giovedì 30 agosto 2007

Festival di Venezia: Dopo Ang Lee e Kitano, al Lido Clooney e De Palma

VENEZIA, 30 – La 64a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia è entrata oggi nel pieno delle sue attività, e ormai le proiezioni si accavallano e le conferenze stampa sono così affollate che molti di noi sono rimasti fuori, nonostante la fila, anche perché tutti gli accrediti stampa non sono uguali (tranne nel costo) mentre il lavoro è duro per tutti. Anche se si rivela più duro per altri, perché devono seguire le conferenze da un piccolo grande schermo e senza fare domande.

Dopo il mélo-noir di origine letteraria "Espiazione", è stato il turno di quello di Ang Lee, sempre in bilico tra ragione e sentimento. Infatti, con "Sie, jie - Lust, Caution", e dopo il Leone d'Oro vinto con "Brokeback Mountain", il regista cinese-americano si ripropone due anni dopo ancora in concorso.

Stavolta però il melodramma è interamente cinese, ambientato nella Cina dell'occupazione giapponese negli anni Quaranta, tra Shanghai e Hong Kong.

Tratto dal romanzo di Eileen Chang, nota da noi col nome cinese Zhang Ailing, narra la storia della giovane Wang Chiah-Chih che dopo uno spettacolo patriottico viene coinvolta in un pericoloso gioco di intrighi e tradimenti con Mr. Yee, un potente uomo politico e feroce collaborazionista. E così il mèlo-thriller diventa pian piano spy story, poi dramma sentimental-erotico, infine crudele love story. Non a caso a proposito delle scene di sesso si è tirato in ballo persino "Ultimo tango a Parigi", ma si potrebbe ricordare anche "Il portiere di notte" visto che in fin dei conti si tratta di un rapporto vittima-carnefice, anche se il gioco dei ruoli si confonde sempre più tra finzione e realtà, tra recita e vissuto. Perché lei deve sedurre l'apparentemente calmo e dolce assassino di partigiani e patrioti affinché il gruppo di giovani idealisti lo possa far fuori. Solo che la "recita" dura troppo e la bella Wang Chiah-Chih, diventata l'affascinante signora Tai Tai, dovrebbe reprimere passione e sentimenti. Perciò il titolo, traducibile come "Voglia sfrenata, prudenza" non è riferito solo all'amore e al sesso, ma soprattutto alla vita.

Protagonisti sono l'esordiente Tang Wei, di cui ne sentiremo giustamente riparlare, e il celebre Tony Leung, attore feticcio di Wong Kar-wai, che ha già lavorato con lo stesso Ang Lee ma anche con i maggiori registi cinesi, tra cui Chen Kaige e Zhang Yimou, qui in un ruolo insolito perché ambiguo e negativo. E' il "cattivo" di turno per intenderci.

"Nessun'altra storia di Eileen Chang – dice Ang Lee – è tanto bella e crudele quanto "Se, jie". Ha rivisto il testo per anni e anni – se non per decenni – ritornandoci sopra come un criminale a volte torna sul luogo del delitto, o una vittima ricostruisce un trauma subito, raggiungendo il piacere solo variando e immaginando nuovamente il dolore. Nel girare il film, non abbiamo semplicemente adattato "Se, jie", ma l'abbiamo ricostruito proprio come fanno i suoi personaggi mentre recitano, adattandosi alle loro parti. Chang ha inteso la messinscena e la mimica come qualcosa che è brutale di natura: gli animali, come i suoi personaggi, si mimetizzano per sfuggire ai predatori e per attirare le loro prede. La mimica e l'esibizione sono anche dei mezzi per aprire noi stessi, come esseri umani, a grandi esperienze, a rapporti umani indescrivibili, a significati più elevati, all'arte e alla verità".

Approdati assieme al film "Sleuth", il regista Kenneth Branagh, e i protagonisti Michael Caine e Jude Law (anche produttore). Un remake (dell'omonimo film di Joseph L. Mankiewicz, con lo stesso Caine giovane e sir Laurence Olivier, da noi "Gli insospettabili") che non è un vero remake come affermano gli illustri ospiti a tre voci. Infatti la commedia e la sceneggiatura di Anthony Shaffer è stata riscritta dal premio Nobel Harold Pinter che non solo l'ha adattata e aggiornata – in realtà è una storia senza tempo – ma la ripropone da un punto di vista completamente diverso.

"E' stato Jude Law a contattarmi – confessa Branagh – chiedendomi se volevo dirigere un film a cui stava lavorando, una sceneggiatura di Harold Pinter, con protagonisti Michael Caine e se stesso. Penso di aver accettato ancor prima che avesse terminato la domanda".

"Volevamo esprimere la nostra ammirazione – dichiara Law ‑, il piacere che ci aveva offerto l'originale, indagando sul punto focale della storia. Con uno sguardo diverso, da un punto di vista diverso".

"Jude e Simon (Halfon, un altro dei produttori ndr) – continua il regista ‑ volevano mettere in luce qualcosa di grande interesse, non legato al tempo: il confronto tra due uomini. E ci siamo concentrati su questo aspetto".

"Se si fosse trattato di un semplice remake – afferma Caine – non l'avrei fatto, anche perché l'originale era un ottimo film. Ma poi ho capito che era completamente diverso, più rigido, e c'è un fatto non indifferente: Pinter non aveva mai visto l'originale e ha lavorato direttamente sulla sceneggiatura".

"Anche se il film originale – continua il grande attore, ora nei panni che furono di Olivier – non l'ho più visto da allora, Jude mi ha costretto a spingermi pericolosamente verso la psicologia di un uomo vittima di una gelosia perniciosa, che alla fine lo fa uscire di testa. E con la seduzione finale, che gli fa constatare di essere gay, arriva l'ultima umiliazione. Allora non ci eravamo spinti fino a quel punto".

"La caratteristica dello scrittore – conclude Jude Law ‑, di Harold, è l'ambiguità. A lui piace lasciare allo spettatore-lettore lo spazio per l'immaginazione, per la fantasia. Infatti, Harold pensava al film come lo scontro tra due uomini in guerra per qualcosa che però alla fine scordano, e lottano solo per vincere".

E riguardo il confronto con Caine, visto che in passato ha interpretato anche il remake di "Alfie", il film che lo aveva lanciato quarant'anni fa, dice: "Mi piacerebbe essere all'altezza di Michael. 'Alfie' è stata una sfida e l'ho accettata perché era un ruolo che non avevo mai interpretato prima. In questo caso invece, ero così coinvolto nel ruolo di produttore che non avevo ancora pensato alla parte. Ma prima delle riprese ho capito che era un ruolo eccezionale".

Presentata, per la rassegna "Orizzonti – Eventi", l'ultima fatica di Amos Poe "Empire II" che l'autore ha dedicato alla memoria dei due maestri che ci hanno lasciato recentemente: Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni. Ispirata dal classico di Andy Warhol "Empire", un film underground del 1965, dalla Divina Commedia e dal capolavoro di Waltern Ruttman "Berlino: Sinfonia di una grande città" del 1927, l'opera è un lungo esperimento di video arte che ripercorre (in tre ore di proiezione) un anno nella vita di New York, ripreso da un finestra e da un terrazzo che, ovviamente, hanno vista sull'Empire State Building. Poe però non lascia sempre la camera fissa su un'unica inquadratura ma gioca con le diverse angolature, con i colori (virando l'immagine ora sul rosso ora sul blue ora sul giallo), trasformando le immagini con una sorta di effetto solarizzato, fondendo luci e pioggia, riprendendo anche la formicolante vita della strade, riprendendo i fuochi di artificio e i festeggiamenti. Il tutto con una colonna sonora quasi multietnica, ma sicuramente internazionale tra cui rap italiano e canzoni francesi, che ora fa di contrappunto ora si fonde con i rumori quotidiani della strada. Naturalmente un film per cinefili doc.

Due grandi attese per domani, quella del divo George Clooney, ormai di casa anche al Lido, che porta "Michael Clayton", un legal thriller di Tony Gilroy, prodotto dallo stesso Clooney con l'amico Soderbergh, e quella di Brian De Palma che firma "Redacted", entrambi in concorso.

José de Arcangelo