lunedì 3 settembre 2012

Al Lido Kitano e Assayas in corcorso, l'atteso "Acciaio" di Mordini nelle Giornate degli Autori

Due autori come Takeshi Kitano e Olivier Assayas nella gara ufficiale della 69a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il primo col sequel del film presentato nel 2010 a Cannes, ovvero “Outrage Beyond”, che riporta il maestro giapponese al Lido a quattro anni da “Achille e la tartaruga” (inedito nelle sale italiane) e a 15 dal Leone d’oro per “Hana bi”; il francese con “Après Mai” (Dopo maggio) un film ci riporta agli anni Settanta, tra lotte studentesche e passione cinematografica.

Se “Outrage” (uscito da noi direttamente in dvd) era un divertente yakuza movie in cui una faida tra famiglie rivali scatenava una serie di vendette e omicidi incrociati, il sequel riprende da Othomo (Beat Takeshi) che si trova in carcere mentre i suoi compari lo credono morto. A ‘riportarlo in vita’ è il poliziotto corrotto del precedente film che lo rimette in gioco per far crollare l’equilibrio tra i clan dei Sanno e degli Hanabishi. E se il primo episodio era una corsa violenta mozzafiato che finiva per diventare (quasi) puro esercizio di stile, “Outrage Beyond” parte a bassa quota, puntando sulla riflessione, per riservare gran parte dell’azione e qualche scena pulp-cult nella seconda parte. Il film di Assayas, invece, come da titolo riparte all’indomani del ’68, e precisamente dalla manifestazione del 9 febbraio 1971, una protesta in difesa di due dirigenti della Sinistra Proletaria che, incarcerati, richiedevano lo statuto di prigionieri politici; una manifestazione repressa dalle forze di polizia, che assunsero un atteggiamento drastico e violento nei confronti dei diversi gruppi che cercavano inutilmente di riunirsi, sparando lacrimogeni ad altezza uomo e ferendo in modo grave un militante.
Un buon quadro, a tratti frenetico e potente come gli anni che racconta, ma al contrario di quello che si potrebbe pensare non è un film politico, ma una riflessione più vicina al romanzo di formazione che al ritratto di giovani militanti. Assayas indaga/segue soprattutto due ragazzi, l’ombroso Gilles, studente di pittura, e la sua compagna di scuola Christine (Lola Creton, protagonista di “Un amore di gioventù”). La contestazione è sullo sfondo, e serve a mettere in evidenza sogni, ideali e prospettive di questi giovani che volevano cambiare il mondo ma non sono riusciti. Nelle Giornate degli Autori, un altro atteso film italiano, “Acciaio” di Stefano Mordini, tratto dal romanzo omonimo di Silvia Avallone, con Michele Riondino e Vittoria Puccini. Un dramma cupo che, sfumando la retorica del libro, resta fedele al suo spirito. Un tema che diventa di scottante attualità alla luce dei fatti che riguardano l’Ilva, e visto da due adolescenti (Anna Bellezza e Matilde Giannini) che sognano la fuga da quella sorta di quotidiano inferno. “La fabbrica in sé non uccide – dice il regista -, ma è il contesto esterno, la sua gestione. Per gli operai la fabbrica è la sussistenza. La colpa, nel caso dell'Ilva così come di molte altre realtà (libro e film sono ambientati nella toscana Piombino, negli stabilimenti della Lucchini ndr.), sono gli investimenti che sono stati fatti a monte senza pensare al benessere delle persone, ma solo al guadagno”. “Il romanzo era molto ricco perciò siamo stati costretti a una sintesi – prosegue - e siamo partiti proprio dall'incipit, nel quale si afferma che l'adolescenza è un'età potenziale. Nel corso della vicenda abbiamo cercato di approfondire questo percorso sacrificando tutto ciò che era superfluo”.
“Quando ho letto il libro – ribatte Riondino - mi chiedevo chi fosse realmente Alessio. La pellicola arriva in un momento caldo in cui si parla di inquinamento industriale, ma per me è stata un'occasione per capire molte altre cose. Io ho fatto studi tecnici e conosco bene l'estrazione sociale del mio personaggio, ma sono fuggito da quella realtà. Per interpretare Alessio, però, ho cercato di allontanarmi dai miei pregiudizi. Stefano mi ha convinto a raccontare la realtà degli operai dall'interno perché i miei giudizi erano di chi in una fabbrica non c'è mai stato ed è grazie a lui che ho capito quanto fosse necessario capire il punto di vista degli operai per dare credibilità al mio personaggio. L'unica sua ambizione è quella di crearsi una famiglia e quindi di mantenere il suo posto di lavoro. Per questo motivo ‘Acciaio’ è più attuale di quello che sta accadendo e che viene riportato sui giornali, perché affronta i problemi delle persone”. “Il film – conclude - mi ha aiutato a far pace con una certa realtà industriale, ma la situazione attuale dell'Ilva mi fa indignare ancora una volta. A Taranto la politica si sta disinteressando completamente delle persone, per i politici locali la necessità principale è quella di tirare avanti perciò gli abitanti devono continuare a respirare diossina”.
Fuori concorso il documentario “Anton’s Right Here” del russo Lyubov Arkus, di cui è protagonista un ragazzo autistico. La sua vita si divide fra un appartamento dalle pareti scrostate alla periferia di una metropoli e un ospedale psichiatrico. Anton è sul punto di essere ricoverato in un istituto neuropsichiatrico, un luogo in cui le persone con la sua diagnosi non vivono a lungo. L’autore, la cinepresa, il protagonista. La distanza fra i tre elementi si riduce con ogni minuto che passa, e l’autore deve entrare nell’inquadratura e diventare un personaggio della storia. Ma questa non è una storia su una persona che ne ha aiutata un’altra, bensì su una persona che si è riconosciuta in un’altra, su come in ognuno di noi vive un “altro” che deve essere distrutto ogni giorno dentro di noi se vogliamo sopravvivere.
L’altro film fuori gara, l’americano “Disconnect” di Henry-Alex Rubin con Jason Bateman, Alexander Skarsgard (figlio di Stellan e noto interprete del televisivo “True Blood”e di von Trier). Un’opera che fonde tante storie che parlano di persone alla ricerca di legami umani nel mondo sempre più connesso di oggi (leggi social network e simili). Intense, strazianti e toccanti, le storie si intersecano con colpi di scena, che mettono a nudo una realtà scioccante, spesso inquietante, nel nostro uso quotidiano della tecnologia che, facendo da mediatrice, definisce i nostri rapporti e, in fin dei conti, le nostre vite. Nella sezione Orizzonti due cinematografie lontanissime fra loro, quella danese di “A Hijacking”, diretto da Tobias Lindholm, e quella argentina di “Leones” firmato Jazmin Lopez. Il primo prende spunto dall’attualità per costruire pian piano un avvincente thriller, teso e crudo. Ispirato alle vicende vere delle navi cargo danesi Danica
White e Cec Future, sequestrate dai pirati nell’Oceano Indiano, rispettivamente nel 2007 e nel 2008, il film narra la vicenda del cargo MV Rozen, proveniente da Copenaghen e diretto in India. Però, quando si prepara ad attraccare nel porto di Mumbai, la nave viene assaltata e sequestrata da un gruppo di pirati somali. E tre dei sette uomini dell'equipaggio, tra cui il cuoco di bordo Mikkel – il solo a parlare inglese -, vengono chiusi in una cabina ed usati come merce di scambio per ottenere un riscatto dalla società di import-export cui la nave fa capo.
La pellicola argentina è un ambizioso thriller esistenziale, sulle orme di Antonioni, che narra la storia di un gruppo di amici (cinque adolescenti) che si aggira per un bosco – in cui sono capitati per ‘casuale’ incidente mentre erano diretti al mare - come un branco di leoni. Smarriti e persi nei loro giochi di parole, si seducono a vicenda entrando e uscendo dal territorio adulto, e cercando disperatamente di evitare la loro storia già scritta. Incubo (adolescenziale) o realtà? Senz’altro un raffinato esercizio di stile che può risultare persino inutile per chi non riesce ad entrare nel ‘gioco’. José de Arcangelo