mercoledì 8 settembre 2010

Dall'Ottocento ad oggi, dalla Francia agli Stati Uniti: violenza, disagio e sfruttamento sul grande schermo del Lido

Ottavo giorno alla 67. Mostra con “Attenberg” di Athina Rachel Tsangari (Grecia) e “Venus noire” di Abdellatif Kechiche (Francia), in concorso. Gli altri film della giornata, fuori concorso, “La prima volta a Venezia” di Antonello Sarno, “Sorelle mai” di Marco Bellocchio e, soprattutto, “The Town” di Ben Affleck, che ha attirato su di sé quasi tutta l’attenzione di addetti ai lavori e non. “Tajabone” di Salvatore Mereu in Controcampo Italiano. “A Espada e a Rosa” di João Nicolau e “The Nine Muses” di John Akomfrah in Orizzonti.
Dramma sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, “Attenberg” (dal nome distorto del documentarista inglese Attenborough), non originale nei contenuti ma soprattutto nella forma, tra sperimentazione e ricostruzione a metà fra documentario e psicologico. Marina, una ragazza di ventitrè anni, vive con il padre morente (ma non morto), un architetto ateo e anarchico, in una città industriale sperimentale sul mare. Trovando la specie umana strana e repellente, se ne tiene lontana. Invece la osserva testardamente attraverso le canzoni dei Suicide, i documentari sui mammiferi di Sir David Attenborough in tivù e le lezioni di educazione sessuale impartite dalla sua unica amica e compagna di giochi (in cortile), Bella. Uno sconosciuto arriva in città e la sfida ad una gara di calcetto, sul tavolo di lei. Suo padre intanto si prepara ritualisticamente a lasciare il XX secolo, che considera “sopravvalutato”. Invischiata tra i due uomini e Bella, Marina indaga i meravigliosi misteri dell’altra fauna, quella umana.
Scioccante e lucido dramma sullo sfruttamento esasperato, l’opera di Kechiche – già premiato a Venezia per “Cous Cous” – ricostruisce la storia (vera) di una donna africana, fenomeno da baraccone e vittima di ogni sorta di umiliazioni/torture fisiche e psicologiche, nella ‘civiltà bianca’. Parigi, 1817, Accademia Reale di Medicina. “Non ho mai visto testa umana più simile a quella di una scimmia”. Di fronte al calco del corpo di Saartjie Baartman, l’anatomista Georges Cuvier è categorico. Un parterre di distinti colleghi applaude la dimostrazione. Sette anni prima, Saartjie lasciava l’Africa del Sud con il suo padrone, Caezar, per andare ad offrire il suo corpo in pasto al pubblico londinese delle fiere e degli zoo umani. Donna libera e schiava al tempo stesso, la “Venere ottentotta” era l’icona dei bassifondi, sacrificata al miraggio di un’ascesa dorata...
“Sartjie è un personaggio misterioso – dichiara il regista franco-tunisino -, perciò mi ha subito interessato. Per raccontarla non ho seguito un approccio psicologico, l'immagine da sola rivela molte più sfumature della natura umana. E’ stata una donna violentata da tutti: guardandola la gente vedeva solo la sua caricatura. E’ vero che gli uomini hanno sempre oppresso molto le donne, ma una donna nera dal corpo ‘diverso’ riassume in sé tutti i tipi di oppressione”.
Oltre il razzismo, la pellicola affronta un altro tipo di sfruttamento, forse più orrendo, quello scientifico: “Un orrore assoluto - dice. Non si può, col pretesto della ricerca, perdere così la propria umanità". E sulla polemica che in questi giorni infiamma la Francia, l’espatrio dei rom da parte del presidente Sarkozy, l’autore afferma: “una vera sciagura, anche per questo il mio film diventa così attuale”.
Tratto dal libro di Chuck Hogan “Il principe dei ladri” (di cui è stato cambiato solo il finale), l’opera di Ben Affleck - sceneggiatore con Peter Craig e Aaron Stockard, regista e, stavolta, anche protagonista - è ambientata a Boston, una città dove si contano oltre 300 rapine in banca l’anno. La maggior parte dei ladri professionisti vive nel quartiere di Charlestown. Tra questi anche Doug MacRay (Affleck), che però non è della stessa pasta dei suoi colleghi. Diversamente da loro, Doug avrebbeavuto la possibilità di riuscire nella vita, anziché seguire le orme criminali del padre. Invece, è diventato il capo di una banda di spietati rapinatori di banche che vanno fieri di arraffare tutto quel che vogliono e farla sempre franca. Per Doug è quella l’unica famiglia ed è legato soprattutto a Jem (il Renner di “The Hurt Locker”), che considera quasi un fratello, nonostante il temperamento avventato e il grilletto facile. Le cose cambiano durante l’ultima rapina: Jem prende brevemente in ostaggio Claire Keesey (Reb ecca Hall, lanciata da Woody Allen), la direttrice della banca e, sapendo di cosa è capace l’amico, Doug decide di intervenire. Va a cercare Claire, la quale non può immaginare che il loro incontro non sia casuale e che l’affascinante sconosciuto sia uno dei ladri che pochi giorni prima l’avevano terrorizzata a morte. Tra i due nasce un’intensa storia d’amore che spinge Doug a voler cambiare vita e città. Ma con gli agenti dell’Fbi (il principale è l’attore John Hamm del televisivo “Mad Men”) alle calcagna e i dubbi di Jem sulla sua lealtà, Doug si rende conto che non sarà un’impresa facile, e che la sua amata rischia di finire nel centro del mirino. La dura scelta è tradire gli amici o perdere la donna che ama.
“Senz’altro il gangsterfilm anni Trenta è stato parte della mia ispirazione – confessa Affleck -, ma ci sono tanti film a cui devo qualcosa. Abbiamo lavorato tanto con Jeremy Renner e mi sembra che lui assomigli a James Cagney, no? Anche l'aspetto sociale è stato importante perché credo che se non si ha un forte senso del luogo non si possa credere al film. Dopo è arrivato anche ‘Gomorra’, che ho trovato davvero straordinario, che mi ha influenzato non poco. Ricordo che quando l'ho visto ho avuto l’impressione che fosse tutto vero e ho apprezzato il suo realismo”.
Nel documentario firmato da Sarno, ormai regista ufficiale del Festival, ben ottantotto ricordi e “confidenze” sulla prima volta alla Mostra del Cinema: “A Venezia con gli Italian B Movies per me fu come stare in paradiso!”. Questa la confessione di Tarantino. Il film testimonia anche l’entusiasmo di Martin Scorsese, al Lido per la prima volta negli anni ‘70, e l’esperienza di Robert De Niro, a Venezia come regista con “A Bronx Tale”, cui si aggiungono le confidenze di uno sconosciuto (all’epoca) Hugh Grant in cerca di interviste, l’entusiasmo di Al Pacino, stregato dalla città lagunare durante le riprese del suo “Il mercante di Venezia”, di Charlize Theron, incredula per l’amore che il pubblico dimostra per il Cinema o lo stupore di Penelope Cruz al Lido per “Prosciutto. Prosciutto”.
Il film Bellocchio – già liquidato come “filmetto familiare” - è costituito da sei episodi di una stessa storia, girati a Bobbio in sei anni diversi tra 1999 e il 2008 (con i corsisti di “Fare Cinema”) e raccontano di Elena, nella sua crescita dai 5 ai 13 anni, di sua madre Sara, sorella di Giorgio, dei loro difficili rapporti. Elena vive con le zie a Bobbio, perché la madre, attrice, è sempre in giro e ritorna quando può, così come ritorna anche il fratello per ragioni diverse. Un giorno Sara decide che Elena vada a vivere con lei a Milano, lasci così il paese e si separi dalle zie, forse definitivamente. Sara invece ritornerà con Elena, nel quarto episodio, per la vendita della casa e ritroverà Giorgio sempre più inquieto riguardo a ciò che vuole fare. Il quinto episodio racconta di uno scrutinio in un liceo immaginario del paese: una delle professoresse è inquilina nella casa delle zie. Il suo dramma è legato alla decisione di bocciare uno studente per presunta “distrazione”. Poi lo promuove. Nel sesto episodio ritroviamo Giorgio che, minacciato per debiti, si rifugia a Bobbio; sarà la sorella a venirgli in soccorso. L’episodio finale è una rappresentazione sul Trebbia. Ne è interprete Gianni, l’amico di famiglia.
Il premiato regista dell’opera prima “Ballo a tre passi” (e poi di “Sonetàula”), Mereu, torna al Lido con una sorta di diario lungo un anno scolastico. Nelle scuole medie di via Schiavazzi e di via Meilogu, alla periferia di Cagliari, l’amore vale più della grammatica. Brendon ama Munira ma lei ha troppa paura che suo padre lo scopra. Anche Noemi vorrebbe Nicola. Per farsi accettare deve però nascondere il suo corpo ingombrante. E se Andrea e Michelle litigano ogni giorno per Antonio, Alberto e Jonathan devono dividersi per sempre quando nelle loro vita arriva Vanessa. Per Kadim non c’è tempo per tutto questo: deve trovare un lavoro per continuare a vivere in città e proseguire la scuola.
Quindi, secondo l’autore, è “una piccola cronistoria (filmata ndr.) di un anno di vita passato con loro ed è andato compilandosi come un diario segreto registrando le loro aspettative, i loro desideri, nello stesso modo fugace e libero con cui coi pennarelli dichiarano i loro amori ai muri della scuola e ai pali della luce”.
Il film portoghese di João Nicolau, passato in Orizzonti, narra una vicenda ambientata nel XV: Manuel dice addio alla sua routine e si imbarca su un vascello ancora sottoposto ai codici della pirateria. Un tradimento a bordo della nave innesca una serie di vicende terribili che il nostro protagonista supera mantenendo intatti i suoi principi morali.
Da parte sua “Nove muse” prende spunto narrativo dall’inizio dell’Odissea: “A vent’anni dalla partenza per la guerra di Troia, Ulisse non ha ancora fatto ritorno a Itaca. Il figlio Telemaco decide quindi di mettersi alla ricerca del padre…” Una storia che parla di destino, caso e redenzione, sfuggendo a qualunque classificazione di genere. Strutturato come una favola allegorica e vagamente ispirato alla fantascienza esistenziale, “The Nine Muses” racconta in modo insolito la storia dell’immigrazione di massa in Gran Bretagna nel dopoguerra, leggendola attraverso la lente del poema omerico. Suddiviso in nove capitoli musicali, nei quali le scene girate tra Usa e GB si fondono con un’ampia selezione di materiale d’archivio.
Un’altra sorpresa tutta italiana è stata “Et in Terra Pax” di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, nella sezione Giornate degli autori. Sorta di noir vero e quotidiano ambientato nel quartiere Corviale di Roma, fra emarginazione e disagio. Gli autori riescono a fotografare (in digitale) una realtà non facile da raccontare senza cadere nella retorica né nel didascalismo sociologico ma con raro rigore, fra Pasolini e film di genere.
Pellicola greca anche nella Settimana della Critica: “Hora Proelefsis” (Terra madre) di Syllas Tzoumerkas. Storia di una nazione e di una famiglia in caduta libera. Tre generazioni (quella degli anni ‘50, quella protagonista del ripristino della democrazia in Grecia negli anni ‘70 e quella attuale) si scontrano in maniera definitiva in seguito a un’adozione avvenuta vent’anni prima.
Eccezionale ‘battesimo’ a sorpresa per i due protagonisti del Premio Biraghi. A festeggiare Nicole Grimaudo e Michele Riondino si è presentato un ‘giovane’ decisamente speciale come Manoel de Oliveira. L’ultracentenario regista portoghese, alla Mostra per il suo corto nella sezione Orizzonti, ha augurato lunga vita anche professionale e un “Buona fortuna” inatteso ai due giovani attori, che il Sngci ha scelto quest’anno per siglare il decennale del premio, tradizionalmente riservato ai nuovi talenti della stagione.
“E’ stato un magnifico regalo per Nicole Grimaudo e Michele Riondino, che il Sngci segue con attenzione non solo da un anno - ha commentato il presidente dei giornalisti cinematografici Laura Delli Colli -. E per il Premio Biraghi, il miglior augurio di longevità da parte di un ‘eterno giovane’ protagonista del cinema mondiale”.
Per il Sngci il Biraghi ha inaugurato tre giorni intensi di iniziative al Lido. Infatti, è arrivata alla Mostra Tilda Swinton per ricevere domani 9 settembre, prima del red carpet del film di Saverio Costanzo, il Nastro d’Argento Europeo, consegnato eccezionalmente insieme al Nastro d’Argento a Quentin Tarantino per il miglior film extraeuropeo. Altri due premi Oscar, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, sbarcano a Venezia per il Premio Bianchi che riceveranno insieme in Sala Grande venerdì 10 settembre, alla vigilia della fine della Mostra.
José de Arcangelo