martedì 4 settembre 2012

L'illustre ombra di Raul Ruiz e la cruda realtà di Kim Ki-duk si proiettano sul Festival di Venezia

Arriva in concorso “Linhas de Wellington - Lines of Wellington”, un ambizioso progetto del rimpianto Raul Ruiz – morto nella fase di preproduzione - ereditato dalla moglie Valeria Sarmiento, anche lei cilena e regista. Una superproduzione del portoghese Paulo Branco sulla sconfitta dell’esercito napoleonico, nel 1810, in Portogallo, patria del produttore. Un’opera epica, dalla duplice versione: quella cinematografica di 151 minuti

presentata al Lido e l’altra televisiva (As linhas des Torres Vedras), ovviamente più lunga, che andrà in onda in tre puntate. Un affresco corale che concentra l’attenzione anziché sui grandi personaggi, sulle decisioni degli alti ufficiali e sulle strategie, sulla gente comune su cui cadono le conseguenze della guerra, sugli individui colpiti da perdite, danni e sofferenze. Soldati e contadini, cittadini e prostitute, mendicanti e nobili decaduti. Grande cast internazionale, con star anche in ruoli cameo come Isabelle Huppert, Michel Piccoli, Catherine Deneuve, Chiara Mastroianni, Vincent Perez, Mathieu Amalric, mentre lo stesso Wellington interpretato da John Malkovich è un protagonista poco presente. Ma ci sono anche i portoghesi Nuno Lopes, Victoria Guerra, Carloto Cotta, José Afonso Pimentel, Filipe Vargas, Soraia Chaves, Gonçalo Waddington; il francese Melvil Poupaud – attore feticcio di Ruiz -, la spagnola Marisa Paredes (sempre grande) e tanti altri Scritta dal portoghese Carlos Saboga, già collaboratore di Ruiz, una pellicola in cui rivive l’ombra dell’autore, soprattutto nelle messa in scena, nelle atmosfere rarefatte e soprattutto nella resa visiva che si rifà ai grandi pittori dell’Ottocento, grazie anche alla raffinata regia della Sarmiento, che ha curato l’efficace montaggio con Luca Alverdi. L’altra opera in concorso è “Pietà” del sempre sconvolgente Kim Ki-duk, definito da lui stesso “un film sul capitalismo estremo e sull’impatto che ha sull’esistenza umana e sui rapporti
interpersonali”. Un dramma duro e crudo, quindi, che indaga nei meandri dell’essenza umana per cercarne una salvezza. “Io voglio mostrare il vero volto del denaro – ha dichiarato l’autore -, che non è per sé condannabile: dipende sempre dall'uso che se ne fa. I soldi, come ogni cosa, possono avere un lato positivo o negativo, possiamo farne buon uso, caritatevole, o al contrario perverso”. “Il titolo si riferisce al capolavoro di Michelangelo – ha aggiunto - che ho ammirato in Vaticano le due volte che ci sono stato. L'abbraccio della Vergine al proprio figlio, morto sulla croce, me lo sono portato dietro per diversi anni: lo vedo come un abbraccio all'intera umanità, come la comprensione e la condivisione del dolore. All’inizio doveva esserci un riferimento diretto nel film, ma poi mi è sembrato troppo esplicito, anzi banale: pero erano già state fatte delle foto ispirate a quell'immagine, e una di esse è finita dopo nella locandina”.
Fuori concorso il documentario “It Was Better Tomorrow” di Hinde Boujemas che, ambientato nel caos di una rivoluzione, segue le orme di Aida, una tunisina che deve ripartire da zero e non vuole guardarsi indietro. La donna passa il tempo a spostarsi da un quartiere povero all’altro. Spinta dal desiderio di trovare un tetto sotto cui ripararsi assieme ai figli, Aida non fa alcun caso agli eventi storici che ruotano intorno a lei. Il suo unico scopo è quello di trovare una via d’uscita, ed è convinta che la rivoluzione sia una benedizione. “Ya man aach” (titolo originale) ripercorre il viaggio atipico di questa donna audace e sfrontata nell’intenso intervallo di una rivoluzione nazionale. Tre film nella sezione Orizzonti, l’italiano “L’intervallo” di Leonardo Di Costanzo, ma coproduzione con Svizzera e Germania; l’israeliano “The Cutoff Man” di Idan Hubel e il giapponese “The Millennial Rapture” di Koji Wakamatsu. Il primo narra di un ragazzo e una ragazza rinchiusi in un enorme edificio abbandonato, di un quartiere popolare. L’uno deve sorvegliare l’altra. Lei è la prigioniera per aver fatto uno sgarbo al boss, lui è obbligato dal capoclan di zona a fare da carceriere.
Naturalmente, tra i due – dopo l’iniziale diffidenza – si instaura un rapporto di complicità sempre più intimo, un breve ‘intervallo’ nella loro esistenza. E’ l’esordio nel film di finzione di un noto documentarista, una vera sorpresa per la stampa presente al Lido che l’ha accolto positivamente e apprezzato la bella prova dei due protagonisti, Alessio Gallo e Francesca Riso, sui cui poggia l’intera pellicola. “The Cutoff Man” segue le vicende di Gabi, l’uomo che toglie l’acqua – personaggio ispirato al padre del regista - a chi non paga le bollette. Non c’è scelta: o questo o resta senza lavoro. E quanti più evasori scopre, più soldi guadagna. Come un ladro, si introduce nei giardini sul retro, dove sono i contatori, e come un giustiziere, vaga per le strade. Quando la gente lo vede, lo insulta, lo umilia, lo incolpa per la situazione in cui si trova. Gabi continua il suo lavoro, ha una famiglia da mantenere. Quanto resisterà ancora?
Quindi, una storia di scottante attualità, in cui la crisi e la disoccupazione stanno facendo riemergere quella che ormai consideravamo lontana, la cosiddetta guerra fra poveri che risveglia odi e razzismo, violenza e vendette. E l’acqua e il lavoro sono due dei mezzi più importante per la sopravvivenza di noi tutti. “The Millennial Rapture” (Sennen no yuraku) è ambientato in una piccola comunità, Roji, dove uno dei più famosi scrittori giapponesi, Kenji Nakagami, ha ritratto l’assurdità e la passione della vita degli abitanti. A Roji c’erano uomini belli che avevano combattuto, per vivere, con il sangue del clan Nakamoto, sangue “nobile ma empio”. La levatrice Oryu ha visto tutti questi uomini crescere, vivere e morire. E ora che è vecchia parla con le anime dei morti del clan Nakamoto.
“Vivere è soffrire molto – dice il regista -. Dobbiamo vivere finché moriamo. Per questo non posso fare a meno di creare. Dalla nascita di un bambino alla morte, sento lo sguardo di Oryu e la sento pregare nella Roji piena di voci. La baia che si apre davanti a Roji mi ricorda l’utero”. José de Arcangelo