mercoledì 25 giugno 2008

A Pesaro le 'lame' spietate di Argento e Desplechin

PESARO, 25 – Quarta giornata per il festival di Pesaro e inaugurazione di nuove sezioni, quindi, il programma si infittisce ed entra in gioco un’ardua scelta. Cosa vedere? Come fare a recuperare le opere ‘perse’? Sono questi i dilemmi di cinefili, appassionati e addetti ai lavoro, ma non solo.

La giornata è cominciata con un dramma del Cinema tedesco contemporaneo: “Der Wald vor Lauter Baumen – The Forest for the Trees” di Maren Ade. Ancora insicurezza e solitudine al centro della vicenda di una giovane insegnante idealista, Melanie Proeschle, che inizia il suo primo lavoro alla scuola superiore della cittadina dove è stata trasferita. Ma tutte le sue buone intenzioni vengono subito deluse da colleghi anziani e conservatori, allievi ribelli, irrispettosi e addirittura presuntuosi. Per di più si ritrova sola in un ambiente a lei ostile, ma lei non demorde e tenta di fare amicizia con la vicina Tina. Riesce ad entrare in contatto con la donna, anche perché la donna è stata appena lasciata dal ragazzo e vede in Melanie l’occasione per distrarsi. Solo che Melanie, man mano che la situazione a scuola peggiora, diventa sempre più invadente e insistente portando Tina all’esasperazione, anzi a troncare la loro amicizia. A questo punto a Melanie resta solo la disperazione. Sostenuto da un ottima interprete (Eva Loebau), il film coinvolge ed emoziona ma, ovviamente, lasciando l’amaro in bocca. Grazie a un sottile crescendo di sentimenti e situazioni che acquistano le atmosfere del thriller esistenziale.

Di seguito un’altra opera per l’Omaggio a Amir Muhammad, il documentario “The Year of Living Vicariously” (Malesia/Indonesia, 2005) che, girato durante la lavorazione del film indonesiano “Gie” – pellicola su uno studente scrittore e attivista degli anni ’60 morto in giovane età – combina immagini delle riprese e numerose interviste che illustrano la situazione culturale e politica di quelli anni.

Nel primo pomeriggio l’evento speciale “La hora de los hornos” di Fernando E. Solanas. Proiezione della prima parte (oggi la seconda e domani la terza), del monumentale documentario sulla situazione economica, sociale e politica dell’America Latina nel 1968, e soprattutto dell’Argentina, paese del regista, presentato in anteprima mondiale quarant’anni fa proprio a Pesaro. Un film a lungo proibito in patria, dove si riusciva a vedere solo in proiezioni clandestine, improvvisate tramite una sorta di appuntamento al buio, per incontri, riunioni o addirittura feste. Un documento storico che, nonostante gli anni, riesce ancora ad emozionarci e a chiarirci le idee sul destino del Sudamerica che non sembra cambiato minimamente, tranne che superficialmente. Sono cambiati invece i tempi, c’è stato un ritorno alla democrazia ma le risorse finiscono ancora altrove, e “il popolo” - come si diceva allora - “jamas serà vencido” ma è sempre più povero.

Nel concorso di scena il Giappone con “Asyl – Park and Love Hotel” di Izuru Kumasaka, sempre sui temi solitudine e mancanza di affetto, in un dramma al femminile con spunti da commedia.

Proprietaria di uno ‘strano’ hotel nel centro di Tokyo, Tsuyako – dopo la sparizione del marito – ha trasformato il terrazzo-giardino in una sorta di parco pubblico, frequentato soprattutto dai bambini della zona. Ma la presenza di tre donne riesce a ravvivare la sua solitaria esistenza: la tredicenne Mika, la casalinga Tsuki e la sofisticata Marika. Il rapporto che si instaura e l’aiuto di Tsuyako le porterà, non senza conflitti, a ritrovare la forza di andare avanti.

“Sebbene sorrida raramente – dice il regista -, accoglie nel suo cuore il profondo dolore delle persone. Il rigore e la radiosità della vita, splendidamente rappresentata nella malinconia e nel garbo di Tsuyako, si instilleranno dentro il cuore degli spettatori”. E, grazie alla protagonista (e anche alle colleghe), ci riesce.

Ancora un interessante documentario per Bande à part: “No London Today” della francese Delphine Deloget che racconta le storie dei profughi che arrivano a Calais per poter entrare, ad ogni costo, in Inghilterra. E, attraverso i suoi ‘pedinamenti-interviste’, la regista è riuscita a instaurare con loro delle relazioni – come donna, come occidentale, come ‘privilegiata’, come cineasta - che mettono a fuoco la situazione e le vicende di cinque rifugiati che attendono il momento giusto per passare illegalmente il confine: Chafik, Aron, Abraham, Henok ed Ernias.

In serata, al Teatro Sperimentale, ancora Cinema Tedesco Contemporaneo con “Montag Kommen Die Fenster – Windows on Monday” di Ulrich Koeler, cronaca dell’improvvisa ‘fuga’ di una moglie, Nina. A seguire cortometraggi di Amir Muhammad e, poi vedremo, altri da lui selezionati.

In Piazza, reduce del festival di Cannes e del premio per la miglior attrice a Catherine Deneuve, “Un conte de Noel – Un racconto di Natale” del francese Arnaud Desplechin. Un mélo apparentemente vecchia maniera, ma nello stile sobrio e spietato dell’autore. Infatti lo spunto può sembrare banale, tanto che a raccontarlo si rischierebbe quasi di narrare un altro film, persino “Parenti serpenti” di Monicelli, perché si tratta di un rincontro familiare in occasione del Natale, e anche perché Junon, la madre-matriarca, ha scoperto di avere una grave malattia genetica e ha bisogno di un trapianto di midollo osseo. Visti i preliminari ognuno dovrebbe lasciare da parte vecchi conflitti e rancori, ritrovare l’armonia perduta, ma ovviamente accade tutto il contrario.

Desplechin però ne trae un complesso ritratto di famiglia, anche psicologico, attraverso un melodramma esistenziale con cui affonda la sua gelida lama nel corpo di ogni personaggio, per tirarne fuori colpe e segreti, sentimenti repressi e mancanze nascoste.

In giornata però è partita, al Cinema Astra, la rassegna monografica dedicata al maestro Dario Argento – a cura di Vito Zagarrio – con due tv-movie della serie La porta sul buio: “Il Tram” e “Testimone oculare”, entrambi del 1973, che hanno preceduto la proiezione del “Gatto a nove code” (1971) e “L’uccello dalla piume di cristallo” (1970), entrambi in versione restaurata, e conclusasi con “Inferno” (1980).

Inaugurato il Dopofestival, dopo mezzanotte inoltrata, con cinque corti di video-arte. “Maybe Not” di Oliver Pietsch, sorta di accattivante ‘collage’ che parte con le immagini di un uomo dall’aspetto orientale, avvolto da una coperta, in bilico su un trampolino, che finalmente si butta. Ma dietro a lui tutte ‘le lunghe cadute-suicidi’ cinematografiche più celebri (da “La donna che visse due volte” a “Dr. Stranamore”). “Nummer Twee” di Guido van der Werve, mette in scena l’artista in strada, ma fa qualche passo indietro e… viene travolto da una macchina. A quel punto arriva un furgone della polizia ma anziché i poliziotti scendono cinque ballerine classiche che danzano sulle note di Corelli. “Why We Came” del collettivo ZimmerFrei, prodotto dal Museo d’Arte Man di Nuoro e girato in Sardegna, prende spunto dal brano “By This River” di Brian Eno, e mette in scena gli elementi naturali, roccia, sabbia, vento, mare, facendoci riscoprire il deserto e la vastità degli spazi vuoti.

“Untitled” dell’irlandese-americana Moira Tierney, è una sorta di omaggio all’horror attraverso ululati, rumori indistinti ed inquietanti, immagini e ambienti ‘paurosi’ in bianco e nero. Infine “You Don’t Love Me Yet” della svedese Johanna Billing che, in un crescendo di musica e canto, ‘disegna’ il coinvolgimento come opera d’arte. Un gruppo di persone: un giovane al piano, altri suonano svariati strumenti musicali, una ragazza canta al microfono, poi un ragazzo, infine altri ancora… a cui si aggiunge la partecipazione dello stesso spettatore trascinato dalla musica. E siamo arrivati ormai alla quinta giornata del festival.

José de Arcangelo