VENEZIA, 31 – Dopo il trio Branagh-Caine-Law, oggi è toccato all'amato George (Clooney) – sbarcato al Lido ieri sera ‑ presentare il film in concorso da lui interpretato e prodotto (con Soderbergh e C.), accanto a Tilda Swinton, Tom Wilkinson e Sydney Pollack, scritto e diretto da Tony Gilroy: "Michael Clayton". Un legal thriller che oltre alla denuncia delle malefatte delle multinazionali, tenta il ritratto psicologico delle persone che ne sono coinvolte nel bene e nel male, in buona fede e non. Soprattutto gli avvocati dello studio legale che le difendono, ma anche quelli delle corporation stesse.
"Ho aspettato molto tempo – afferma il regista ‑ per realizzare questo film. Forse questa storia è stata influenzata da quel percorso di attesa più di quanto non pensassi all'inizio. Questo era il progetto personale che continuavo a lasciare in disparte per tutte le pseudo-emergenze che mettono il tuo tempo e la tua fantasia in mani altrui. Poi finalmente ho capito che stavo rimandando una cosa che per me era molto importante per risolvere le incombenze di chiunque altro. Michael Clayton è giunto a un punto della vita in cui le poche decisioni che prenderà in futuro determineranno tutto quanto lo riguarda. Come compiamo queste scelte – in che modo la paura, l'inerzia e l'autoconservazione ci rendono vittime dell'ingranaggio: è questo il carburante di questa storia. Il motore è, come sempre: E poi, che succede?".
"Anche il cinema degli anni Settanta – aggiunge – cercava di raccontare il disagio morale attraverso la denuncia, ma io ero più curioso delle persone intrappolate in questo sistema. Non sono in grado di pensare le cose in grande".
"Chi sono io? – esordisce scherzando Clooney ‑, ci sto ancora pensando. Michael (il protagonista del film, "risolutore" dello studio legale ndr) si esprime meglio quando prende con sé le persone. Quando è in crisi inizia a porsi domande, ma ormai ha usato tutte le sue opzioni, è intrappolato. Perciò il personaggio mi è interessato subito". Poi elogia i colleghi Tilda (Swinton) e Tom (Wilkinson) che "sono così bravi che ti intimidisce lavorare con loro".
A proposito dello spot del caffè della Nestlé, discussa multinazionale, che lo meterebbe in contraddizione con la sua lotta ecologico-democratica, il bel George resta quasi senza parole, sembra preso in fallo e l'aggiusta col classico "Chiedo scusa, però bisogna guadagnarsi da vivere. In futuro cercherò di consigliare".
Sul regista esordiente lancia un ironico "Non mi piace", per poi confessare: "Si è dimostrato in grado di gestire benissimo 150 persone sul set. La sua sceneggiatura è ottima, è stata un'esperienza perfetta ad eccezione – scherza ancora – che è più bello di me".
E Gilroy ribatte: "Da tempo volevo fare il regista ma non volevo debuttare con un film qualsiasi o per un grande studio. Perciò l'ho scritto e messo da parte perché funzionava bene e volevo giostrarmelo al meglio. Ho aspettato e lottato per poterlo fare. Non credo ci siano studi legali 'buoni e cattivi'. Accettano la causa e difendono qualcuno o qualcosa. In questo caso c'è qualcosa di cattivo da coprire". Infatti, al centro del film c'è un concime che alla lunga contamina l'acqua e provoca il cancro nei contadini.
"Il film è chiaro fin dall'inizio – esordisce Tilda Swinton, già attrice feticcio di Derek Jarman ‑, cerca gli esseri umani all'interno degli uffici (dello studio e della multinazionale ndr). Quando ho letto la sceneggiatura ho capito che andava fatto, cattivo donna uomo che sia, volevo capire come si guardano in faccia la mattina. Per esempio lei in bagno, suda, poi sembra mettersi addosso un'identità pubblica, quella che usa per assumere il suo posto nella catena di comando".
Nonostante tutto, il film ha un finale ottimista. "Un finale agrodolce – conclude il regista ‑, ma la posta in gioco è alta". E si parla del nuovo film di Gilroy, sempre con Clooney protagonista e produttore, anzi "un partner" come dice l'autore. Sarà un po' (Una squillo per l'ispettore) "Klute", un po' "Quinto potere", quindi, un po' anni Settanta.
L'idea è venuta al regista italo-americano facendo una ricerca su Internet dove ha scoperto che tra siti, blog e chat si vengono a sapere fatti e a vedere immagini su quella guerra che i grossi mass media nemmeno nominano. "E volevo raccontarle a un pubblico più ampio – esordisce ‑. Il film è un tentativo di mostrare la realtà di quello che sta succedendo agli americani in Iraq, di portarlo alla luce per il grande pubblico. La difficoltà è entrare nel mondo di una difficile legalità. Qualcosa ho trovato su Internet ed è reale, ma se lo inserisce in un film rischi di essere denunciato. Le foto non passano attraverso questo processo finché non passano in redazione. Adesso non possiamo mostrare le foto di persone che soffrono".
"Mi piacerebbe – continua – che avessero un'influenza sul pubblico. Non vediamo queste immagini, sono lì ma non sui mass media. E così ho chiesto datemi le foto che non potete pubblicare. Mi ricordo una rivista con immagini orribili sul Vietnam (non a caso De Palma ha realizzato negli anni Ottanta, qualcosa di simile con "Vittime di guerra" ndr), forse se portassimo queste immagini al grande pubblico otterremo qualcosa. Spero che queste immagini facciano arrabbiare il pubblico da indurlo a chiedere al governo di mettere fine a questa guerra. Gli architetti di questa guerra erano allora lì, nel Vietnam. Se fossimo rimasti forse avremo vinto, non si sa".