VENEZIA, 30 – La 64a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia è entrata oggi nel pieno delle sue attività, e ormai le proiezioni si accavallano e le conferenze stampa sono così affollate che molti di noi sono rimasti fuori, nonostante la fila, anche perché tutti gli accrediti stampa non sono uguali (tranne nel costo) mentre il lavoro è duro per tutti. Anche se si rivela più duro per altri, perché devono seguire le conferenze da un piccolo grande schermo e senza fare domande.
Stavolta però il melodramma è interamente cinese, ambientato nella Cina dell'occupazione giapponese negli anni Quaranta, tra Shanghai e Hong Kong.
Tratto dal romanzo di Eileen Chang, nota da noi col nome cinese Zhang Ailing, narra la storia della giovane Wang Chiah-Chih che dopo uno spettacolo patriottico viene coinvolta in un pericoloso gioco di intrighi e tradimenti con Mr. Yee, un potente uomo politico e feroce collaborazionista. E così il mèlo-thriller diventa pian piano spy story, poi dramma sentimental-erotico, infine crudele love story. Non a caso a proposito delle scene di sesso si è tirato in ballo persino "Ultimo tango a Parigi", ma si potrebbe ricordare anche "Il portiere di notte" visto che in fin dei conti si tratta di un rapporto vittima-carnefice, anche se il gioco dei ruoli si confonde sempre più tra finzione e realtà, tra recita e vissuto. Perché lei deve sedurre l'apparentemente calmo e dolce assassino di partigiani e patrioti affinché il gruppo di giovani idealisti lo possa far fuori. Solo che la "recita" dura troppo e la bella Wang Chiah-Chih, diventata l'affascinante signora Tai Tai, dovrebbe reprimere passione e sentimenti. Perciò il titolo, traducibile come "Voglia sfrenata, prudenza" non è riferito solo all'amore e al sesso, ma soprattutto alla vita.
Protagonisti sono l'esordiente Tang Wei, di cui ne sentiremo giustamente riparlare, e il celebre Tony Leung, attore feticcio di Wong Kar-wai, che ha già lavorato con lo stesso Ang Lee ma anche con i maggiori registi cinesi, tra cui Chen Kaige e Zhang Yimou, qui in un ruolo insolito perché ambiguo e negativo. E' il "cattivo" di turno per intenderci.
"Nessun'altra storia di Eileen Chang – dice Ang Lee – è tanto bella e crudele quanto "Se, jie". Ha rivisto il testo per anni e anni – se non per decenni – ritornandoci sopra come un criminale a volte torna sul luogo del delitto, o una vittima ricostruisce un trauma subito, raggiungendo il piacere solo variando e immaginando nuovamente il dolore. Nel girare il film, non abbiamo semplicemente adattato "Se, jie", ma l'abbiamo ricostruito proprio come fanno i suoi personaggi mentre recitano, adattandosi alle loro parti. Chang ha inteso la messinscena e la mimica come qualcosa che è brutale di natura: gli animali, come i suoi personaggi, si mimetizzano per sfuggire ai predatori e per attirare le loro prede. La mimica e l'esibizione sono anche dei mezzi per aprire noi stessi, come esseri umani, a grandi esperienze, a rapporti umani indescrivibili, a significati più elevati, all'arte e alla verità".
Approdati assieme al film "Sleuth", il regista Kenneth Branagh, e i protagonisti Michael Caine e Jude Law (anche produttore). Un remake (dell'omonimo film di Joseph L. Mankiewicz, con lo stesso Caine giovane e sir Laurence Olivier, da noi "Gli insospettabili") che non è un vero remake come affermano gli illustri ospiti a tre voci. Infatti la commedia e la sceneggiatura di Anthony Shaffer è stata riscritta dal premio Nobel Harold Pinter che non solo l'ha adattata e aggiornata – in realtà è una storia senza tempo – ma la ripropone da un punto di vista completamente diverso.
"Jude e Simon (Halfon, un altro dei produttori ndr) – continua il regista ‑ volevano mettere in luce qualcosa di grande interesse, non legato al tempo: il confronto tra due uomini. E ci siamo concentrati su questo aspetto".
"Anche se il film originale – continua il grande attore, ora nei panni che furono di Olivier – non l'ho più visto da allora, Jude mi ha costretto a spingermi pericolosamente verso la psicologia di un uomo vittima di una gelosia perniciosa, che alla fine lo fa uscire di testa. E con la seduzione finale, che gli fa constatare di essere gay, arriva l'ultima umiliazione. Allora non ci eravamo spinti fino a quel punto".
Presentata, per la rassegna "Orizzonti – Eventi", l'ultima fatica di Amos Poe "Empire II" che l'autore ha dedicato alla memoria dei due maestri che ci hanno lasciato recentemente: Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni. Ispirata dal classico di Andy Warhol "Empire", un film underground del 1965, dalla Divina Commedia e dal capolavoro di Waltern Ruttman "Berlino: Sinfonia di una grande città" del 1927, l'opera è un lungo esperimento di video arte che ripercorre (in tre ore di proiezione) un anno nella vita di New York, ripreso da un finestra e da un terrazzo che, ovviamente, hanno vista sull'Empire State Building. Poe però non lascia sempre la camera fissa su un'unica inquadratura ma gioca con le diverse angolature, con i colori (virando l'immagine ora sul rosso ora sul blue ora sul giallo), trasformando le immagini con una sorta di effetto solarizzato, fondendo luci e pioggia, riprendendo anche la formicolante vita della strade, riprendendo i fuochi di artificio e i festeggiamenti. Il tutto con una colonna sonora quasi multietnica, ma sicuramente internazionale tra cui rap italiano e canzoni francesi, che ora fa di contrappunto ora si fonde con i rumori quotidiani della strada. Naturalmente un film per cinefili doc.