martedì 4 settembre 2007

Festival di Venezia: In attesa di Tim Burton, al lido i Francesi-Arabi

VENEZIA, 4 – A una settimana dall'inaugurazione si può provare a fare un pre-bilancio della 64a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Riguardo ai film in concorso, la selezione anglo-americana è la più forte, anche se qualche pellicola è sotto la media (il deludente "The Assassination of Jesse James…" per esempio), ad eccezione di "Redacted" di Brian De Palma, "Sleuth" di Kenneth Branagh, "In the Valley of Elah" di Paul Haggis, "The Darjeeling Limited" di Wes Anderson e, forse, "I'm Not There" di Todd Haynes, ispirato alle canzoni e ad episodi della vita di Bob Dylan. Infatti, presentato ufficialmente ieri il film ha un po' diviso (soprattutto il pubblico) perché chi si aspettava un biopic del cantautore è stato deluso, così come chi magari voleva sentire le sue canzoni e la sua voce.

Certo la sua presenza e il suo spirito ci sono eccome, attraverso ben sei personaggi diversi che però non assumono mai il suo nome. Storie parallele e incrociate che narrano spezzoni della vita del piccolo Woody Guthrie (proprio come il cantautore folk e padre di Arlo, celebre negli anni '70), interpretato da Marcus Carl Franklin, ragazzino afroamericano che attraversa l'America con chitarra sottobraccio sui treni merci/bestiame come negli anni '30/'40, ma nel '59; Arthur Rimbaud (Ben Wishaw) giovane poeta contestatore sottolineato dalla fotografia in bianco e nero; Jack Rollins (Christian Bale), ex cantautore di protesta accusato di tradimento dai suoi fan che ora, negli anni '80, è diventato pastore, mentre la sua vicenda viene ricostruita dal racconto dei testimoni di allora, tra cui l'ex compagna (Joan Baez?) interpretata da Julianne Moore; Robbie (Heath Ledger) è invece un attore egoista che non pensa ad altro che al successo e al denaro, trascurando e tradendo la moglie pittrice (Charlotte Gainsbourg) che invece ne ha rinunciato per dedicarsi alla famiglia; Jude (Cate Blanchet, irriconoscibile e impagabile in panni maschili e la più somigliante!), ancora un cantante degli psichedelici anni '60 (c'è l'incontro con i Beatles) e sempre in BN; e infine Billy (the Kid, invecchiato, cioè non ancora morto), interpretato da Richard Gere (presente al festival anche per "The Hunting Party") che all'inizio del Novecento si trova nell'utopica città di Enigma, minacciata dall'arrivo di un'autostrada.

"Il permesso – afferma il regista di "Lontano dal Paradiso" – di portare sullo schermo il primo film drammatico sulla vita di Bob Dylan era un onore che mi atterriva. La decisione di avvicinare il personaggio sfruttando molteplici prospettive, in modo di accentuarne i contrasti, le contraddizioni e la complessità, mi ha fatto sentire in grado di poterlo rappresentare fedelmente. Mi sembrava inoltre l'unico modo per accedere all'originale pazzia della sua musica".

Un film dalla narrazione non lineare dove le storie, dicevamo, si accavallano e si sovrappongono, quasi a ricomporre un suggestivo puzzle di quarant'anni di America e di una figura contraddittoria, forse, ma indubbiamente grande.

Simile nella struttura, storie incrociate (almeno tre) e gli stessi protagonisti che si ritrovano e si confondono cambiando ruoli e nomi, in "The Nines" (I Nove) di John August, già sceneggiatore per Tim Burton, al suo debutto nella regia con un film indipendente presentato dalla "Settimana della Critica". Una comedy-drama, come la definiscono in patria, complessa e complicata, ma suggestiva e coinvolgente, forse, troppo cerebrale per convincere/conquistare tutti. Comunque, si tratta di una riflessione sul difficile rapporto realtà-finzione che, nel caso di un autore televisivo (non solo), può creare una certa confusione psicologica e soprattutto esistenziale. Ma se riuscite ad entrare nel gioco può essere non solo gradevole, senz'altro divertente e intelligente, anche perché gli attori sono tutti bravi, dal protagonista Ryan Reynolds (Gary/Gavin/Gabriel) a Melissa McCarthy (Margaret/Melissa/Mary) e la più nota Hope Davis (Sarah/Susan/Sierra).

Riuscito anche l'italiano proiettato nella stessa sezione (perché non in concorso?) "La ragazza del lago", opera prima di Andrea Molaioli, un avvincente dramma (giallo ma non troppo) – ispirato al romanzo norvegese "Lo sguardo di uno sconosciuto" di Karin Fossum (Frassinelli) ‑ con un bel cast: Toni Servillo (sempre inimitabile), Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Anna Bonaiuto, Omero Antonutti e Marco Baliani.

La bellissima e giovanissima Anna viene trovata morta in riva al lago di un paesino di montagna, ma la sua morte non è il solo mistero, anzi tutti nascondono un segreto. Ben costruito, senza sbavature, in un lieve crescendo di tensione, il film di Molaioli ha il pregio di mantenere il ritmo e di avere la durata giusta per non far cadere l'interesse dello spettatore. Inoltre sfrutta magistralmente il paesaggio della provincia di Udine, trascurato dal nostro cinema. Non è poco.

Anche per "Venezia 64", cioè in concorso, è stato presentato un altro bel film, "La graine et le mulet" di Abdellatif Kechiche, già noto non solo al Lido per "Tutta colpa di Voltaire". Attraverso le vicende di una famiglia magrebina-francese, divisa tra sentimenti e conflitti quotidiani, e soprattutto del padre – separato, legato a un'altra donna e alla figliastra, e vicino al licenziamento – i disagi e i problemi ormai comuni a tutti. Uno stile sobrio, quasi documentaristico, ma ricco di tensioni ed emozioni, che un po' ricorda il cinema del marsigliese Guediguian. Dovrebbe essere già tra i possibili candidati, se non al Leone d'oro, almeno per la regia o il cast, su cui eccelle la giovanissima protagonista Hafsia Herzi.

"Si tratta di un racconto – dice il regista – che parla di un'avventura, dove la dimensione umana dei personaggi tende a costituire il motivo centrale. Impegnandomi a focalizzare l'interesse per mantenerlo su questo filo conduttore principale, era importante per me anche lasciare spazio alle digressioni che potevano venire a innestarsi sul racconto. E' per me primordiale l'associazione tra dimensioni romanzesche e resa dei personaggi nel loro ambiente naturale. L'ambiente descritto è quello a cui appartengo, e volevo rappresentare questa famiglia di "francesi-arabi" nella sua complessità, mentre si lancia nell'apertura di un ristorante familiare, guardando quindi al futuro. Una difesa energica, ma senza complessi, del diritto all'essere diverso, rappresenta una doppia sfida alla quale il mio modo di vedere mi predispone, credo, anche per un coinvolgimento sul piano affettivo".

Quasi venti minuti di applausi da parte del pubblico (pagante) confermano che si tratta di un film toccante ed emozionante, pregi che il regista aveva già ampiamente dimostrato di avere anche nel sorprendente "La schivata" (2004).

Mancano all'appello gli italiani, soprattutto in concorso dove si è visto soltanto la deludente (ma non per tutti) opera seconda di Paolo Franchi "Nessuna qualità agli eroi" con il giovane sempre più in ascesa Elio Germano, ma stasera è il turno di "Il dolce e l'amaro" di Andrea Porporati con Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro e la partecipazione straordinaria di Fabrizio Gifuni e giovedì all'atteso "L'ora di punta" di Vincenzo Marra con Fanny Ardant e (la scoperta, dicono) Michele Lastella.

E domani è la giornata dedicata al fantasioso Tim Burton, Leone d'oro alla carriera che gli verrà consegnato dal suo attore feticcio e amico Johnny Depp. Grande attesa.

José de Arcangelo