramificazioni arteriose del Po nel suo stadio di delta. Ma potremmo anche essere in una piatta area della campagna francese o in un qualsiasi piccolo centro agricolo del middle west americano, o in Argentina, e non credo che la storia cambierebbe molto".

"Siamo partiti da una sensazione emotiva – aggiunge il regista ‑, una specie di sentire, non definito, non completamente espresso. Sapevamo di correre il rischio di essere fraintesi, di dare l'impressione che il fatto raccontato venisse dalla cronaca. Mi sento in una posizione quasi opposta all'atteggiamento di chi ricostruisce episodi realmente accaduti, la fiction enfatizza il fatto cronaca trasformando i protagonisti in eroi e non. Finisce per dare una versione falsificante della verità, della cosa avvenuta. Il male è un male banale, non c'è l'efferatezza che mediamente viene enfatizzata, in modo seriale, dai giornali o dalla televisione. Per una scelta ben diversa, in un certo senso, noi la mettiamo a fuoco, almeno vogliamo farlo".

"In realtà non c'è stata preparazione – confessa Valentina Ludovini, al suo esordio come protagonista – sui personaggi, piuttosto sulla vicenda. Abbiamo fatto lì per lì."

"Ho fatto il meccanico ma non capisco niente macchine – dichiara Ahmed Hafiene ‑. La preparazione tra me e Valentina non c'è stata. Ci siamo affidati alla nostra sensibilità, anche perché una storia d'amore è la cosa più difficile da raccontare. E la macchina da presa è spietata. Credevo che sarebbe stato molto difficile, invece mi è risultato facile. Sono fiero di essere in un film italiano, perché il vostro cinema ha una sua tradizione, e ha influenzato il cinema mondiale. Ho imparato tante cose che servono al mio percorso. Un film d'autore non è fatto come da noi, un solo sceneggiatore, c'è una grande collaborazione e davano tantissimo aiuto nella scrittura. Avevo già fatto 13 film, ma è stata la prima che volta faccio una proposta per il mio personaggio e viene accettata".

"Per me è successa la stessa cosa – dice Bentivoglio – ci siamo incontrati direttamente sul set un po' come i personaggi, e ci siamo piaciuti andando avanti. E' la giusta distanza teorica, l'unico modo per raccontare le cose è entrarci anima e corpo e non mantenere nessuna giusta distanza".

"E' nato tutto nel momento esatto del ciak – afferma l'esordiente Capovilla ‑. Il fatto che non ci conoscessimo ha contribuito a dare credibilità al tutto. Giovanni ha un rapporto quasi di rispetto verso il suo capo, volevamo dare autenticità al rapporto e che questa sensazione venisse trasmessa. Il senso del film è una giusta distanza che va superata. La frase 'Se avessi mantenuto la giusta distanza un innocente sarebbe stato ancora colpevole' ci fa capire che col distacco si rischia di commettere dei crimini o comunque di sbagliare. E' giusto avere la voglia e la necessità di indagare, non fermarsi ai pregiudizi nei confronti dell'immigrato, o perché così pensano tutti".

"Vengo accusato di non essere capace portare fino in fondo la malvagità – sostiene Mazzacurati ‑, ma non riesco a trovarne una persona che lo sia fino in fondo. Sicuramente è sbagliato, ma a me come personaggio il malvagio mi ispira profonda tristezza. Il male è banale, si muore per uno sbaglio. Quello che viene enfatizzata dalla tivù e che tutti tentiamo di collocare fuori da noi. Qui 'il male' avvolge tutti, compresa la voce narrante. E, come sempre, gli innocenti pagheranno per primi".

"A me non piace fare prove – riafferma il regista ‑, mi sembra si bruci quell'energia che nasce dal farlo per la prima volta. Cerco di fare pochi ciak, ho atteso sempre che un senso di autentico entrasse nelle scene e le orientasse, per poterlo catturare. Lavorando sull'enfatizzazione avremo dato molta luce all'aspetto consolatorio, ma la situazione è più complessa, piena di sfumature. E paradossalmente i luoghi dove la Lega vince è dove ci sono maggiore integrazione e più assunzioni di lavoratori immigrati. Abbiamo cercato di raccogliere le parti più segrete, più nascoste per raccontare questa storia".

"Mi coinvolge relativamente poco – confessa ironicamente Procacci ‑, l'unico contrasto con Mazzacurati è stato geografico, come luogo dell'anima. Impossibile distaccarlo da lì, avrei voluto portarlo a Roma almeno per il montaggio. Ma è stato inutile provarci".

Nel primo pomeriggio, dopo la presentazione alla stampa accreditata dell'anteprima di "Elizabeth: The Golden Age", è toccato alla regale e sempre bravissima Cate Blanchett e al regista Shekhar Kapur che l'aveva lanciato sul piano internazionale col precedente film, con cui si aggiudicò una nomination all'Oscar che vinse invece dopo per "The Aviator" nella parte di Katharine Hepburn.

"E' un grande personaggio, è come Shakespeare, e la sceneggiatura molto contemporanea", esordisce Kapur per giustificare il sequel dieci anni dopo.

"Dopo la prima Elizabeth – dichiara l'attrice ‑, sapevo che era interessato a continuare la storia, alla fine poi è innegabile che la regina è un personaggio assolutamente interessante. Un bel copione, una bella sceneggiatura, in un contesto molto potente, sarebbe stato davvero perverso dire di no, quando c'erano già tutti quelli che avevano lavorato la prima volta".

"Sì, sono più vecchia – afferma con un filo di ironia misto a civetteria ‑. E la sfida è proprio questa, il primo è un film a sé, perciò dovevamo consentire a questa storia di venir fuori, è molto importante, prosaico. In fondo è un film sulla guerra santa, ma soprattutto su una donna che affronta il processo di invecchiamento".

"Sì ci si diverte – aggiunge ‑, una delle fotografie di scena più belle c'è Jeffrey rannicchiato ai miei piedi e sembra uno scarafaggio".

"Nessun film è privo di sfide – dice il regista ‑, se non ci sarebbero le montagne nessuno le scalerebbe. C'è un contesto personale e un contesto epico, l'uno non esiste senza l'altro. Prendi il personaggio, il suo percorso, considerata come una sorta di divinità. La battaglia fa parte del viaggio, del percorso di Elizabeth come personaggio epico."

"Infinite interpreti lo hanno portato sul grande schermo (Bette Davis, Glenda Jackson, Helen Mirren), ma si deve collocare il personaggio in quella storia specifica, è come l'Amleto."

"Ciascuno interpreta la parola di Dio nel suo intimo – dichiara Kapur ‑, ma qui è soprattutto l'inquisizione, e qualcuno che cerca di essere puro. Volevamo far capire che bisogna esistere in un mondo più complesso, il discorso del film non voleva essere antispagnolo, ma contro la religione come interpretazione unica di Dio. E qui è Filippo non la Spagna."

"No, non me l'aspetto" (l'Oscar)

"E' parte del viaggio, arriva a un certo punto di accettazione da negare alcuni aspetti della sua vita, come la giovinezza. Ma si può vivere una vita da sola, la mia infanzia è stata una passeggiata rispetto alla sua. Poi la sua idea dei rapporti intimi era molto distorta (madre, padre, sorella, cugina). Le persone che hanno potere e autorità possono essere molto attraenti per alcuni, per Elisabetta quando Walter Raleigh gli dice 'mi piaci', lei ribatte 'perché stai aspettando un premio. Mi ami per quello che ti darò'. Infatti, l'amore è qualcosa di molto mutevole e sporco, almeno per alcuni. Mi chiedevo 'Chi è Elizabeth, dove sta andando? Doveva uscire dalle apparenze, dal controllo, e quando questo non ce l'aveva quanto doveva essere terrorizzata. Guardate cosa sta succedendo a Hilary Clinton, fino a che punto è stata analizzata. A quello che i media ti proiettano addosso. Ci sono ancora dei mezzi di giudizi diversi tra uomo e donna. Elizabeth ha pagato il prezzo per essere adorata. Quale prezzo devi pagare, quando ti adorano come un Dio. Ai suoi tempi molte donne morivano di parto, altre invecchiavano prima per la sifilide".

"Il proprio ruolo di attrice è dare al regista più opzioni possibili – dice poi sul lavoro ‑, io non sono una pedina da spostare qua e là".

"Lavoro con lei proprio perché 'interpreta'. Non mi piacciono gli attori burattini, si lavora con Cate e Jeffrey (Rush) per fare un passo indietro come regista, ma è invece un'esperienza davvero importante. La più meravigliosa, la farò quando lavorerò con attori come loro."

"Devi prendere il tuo pezzetto e lavorarci – afferma il trascurato premio Oscar, Rush ‑.Sono sempre fuori fuoco sullo sfondo, per risultare abbastanza minaccioso per Raleigh" "Non sei mai fuori fuoco", ribatte il regista.

"Sono battagliera quando ce n'è bisogno ‑ dichiara la Blanchett ‑. Mio marito Adrian e io abbiamo assunto la direzione di un teatro e sono molto appassionata a questo. Se uno lavorasse sempre per lo stesso genere si annoierebbe subito, io ho avuto l'occasione di fare cose diverse e mi sono divertita. Il modo di lavorare ti viene rivelato dal materiale di lavoro, ci si lascia andare".

"Quando stavo facendo il film – conclude Kapur a proposito delle musiche ‑¨ho capito che si stava trasformando in un dramma operistico, io oggi parlerei spagnolo se l'Armada non fosse stata fermata. Si evince dal finale che è una sorta di opera lirica".

"I registi italiani con cui mi piacerebbe lavorare? Antonioni e Fellini non ci sono più, ma ho pensato tantissimo a loro quando giravamo 'Io non sono qui', infatti il tour della rockstar è in stile Fellini e ho pensato anche un po' a Marcello Mastroianni".

"Quando abbiamo cominciato a fare questo film – conclude il regista ‑, ci è sembrato molto di attualità. Ho visitato l'Escorial, è magnifico, ma Filippo era sempre chiuso e stava quasi tutto il giorno a pregare in una stanza che sembrava una caverna. Voleva il terrore nel mondo. Oggi ciascuno interpreta la parola di Dio a modo suo e questo ci sta portando al caos. Guardo alla generazione seguente e spero che continui a lavorare sulla propria cultura e non a quella filoamericana con cui sono cresciuto io".

Finalmente Geoffrey Rush parla del suo personaggio: "E' un burocrate puritano, e Kapur mi ha detto 'penso che sia come Krishna, ha il ruolo di mentore, di qualcuno che in qualche modo plasma il ruolo di un altro'. E' l'artista che la plasma, la crea, che le dà le convinzioni politiche. Nel secondo film non ha più bisogno del suo sostegno, e si crea una sottotrama di dubbi, tradimenti. Per lui, stavolta la parte famigliare è più interessante. Krishna per gli indu è il dubbio, quello che ci fa agire sul nostro karma. E' molto interessante perché è un personaggio abituato a non dubitare mai. Cosa succede se lui ha un dubbio sulla sua vita?".

In serata bagno di folla per tutti, ma soprattutto per lei, Cate, ironica e languida regina in passerella sul red carpet, acclamata dal pubblico romano che la chiama a viva voce.

José de Arcangelo