giovedì 10 settembre 2009

Battibecchi e polemiche al Lido per "Il grande sogno" di Michele Placido


Anche se ormai siamo arrivati al nono giorno della 66a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, come di consueto, i film si accavallano e si susseguono irrimediabilmente. Succede pure che qualcuno ci sfugga, che qualcun altro venga dimenticato per ragioni di tempo e/o spazio.

Infatti, nei giorni scorsi – tra George Clooney e i film italiani – era passato, in concorso, il maestro della nouvelle vague Jacques Rivette con il suo secondo film con protagonista Sergio Castellitto, e Jane Birkin, ovvero “Questione di punti di vista” che si può gustare subito in sala. Dal teatro (“Chi lo sa?”) al circo, una commedia che è anche una straordinaria parabola sulle relazioni umane e sull’amore, temi cari all’autore e al cinema d’oltralpe.

Alla vigilia della tournée estiva, il proprietario e fondatore di un piccolo circo muore improvvisamente. Nel tentativo di salvare la stagione, la compagnia decide di rivolgersi alla figlia maggiore, Kate che, nella sorpresa generale accetta. Il caso mette sulla sua strada Vittorio - un manager italiano – che decide di seguirli per qualche tempo, inserendosi sempre più nella vita della compagnia, sino a valicare il confine ed entrare nello spettacolo

Ieri, invece, è toccato al tanto atteso e pregiudizialmente discusso di Michele Placido, terzo in concorso, “Il grande sogno” con Luca Argentero, Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca.

Un dramma – anche se il regista lo definisce commedia – autobiografico, ambientato in Italia nel ‘68, quando i giovani sognavano di cambiare il mondo, quando le regole venivano infrante, l’amore era libero e tutto sembrava possibile. Racconta dell’incontro tra Nicola (Scamarcio, alter ego dell’autore), un bel giovane pugliese che fa il poliziotto ma sogna di fare l’attore; Laura (Trinca), una ragazza della buona borghesia cattolica che sogna un mondo senza ingiustizie e Libero (Argentero), uno studente-operaio, leader del movimento studentesco che sogna la rivoluzione. Tra i tre nascono sentimenti e forti passioni e Laura – divisa fra entrambi - dovrà scegliere chi dei due amare.

La storia si ispira all’esperienza autobiografia dello stesso Placido, agente di polizia che arrivato a Roma decise di intraprendere la strada della recitazione, quello era il ‘suo’ grande sogno. Battibecchi e contestazioni in conferenza stampa che ha raggiunto il clou con l’esplosione del regista alla domanda di una giornalista spagnola (scambiata per americana) che chiedeva come mai il film è stato prodotto da Medusa, come tutti sanno società del gruppo Mediaset, appartenente alla famiglia Berlusconi.

“Berlusconi non so chi sia e nemmeno lo voto, voto da tutt’altra parte. Ma voi mi dovete dire con chi (c….) devo fare i miei film: li ho fatti con la Rai e mi avete contestato, ora con Medusa e protestate ancora”. Dopo, credendo la cronista statunitense, ha parlato del cinema americano che, dopo i misfatti compiuti dal governo Usa ovunque, tenta di recuperare facendo vedere quanto gli americani siano ‘buoni’ e ‘pacifisti’ (come nel film con Clooney), chiudendo il discorso con un “ma andatevene a quel paese”. Ma, dopo la proiezione ufficiale, Placido ha dedicato il suo film all’ex direttore de “L’Avvenire”, Boffo, “una persona che ha lo spirito del ’68”. Sarà, come lo stesso direttore della Medusa, Carlo Rosella che era stato fischiato dai giornalisti, quando aveva esordito con “Anch’io ho fatto il ‘68”. Però sono tanti quelli che dopo averci partecipato hanno ‘cambiato sogno’, dal ‘mondo migliore’ al ‘miglior conto in banca’, oppure al successo ad ogni costo. O no?

Tornando al film, Placido ha dichiarato che la gioventù di allora era “desiderosa di libertà e libera davvero, svincolata da tutto ed altruista. Il ’68 è stato un movimento straordinario che travolse convenzioni ed ipocrisie, sconvolse equilibri decennali, fu un’onda travolgente ed i giovani di allora hanno fatto bene a lottare. Erano motivati ovunque nel mondo e pronti a combattere una società ingiusta sia a casa propria sia nelle lontane e orribili guerra come quella del Vietnam. Un grande movimento e, appunto, come dice il titolo del mio film, un grande sogno”.

Un film pensato a lungo, anzi da una vita, che ha visto l’attore-regista impegnato, corpo e anima, per evitare l’effetto nostalgia. E il rischio, visto le premesse, c’era.

“Non volevo un film nostalgico – afferma l’autore - su quel ’68 che non tornerà più e perciò non è nemmeno diretto ai sessantottini di allora. O, almeno, non sono i principali destinatari. Il film, che è una commedia corale su come eravamo, come ci ribellavamo, come pensavamo, è per i giovani di oggi”.

Placido, allora giovane poliziotto venuto dal profondo sud, c’era ma dall’altra parte della barricata.
E non sognava solo un mondo migliore ma sognava soprattutto una vita diversa: quella dell’attore. Un sogno non facile da trasformare in realtà, per lui povero giovane appena arrivato nella capitale (del cinema) con una pessima dizione, che voleva essere ammesso all’Accademia d’Arte Drammatica e di fuggire da quella Valle Giulia dove, durante i fatidici e celebri scontri, c’era anche lui. Tra i poliziotti.

Però i giovani di oggi “sognano poco o non sognano affatto – conclude Placido - perché non credono quasi più in nulla. O così mi sembra. Per loro un nuovo ’68 sarebbe necessario. E io spero che cambino. Anche per questo ho fatto questo film pensando a loro”.

Oggi erano in programma, in concorso, “Al mosafer” di Ahmed Maher, “Soul Kitchen” del turco-tedesco Fatih Akin, e “La doppia ora” di Giuseppe Capotondi, quarto e ultimo film italiano. Per Controcampo Italiano, “Il piccolo” di Maurizio Zaccaro. Fuori concorso, “L’oro di Cuba” di Giuliano Montaldo, e “Gulaal” di Anurag Kashyap. Nella sezione Orizzonti, “Korotkoye zamykaniye” di Petr Buslov, “Dou niu” di Hu Guan, “Touxi” di Liu Jie, “Wahed-Sefr” di Kamla Abu Zekri, “Dai mon e Cock-Croz” di David Zamagni e Nadia Ranocchi.

Domani, per le Giornate degli autori, ancora un film italiano, “Mille giorni di Vito” di Elisabetta Pandimiglio, dedicato ai (dimenticati) figli delle carcerate.

In Italia c'è chi è condannato al carcere senza avere mai commesso reati: i figli delle detenute. Compiuti tre anni, vengono liberati. Saranno costretti a rientrare in carcere ogni settimana per visitare le madri ancora detenute. Oggi nel nostro Paese sono più di settanta i bambini carcerati senza colpa. Vito è uno di loro. Compiuti tre anni, come prescrive la legge italiana, è tornato libero portandosi dietro il peso di quell’infanzia così particolare.

José de Arcangelo