domenica 4 settembre 2011

Il cinema italiano in primo piano con "Terraferma" di Emanuele Crialese in concorso al Festival di Venezia. Sorprendente "Shame" di Steve McQueen


Oggi il primo film italiano in concorso alla Mostra di Venezia è “Terraferma” di Emanuele Crialese – accolto da un lunghissimo applauso alla proiezione stampa – e l’opera seconda dell’inglese Steve McQueen “Shame” nel quinto giorno di proiezioni al Lido. Alle ore 19.15 Al Pacino ha ricevuto il premio Jaeger LeCoultre; seguito dalla proiezione della sua nuova fatica (la terza, dopo “Riccardo III - Un uomo, un re” e “Chinese Coffee”) da regista “Wilde Salome” con Jessica Chastain, fuori concorso. Al Controcampo italian
o l’atteso “L'arrivo di Wang” degli imprevedibili Manetti Bros. e il documentar
io “Pivano Blues”, firmato dalla giornalista (di Raitre) Teresa Marchesi. Presentato anche “Alois Nebel” di Tomáš Lunák, sempre fuori concorso.
Ed ecco “Terraferma”, coinvolgente ed emozionante viaggio tra mito e realtà, passato e presente. Due donne, un’isolana e una straniera: l’una sconvolge la vita dell’altra. Eppure hanno uno stesso sogno, un futuro diverso per i loro figli, la loro terraferma. Terraferma è l’approdo a cui mira chi naviga, ma è anche un’isola saldamente ancorata a tradizioni ferme
nel tempo. E’ con l’immobilità di questo tempo che la famiglia Pucillo deve confrontarsi. Il nonno, Ernesto (Mimmo Cuticchio), ha 70 anni, vorrebbe fermare il tempo e non vorrebbe rottamare il suo peschereccio. Suo nipote Filippo (Filippo Pucillo) ne ha 20, ha perso suo padre in mare ed è sospeso tra il tempo di suo nonno e il tempo di suo zio Nino (Beppe Fiorello), che ha smesso di pescare pesci per catturare turisti. Sua madre Giulietta (sempre intensa Donatella Finocchiaro), giovane vedova, sente che il tempo immutabile di quest’isola li ha resi tutti stranieri e che non potrà mai esserci un futuro né per lei, né per suo figlio Filippo. Per vivere bisogna trovare il coraggio di andare via.
Un giorno il mare sospinge nelle loro vite altri viaggiatori, tra cui Sara (Timnit T.) e suo figlio. Ernesto li accoglie: è l’antica legge del mare. Ma la nuova legge dell’uomo non lo permette e la vita della famiglia Pucillo è destinata a essere sconvolta e a dover scegliere una nuova rotta.
“E’ un film sul cercare altrove un senso o un rimedio al proprio destino – dichiara Crialese. Sul riconoscersi umani perché stranieri, perché inadeguati a stare. Racconto una realtà che abbiamo davanti quotidianamente, ma senza intenti documentaristici, piuttosto trasformandola in una dimensione quasi di favola, avulsa dal tempo e da luoghi reali. Una favola che punta al cuore e alla pancia dello spettatore più che alla sua testa. Spero che sul piano razionale susciti comunque delle riflessioni. Io sono partito dall’idea di ‘straniero’: la condizione di straniero è costitutiva di ogni essere umano, di ogni luogo e tempo. A nessun uomo può essere negato il diritto di poter cercare altrove”.
Due donne alla ricerca di un futuro migliore si ritrovano in un mondo dove “tutti hanno paura di dare e paura di ricevere”. Fra paura dello sconosciuto e paura di un futuro incerto, tutti vorrebbero fuggire, ma dove? Nel frattempo il ventenne Filippo costruirà il suo romanzo di formazione, fra cruda realtà e (ri)trovata poesia di vita.
“La cronaca che leggevamo sui giornali in quel periodo – prosegue il regista - rappresentava per noi (con lo sceneggiatore Vittorio Moroni ndr.) un po' tutto quello che sapevamo di dover mettere nel nostro film, è stata una grande fonte di ispirazione, tutte le notizie che raccoglievamo al riguardo venivano messe in un bagaglio da usare per trasformare e raccontare una storia che andasse oltre i canoni televisivi e documentaristici. Ed è così che abbiamo scoperto che il nostro mare, il Mediterraneo, da culla di civiltà è diventato culla di inciviltà”.
E a proposito dei non protagonisti, l’altra donna e il giovane Picillo, l’autore afferma: “Nell’agosto 2009, mentre tornavo da Lampedusa a Roma, è uscita la notizia di un tragico sbarco nei pressi dell'isola, si trattava di un'imbarcazione rimasta alla deriva per tre settimane con 79 persone a bordo, di cui 73 morti e quattro sopravvissuti, tre uomini e Timnit. Il suo volto mi ha colpito al cuore quando ho aperto il giornale, sono rimasto come ipnotizzato, era il viso di una donna che aveva visto l'inferno. Ricordo altre persone che si avvicinavo alla sua barca per portare acqua e cibo, poi si allontanavano di nuovo. Per lei tutto era a portata di mano, ma era come se ci fosse una barriera invalicabile che non poteva essere oltrepassata”.
“Vergogna” di Steve McQueen narra una storia di ossessione, se vogliamo di una perversione. Brandon (Michael Fassbender, alla sua seconda prova col regista e al suo secondo film al Lido) è un uomo sulla trentina che vive a New York ed è incapace di gestire la propria vita sessuale. Quando la sorellina ribelle (Carey Mulligan) si stabilisce nel suo appartamento, l’uomo perde sempre più il controllo del proprio mondo. L’opera è un dramma gelido, un’analisi lucida, stringente e attuale della natura del bisogno, del nostro modo di vivere e delle esperienze che plasmano la nostra esistenza.
“Hunger (acclamato a Cannes ma rimasto inedito in Italia ndr.) narrava di un uomo privo di libertà – dice il regista - che usava il suo corpo come strumento politico e attraverso questo atto creava la propria libertà. ‘Shame’ prende in esame una persona che gode di tutte le libertà occidentali e tramite la sua apparente libertà sessuale crea la propria prigione. Mentre assistiamo, e ci desensibilizziamo, alla costante e continua sessualizzazione della società, come facciamo a orientarci in questo labirinto e a non farci corrompere dall’ambiente che ci circonda? Ciò che intendo esplorae è questa enormità che fingiamo di ignorare”.
E sull’altra protagonista, la città, l’autore aggiunge: “Sono stato ispirato da New York, ho girato a lungo la città insieme alla sceneggiatrice (Abi Morgan ndr.) e abbiamo concepito la storia lì. Volevamo l'acqua, il fiume Hudson, lo skyline anche nel film. E’ una città eccitante, contemporanea, che non dorme mai. Stando lì capisci che è il luogo dell'eccesso. New York è un vero e proprio personaggio del film e ne ha influenzato profondamente anche lo stile visivo”.
“Il sesso è una dipendenza come la droga e il gioco – conclude McQueen -. Questi comportamenti compulsivi mi hannor spinto a creare un personaggio che però non è legato a nessuna persona che conosco né che ho conosciuto in passato. Mi sono sentito libero di creare una storia senza nessun legame con la mia vita. Volevo riflettere sul fatto che tutta la libertà odierna talvolta si trasforma in una vera e propria prigione”.
L’opera terza (seconda ricerca di attore/autore teatrale) di Pacino “Wilde Salome” proietta il pubblico nella vita personale del grande attore come mai era successo prima – anzi meglio di prima -, offrendo un ritratto intimo e profondo della più grande icona del cinema alle prese con il ruolo più impegnativo mai interpretato: se stesso e il re Erode. Traboccante di verità e candore, il film conduce Pacino in giro per il mondo, da Londra a Parigi, Dublino, New York, Los Angeles, e dentro il suo camerino; niente appare off limits mentre Pacino esplora le complessità del dramma di Wilde, nonché i processi e le tribolazioni che hanno segnato la vita del grande scrittore e drammaturgo, offrendo al tempo stesso uno sguardo senza precedenti anche sulle proprie. Toccante e divertente viaggio fatto di passione, determinazione e, soprattutto, di ossessione. E ci sono le ‘testimonianze” di Tom Stoppard, Gore Vidal, Bono, Tony Khusner e Merlin Holland, nipote di Wilde.
“E’ l’esplorazione di una pièce teatrale – confessa Pacino, al Lido con la protagonista femminile Jessica Chastain - che mi ha impegnato per molto tempo. Ho spogliato l’opera di tutti i suoi costumi e scenari complessi, presentandola e analizzandola nella sua essenza. Jessica è sensazionale nel ruolo di Salomè e mi ha aiutato molto nella mia personale scoperta del mondo di Oscar Wilde. ‘Wilde Salome’ non è un film narrativo tradizionale, né un documentario. E’ sperimentale, è l’emancipazione di un’opera che continua a vivere. Come gli straordinari attori del film, anche voi dovrete fidarvi di me e delle mie scelte e seguirmi in questo viaggio”.
“Per 25 anni mi sono diviso tra palcoscenico e grande schermo – ha detto, sempre travolgente e torrenziale, al Lido -, ero dilaniato tra due tipi di recitazione. Poi ho iniziato a filmare le cose che mi piacevano, soprattutto la mia attività teatrale: il lavoro di regista l'ho cominciato così. E a questo punto mi sono veramente innamorato del cinema. Quando ho capito davvero la sua magia, per me è cambiato tutto. Ma come regista sono e resto un dilettante. Infatti ho 5/6 film già girati, ma preferisco tenerli nascosti... Magari in futuro potrei farne uno su 'Sei personaggi in cerca d'autore', una mia personale rilettura del mondo di Pirandello...”
“L’arrivo di Wang” dei Manetti Bros. narra, invece, di Gaia (Francesca Cuttica), un’interprete di cinese, viene chiamata per una traduzione urgentissima e segretissima. Si troverà di fronte Curti (Ennio Fastastichini), un agente privo di scrupoli, che deve interrogare un fantomatico signor Wang. Ma per la segretezza l’interrogatorio avviene al buio e Gaia non riesce a tradurre bene. Quando la luce viene accesa Gaia scoprirà perché l’identità di Mr. Wang veniva tenuta segreta. Davanti a lei si troverà un essere proveniente da un altro mondo. Un incontro che cambierà per sempre la sua vita e quella di tutto il pianeta.
“Racconta l’incontro fra tre persone – dicono gli autori. E’ una storia psicologica di tensione in cui tre personalità enormemente diverse si confrontano manifestando a poco a poco le proprie caratteristiche. Il concetto che ci interessava raccontare è se chi ci è accanto tutti i giorni può essere più diverso di chi viene da un altro pianeta. Attraverso gli occhi puri della giovane interprete non vogliamo dare risposte ma, di fronte a una realtà sempre più incerta, porre delle difficili domande. Pur rimanendo un film di genere, riflette su alcuni temi umani ed etici: quanto bisogna fidarsi del prossimo? Che cos’è un pregiudizio? Quale limite si può superare per difendersi da una possibile minaccia, o quanto si può rischiare di sbagliare per perseguire i propri ideali?”
Il documentario “Pivano Blues” di Teresa Marchesi rivisita l’opera di una straordinaria figura di spicco nella cultura del ’900 italiano, Fernanda Pivano, appunto, attraverso alcune delle più importanti voci della cultura popolare italiana e americana. Attenta soprattutto al pubblico giovanile, Nanda – come veniva affettuosamente chiamata - ha contribuito in modo determinante ad abbattere le barriere tra poesia “alta“ e “bassa“, contro le ghettizzazioni delle accademie, facendo rivivere nella coscienza di generazioni di ragazzi le pagine degli autori statunitensi che andava via via traducendo. Fino all’ultimo si è battuta per far sì che venisse riconosciuto lo “status“ di poeti ai grandi cantautori: Bob Dylan, Fabrizio De André, Vasco Rossi, Luciano Ligabue, Jovanotti, Vinicio Capossela, P.F.M. Perfino autori americani celebri come Patti Smith e Lou Reed, Jay Mc Inerney ed Erica Jong, registi come Abel Ferrara hanno attinto al suo patrimonio di ricordi e frequentazioni prestigiose: Hemingway, Warhol, Ginsberg, Kerouac, Corso, l’intera Beat Generation. “Pivano Blues - Sulla strada di Nanda” è in un certo senso un discorso sul valore capitale dei libri e della lettura, sul diritto inalienabile alla cultura che proprio in questo momento nuove generazioni di giovani stanno rivendicando. Questo filo rosso lega i brani di interviste inedite alla poetessa, realizzate dalla regista nel corso di due decenni e gli incontri con gli artisti che si sono formati, ragazzi, non solo grazie ai testi da lei tradotti ma anche alla sua instancabile militanza pacifista e libertaria.
“I sentimenti da cui è nato negli anni ’80 il mio affetto più che filiale per Fernanda Pivano – confessa la Marchesi - sono gli stessi che ho ritrovato negli occhi e nelle parole delle migliaia di ragazzi che puntualmente facevano ressa intorno a lei in tutte le sue apparizioni pubbliche: ammirazione e gratitudine. Siamo in tanti a esserle debitori di pagine e pagine di letture appassionate, di scoperte e speranze che sentivi di condividere non solo con i ‘suoi’ autori ma anche con lei”.
Infine, nella sezione Orizzonti, è approdato “The Invader” del belga Nicolas Provost, con Isaka Sawadogo e Stefania Rocca. La storia dell'affascinante Amadou, che, sbarcato sulle coste dell'Europa meridionale, arriva per caso a Bruxelles dove crede di rifarsi una vita. Un ruolo devastante nella sua nuova esistenza avrà la bella e sofisticata Agnès, che lo amerà per poi abbandonarlo senza motivo, inducendolo a lasciarsi andare ai suoi demoni.
E domani il Mundial sbarca al Lido. Hanno finalmente un nome i vincitori dei Mondiali di calcio del 1942, svelati a quasi sessant’anni di distanza dal documentario di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, “Il Mundial dimenticato”, in programma domani, 5 settembre, alle ore 22 nel corso delle Giornate degli Autori, presso la Pagoda del Des Bains (Lungomare Marconi 17).
Una coproduzione italo-argentina, realizzata con il sostegno del MIBAC e in collaborazione con Rai Cinema, Cinecittà Luce e Rai Trade (cura le vendite internazionali), che punta a far luce su uno dei misteri irrisolti delle cronache sportive internazionali. Nessuno sa infatti dire con esattezza chi vinse i campionati del mondo del ‘42. E nessuno ricorda più la formazione della nostra nazionale di allora, chiamata a difendere il titolo conquistato nel 1938. Ovviamente c’era la guerra a oscurare gli spensierati resoconti sportivi di quel tempo, ma a distanza di quasi sei decenni qualcuno ha deciso di fare luce sulle pagine dimenticate della nostra storia.
“Il Mundial dimenticato” è stato realizzato con un paziente lavoro di archivio (grazie anche a materiali inediti di Cinecittà Luce) e ricostruzioni storiche (con le autorevoli testimonianze di Gary Lineker, Roberto Baggio, Joao Havelange, Darwin Pastorin e Antonio Battilocchi, difensore della nazionale italiana anni Quaranta), che ha consentito di identificare il vincitore della Coppa del Mondo 1942 e scrivere il nome mancante nell’albo d’oro del calcio.
Ma l’evento avrà inizio al mattino, quando Gunther Celli e Kevin Gomes del "Footwork team", unico team italiano di professionisti nel soccer freestyle, animeranno, in costume d'epoca, le strade del Lido con performance di calcio acrobatico. Alle 18.00, prima della proiezione, avrà inizio la partita tra Nazionale Italiana Scrittori e Nazionale Italiana Cineasti, che si contenderanno la “Copa del Mundo de Futbol” messa in palio dalla Verdeoro di Daniele Mazzocca, produttore del film.
Due tempi da 20 minuti ciascuno, che verranno disputati sulla spiaggia del Des Bains, con l’arbitraggio di Gianni Ippoliti (arbitro federale) e la “fanta-cronaca” a bordo campo di Max Paiella. Partecipano agli eventi e agli incontri con la stampa, il “giornalista” Maurizio “Max” Belpietro, il produttore americano Tony Boccea (in collegamento dagli Usa), Antonio Battilocchi difensore della nazionale azzurra ai Mondiali del ’42, ora ultranovantenne, e ultimo testimone italiano del torneo dimenticato, oltre a numerosi personaggi del mondo dello spettacolo. Alle 20.00, esibizione di tango argentino con i ballerini dell’Associazione “Tango para siempre” di Mestre, che interpreteranno brani degli anni Quaranta. Per l'organizzazione della Copa Mundial de Futbol si ringrazia la 2Erre Organizzazioni Sport & Events e SA Stabilimenti Attività Balneari.
Sempre domani un interessante incontro. Un lungometraggio, “Dietro il buio” di Giorgio Pressburger, e un corto, “Prove per un naufragio della parola” di Elisabetta Sgarbi, basati sui testi di due scrittori: Claudio Magris e Edoardo Nesi, recente vincitore del Premio Strega. Un tema comune, il naufragio del dialogo amoroso e la sua necessaria ricerca, la fragile vittoria del suo rifarsi daccapo. Un tema che lascia sullo sfondo un’altro tema importante: il naufragio della parola, o anche di tutta la letteratura così come è stata pensata per secoli, e la sua incredibile e straordinaria, nonostante tutto, vitalità. Il film di Elisabetta Sgarbi, in concorso nella sezione Controcampo Italia, è un omaggio a Claudio Parmiggiani, a quel “Naufragio con spettatore”, la nave arenata su migliaia di libri - forse le rese di migliaia di editori - che però lascia aperto il problema: scarti del sistema industriale o solide basi che tengono in piedi il veliero?
I protagonisti discuteranno - alle ore 12.30 presso la Sala Tropicana dello Spazio Cinecittà Luce dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia -, coordinati da Alberto Pezzotta, di “Discorso amoroso tra cinema e letteratura”, in occasione della proiezione del film della Sgarbi, interpretato da Fabrizio Gifuni e da Sonia Bergamasco, su sceneggiatura di Edoardo Nesi e di “Dietro il buio” di Pressburger, con Sarah Maestri e Gabriele Geri, selezionato nelle Giornate degli Autori / Spazio aperto, su sceneggiatura di Paolo Magris e Pressburger e tratto da “Lei dunque capirà” di Claudio Magris. Il film sarà proiettato martedì 6 settembre alle ore 22.00 presso La Pagoda (fronte Hotel des Bains - Lungomare Marconi 17), preceduto dalla presentazione da parte del cast, produzione e dallo stesso Claudio Magris alle ore 21.45.
José de Arcangelo