VENEZIA, 6 – Delude anche l'altro italiano in concorso, Vincenzo Marra con "L'ora di punta" interpretato da un giovane attore, professionista ma ancora poco noto, Michele Lastella e la brava e sempre affascinante (ma un po' spaesata) Fanny Ardant. Non è che l'argomento non sia importante e di scottante attualità, ma i dialoghi (purtroppo, non è solo un problema di Marra) sembrano inverosimili, nonostante l'autore confermi il suo modo di lavorare: "nessuna preparazione, nessuna lettura della sceneggiatura. Per ottenere che alla fine, davanti alla macchina da presa, non ci sia finzione, ma la verità di un essere umano".
Si tratta comunque di un film ambizioso e con un budget più alto del solito, soprattutto per il regista di "Tornando a casa" e "Vento di terra", che (forse) lo ha spinto ad occuparsi soprattutto della confezione e dell'immagine (diciamo la cornice) a scapito delle emozioni, anche quando il "patinato" in questo caso ben si addice alla storia. Resta un dramma, piuttosto freddo, al di sopra della media che narra la storia di un giovane come tanti che, spinto dall'ambizione e della voglia di riscatto sociale, lascia da parte gli scrupoli e i sentimenti.
Filippo Costa, agente della guardia di finanza, ce la mette tutta per guadagnarsi la fiducia del suo capo, poi si lascia corrompere e capisce che può mirare più in alto. Seduce una ricca signora, bellissima, colta e più grande di lui, Catherine, che lo aiuta e lo mette in contatto con il mondo imprenditoriale e dell'alta finanza. Però la sua irresistibile ascesa lo costringerà ad abbandonare ogni remora morale e umana, e probabilmente a restare solo.
La vicenda, nonostante faccia qualche riferimento a recenti fatti di cronaca italiana, non si ispira a nessuno in particolare, anzi. "La sceneggiatura risale a tre anni fa – dice il regista ‑. L'ho fatta leggere ai mie produttori proprio qui al Lido, dopo l'anteprima di 'Vento di terra'. Poi gli eventi hanno ampiamente superato, purtroppo, la mia immaginazione".
Sul titolo invece, afferma: "L'ora di punta è il momento di maggior confusione in una grande città. Una mattina di tanto tempo fa, in una piazza di Roma, avevo la testa rallentata da pensieri ed emozioni forti, vedevo la gente correre da una parte all'altra, le auto sfrecciare, i grossi autobus scaricare mondi di gente diversa. Tutto era rumore, confusione indistinta, cercai di concentrarmi su uno, di estrapolarlo dal gruppo. Ma girò l'angolo e scomparve dai miei occhi. Era uno qualunque, in mezzo a una moltitudine di gente. Quante anime distinte si confondono in una metropoli, quanti potenziali ladri, assassini, truffatori sono intorno a noi? Questo mi ossessionò quel giorno, nell'ora di punta, mimetizzarsi tra la gente per bene, quella che suda e si affanna è molto più facile…"
Il protagonista, che ha valenza universale nella nostra società contemporanea, lo definisce "uno squalo con molta fame che è diventato un classico nella civiltà occidentale, segnato dalla bramosia di potere, da un desiderio assoluto di riscatto sociale e dominato da una sindrome tipica dei nostri tempi, quella del vivere l'anonimato come una dannazione".
"Credo sia una pellicola molto semplice – ha detto Guerin ‑, non c'è molto da capire. La sfida più grande del cinema sarebbe l'accettazione della semplicità perché nella maggior parte dei film la trama mi sembra complicatissima. Credo che la trama, lineare, del mio film possa riassumersi in due frasi. Credo nel beneficio della semplicità, in una sorta di depurazione in cui lo spettatore possa accettare la semplicità che gli offri. Creare un terreno dove sia possibile leggere immagine e sonoro. Io rivendico questo, mentre oggi al cinema insistono nell'accumulazione degli effetti che finiscono per coprire tutto il resto".
"Per me l'effetto del cinema – continua l'autore – sta nel cambio di espressione di un volto umano, in un rumore capace di evocare il fantasma di una donna. Una nuova qualità nel cinema è osservare il volto di una donna e partire da quello, sognare i volti nella genesi del cinema, del regista. I bozzetti che fa il protagonista dovrebbero essere usati dallo spettatore per completare, chiudere il disegno. E' l'avventura dello sguardo, un viaggio da fare insieme. Molti girano i film non per lo spettatore ma per il consumatore. Sono due nature diverse, la differenza tra spettatore e consumatore sta al cinema come la televisione. Il mio è un desiderio sincero, violento di fare cinema non come mestiere ma come modo di relazionarmi col mondo. Infatti, iniziai nell'adolescenza a girare in super 8 per catturare gli sguardi delle mie amiche".
"Antonioni è molto importante per me – confessa ‑, tanto che il giorno della sua morte mi sono chiuso in casa. Le immagini che ho visto ieri (il corto "Lo sguardo di Michelangelo", proiettato in omaggio al maestro ndr) mi ha riempito di felicità. Un corto come testamento, uno 'sguardo' di un'intensità eccezionale. Però quando lavoro intendo girare col cuore, dimenticando tutto, come se fossi il primo regista al mondo che riprende un barbone per strada, o una ragazza. Per la prima volta gli occhi di Pilar (Lopez de Ayala, la protagonista ndr), con l'ossessione del 'primo'. E bisogna ricordare che ho fatto solo cinque film (in vent'anni ndr). La mia esperienza è più forte come spettatore che come cineasta".
Nella sezione "Orizzonti" presentato l'opera di un altro suo collega, Pere Portabella, il sorprendente "Die Stille vor Bach - Il silenzio prima di Bach". Anche questo lungometraggio recupera tutta la potenza dell'immagine attraverso diverse storie incrociate che, diretta o indirettamente, hanno a che fare con la musica e, soprattutto, con Bach. Un film d'autore che potrebbe rivelarsi un (relativo) successo per un pubblico che ama il cinema sia come arte che come riflessione.