lunedì 31 ottobre 2011

Da "L'industriale" di Giuliano Montaldo a "Babycall" con Noomi Rapace, i disagi e i tormenti del mondo contemporaneo al RFF

ROMA, 31 - Non delude Giuliano Montaldo con "L'industriale" anche se il finale non convince completamente, e rischia di oscurare il ritratto di un industriali come tanti colpevole soprattutto di essere onesto e di non arrendersi mai alle 'leggi del mercato' finanziario. Un'altra buona occasione per Pierfrancesco Favino, assecondato da una Carolina Crescentini sempre più in ascesa.
La storia del quarantenne Nicola (Favino) proprietario di una piccola fabbrica torinese sull'orlo del fallimento, immersa nella grande crisi economica che soffoca l'intero paese. Ma è orgoglioso, tenace e non cede a compromessi, casomai cerca di contracambiare chi vuole sfruttare la sua situazione, con la truffa e l'imbroglio, ma senza cacciare i suoioperai né corrompere o farsi corrompere da nessuno. Sua moglie Laura (Crescentini) sembra essere sempre più lontana e Nicola, anziché parlarne, comincia a sospettare di lei... Ed è questo tema che poi finisce per travolgere la storia, diventandone alla fine il perno. Unica pecca, forse.
Il regista Pal Sleutane e la protagonista Noomi Rapace (la protagonista della trilogia dal best-seller "Millennium"), entrambi norvegesi, hanno presentato il dramma horror "Babycall" nel concorso ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma.
"Non è un caso che De Chirico sia il mio pittore preferito perché è in bilico tra quello che è o non è reale, però mai buio, oscuro; e il mio film è un horror in pieno giorno, niente buio né ombre. Un film che tratta, anzi racconta l'amore, la cosa più pericolosa della nostra vita eche ci mette sempre in gioco, oltre che dell'amore genitoriale, materno. E' un po' un gioco di scatole cinese, un puzzle in cui tutti i personaggi sonoin qualche modo simile. Anche Anna (il personaggio interpretato dalla Rapace ndr.) ha un rapporto particolare col figlio, come Avgel con la madre, questo è molto importante perché è il mio primo film con una protagonista femminile. Tutti mi chiedevano 'Come hai deciso di fare un film su una donna?', non lo so, l'ho sc ritto e basta. Tutti i personaggi fanno parte di me, e come nei film di Lars von Trier tutte le donne mi sono più vicine degli uomini. Non è necessario rispettare né l'età né il genere".
"Anna è molto diversa dai personaggi che ho interpretato prima, è una donna molto fragile, non combattente. Io invece sono una persona molto fisica, mi piace l'attività, lei è molto più fragile, debole. Non ho fatto attività fisica per mesi, ho incontrato una donna la cui figlia era stata violentata e uccisa dieci anni prima, ma mi ha parlato liberamente della sua terribile esperienza, di quando si è resa conto della scomparsa della figlia, quando ha scoperto poi che era stata uccisa. Le cose che lei mi ha detto le ho assorbite, tanto che il mio corpo era indolenzito, provavo dolore dappertutto tanto che mi hanno fatto dei massaggi ma non è servito a nulla. Mi faceva male la schiena, il personaggio ha preso il sopravvento sul mio corpo, mi sentivo debole, non riuscivo ad andare dall'albergo alla macchina. E' stata difficile, ma dopo l'ultimo giorno di lavorazione, il dolore è scomparso, non c'era nulla che non andasse tranne la presenza di Anna, il suo fantasma, era in qualche modo entrato in me. Quello che faccio lo faccio sempre al 100 per cento, ma non avevo mai avuto così tanti incubi, né mi ero sentita al limiti del baratro. Recitando si può uscire dalla propria realtà, se dobbiamo ritirare i remi in barca per farlo per me va bene, a me piace andare sul confine di questi personaggi".
"Perché i bambini nell'horror? - afferma il regista - perché è l'elemento più vulnerabile nella vita, io quando è nata figlia avevo 45 anni, e la mia vita cambiata, le mie paure pure, i figli sono anche fonte di terrore ansia angoscia per quello che potrebbe succedere loro. Penso che per lo più siamo pronti ad accettare la propria morte ma non la possibilità della morte dei figli".
"E poi un bambino cattivo fa più paura di un adulto", ribatte la produttrice Turid Oversveen.
"Ciò che è normale ciò che non lo è, amo il cinema perché si può fare tutto - afferma la Rapce -, niente è giusto niente è sbagliato, né bianco o nero, è possibile essere tutte queste c ose. A me non attira un personaggio sorridente felice simpatico e basta. Mi piace indagare, pormi delle domande. Difficile quando leggo le sceneggiatura e non riesco a capire il personaggio, scoprire come può reagire diventa la mia ossessiona. Devo capire se riesco a rapportarmi con questa realtà. Forse 'Sherlock Holmes 2' è più leggero, ma ho interpreto una zingara, un popolo ch emi interessa, incuriosisce, perché ancora oggi vengono trattati come animali. Ho pensato che pootevo rapportare il film con la realtà, portare alla ribalta un popolo sempre in fuga, che a volte, forse, vorrebb fermarsi. In realtà posso sempre apportare tonalità più scure, forse il mio cuore batte più forte per quelli che lottano, combattono. Non vorrei mai fare una commedia romantica".
"Tutti noi lavoriamo un po come delle antenne - dice il compositore spagnolo Fernando Velasquez -, Pal ha dato a noi degli spunti, e io pensavo a 'Tosca', 'Madame Bovary', ad una donna innamorata. Noi tutti siamo i creatori del film, e non facciamo altro che prendere questa forza che ci è stata data per creare qualcosa, non è di Pal né di Noomi, è di tutti. Io sono spagnolo, l'ho visto in lingua originale e l'ho capito senza comprendere i dialoghi, grazie alle interpretazioni, tanto che avrei voluto proteggere Anna da questi pericoli, di amare il figlio anche se sapevo non vero. Non è stato necessario leggere i sottotitoli prt capire il film. Il mio compito era dare un po' di calore con la muscia, emotiva ma non proprio da melodramma".
"La musica ha aggiunto una nuova dimensione al film - dichiara Noomi -, eppure la musica sembrava un sottotitolo di quello succedeva".
"Noi compositori siamo fortunati - ribatte il musicista -, il film è un dono, qualcosa di potente incredibile, e come aggiungere lievito all'impasto del pane, la mia musica ha dato calore a un film che adoro. L'idea di una donna, di una madre che combatte, e sono contento di non aver dovuto rifare le musiche dei film precedenti. Anche se non sono mai stato in Norvegia ed è diversa, ho capito l'anima della pellicola".
"Sono molto fortunata - confessa la produttrice Oversveen -, e questo è il terzo film di Pal che produco, siamo molto vicini, ho letto tutte le sue sceneggiature. Ho prodotto tutti tranne il primo, l'ho conosciuto nel 1992 quando ho visto un suo corto (di 30-40 minuti) in sala: straordinario, fra realtà e sogno, una specie di favola. Tanto che appena uscita ho detto: 'Qualcuno mi dica chi è questo regista'. Veramente ha toccato corde molto intime, c'erano diverse dimensioni nel film. Quando si tratta di reperire soldi, trovare il casting, il musicista, è necessario che il regista abiti lo stesso mondo in cui abiti tu. Io cerco sempre qualcosa di diverso, che abbia un senso, non qualunque tipo film, ma quelli che capisco o che mi sfuggono. Qualcosa di illogico, lo posso accettare, se ho la sensazione che il film funzioni, anche perché devo 'vendere'. Stavolta avevo due coproduttori, Karl Baumgartner & la svedese Anna Croneman. E' facile reperire i finanziamenti presentando sceneggiatura e cast all'unisono. A proposito di favole, penso che le emozioni siano fondamentali, il film non deve solo terrorizzare, non solo far paura. Il risultato si vede quando tutti quanti hanno contribuito a dare più emozioni".
"Oltre la sceneggiatura e i talenti - conclude il tedesco Baumgartner -, era interessante che avesse elementi di diversi generi; i produttori pensano solo al pubblico, ma non si può mai sapere quanto sarà grande. E forse questa commistione di generi farà avvvicinare il film al pubblico".

José de Arcangelo

domenica 30 ottobre 2011

Per ricordare il grande Lelio Luttazzi il suo film inedito "L'illazione", la sua unica regia cinematografica

Un sorprendente inedito di Lelio Luttazzi "L'illazione" - in prima mondiale al Festival Internazionale del Film di Roma domenica 30 alle 17.00 e la stessa sera, alle 22.00, in onda su Rai5 -, la prima e unica regia cinematografica del grande showman italiano - che è stato anche scrittore, autore di canzoni e di colonne sonore, cantautore, attore -, vittima di un 'errore giudiziario' che ha segnato la sua esistenza, nonostante la completa assoluzione. Un terribile equivoco, un incubo kafkiano, un linciaggio mediatico, un accanimento senza precedenti su una persona perbene e su un personaggio in vista, amato dal pubblico, anche d'oltreoceano.
"E' stata una vera persecuzione - dichiara la moglie Rossana che l'ha sposato cinque anni dopo - tanto che questa storia ritornava ogni volta sui giornali, non c'era anno in cui non uscisse un articolo in cui veniva detto 'Lelio Luttazzi che nel 1970 era stato accusato' senza specificare che l'atto era stato completamente stralciato. Allora si andava in galera senza perché e lui, infatti, si è fatto 27 giorni in cella di isolamento senza ragione. E proprio in quei giorni scrisse 'Operazione Montecristo' in cui parla del fatto e che la Fondazione pubblicherà insieme a tutti i suoi racconti e scritti".
Il film tv - prodotto nel 1972 dalla Nexus Film per la Rai - è una sorta di riflessione sulla giustizia, un atto di accusa a un certo modo di gestire la libertà e la giustizia che in quelli anni era particolarmente ambiguo, anzi ingiusto. Si veniva accusati e giudicati in base ad 'illazioni', appunto.
La storia. Un gruppo di persone, tra cui un giudice, riunite in una villa di campagna. Attraverso apparentemente innocenti e amichevoli chiacchiere formali davanti a un bicchiere di vino, il giudice, ambiguo e spietato, imbastisce un processo kafkiano ad uno di loro, che nel film è l'unico personaggio che non ha neppure una battuta. Vittima o assassino? Innocente o colpevole? Giustizia o ingiustizia? Abuso di potere o presunzione?
Un lucido dramma fatto di dialoghi, di atmosfere (anche rarefatte), con una parte un po' onirica (visioni, sogni, pensieri in immagini). E' figlio del suo tempo e risente quindi un po' del clima e delle mode di quegli anni, ma la riflessione resta attuale e scottante. Anche perché la verità non mai una sola.
"Abbiamo citato anche Oscar Wilde - dice Mario Valdemarin che interpreta il presunto colpevole, Lorenzo Banfield - che diceva 'bisognerebbe trattare con spirito qualsiasi argomento, dove si ride non c'è immoralità'. E Lelio aveva quella leggerezza, quella delicatezza nell'affrontarlo, mai aggressiva".
E nonostante tutte le querelle e le cause vinte contro i giornali che rivangavano su un 'fatto che non era mai esistito', si continuava a dire 'fra Walter Chiari e Lelio Luttazzi nevica polvere bianca'.
Lo spaventoso equivoco lo chiarisce ancora una volta la moglie del rimpianto Luttazzi - nel suo film interpreta Decio Martinoli, il padrone di casa, un intellettuale che si autodefinisce intellettualoide : "Chiari ha telefonato a Lelio la mattina presto (lui dormiva fino a tardi) e ha risposto la donna di servizio a cui Walter ha lasciato detto di dirgli che aveva chiamato e di telefonare ad un suo amico, lasciandogli il numero, perché lui dall'albergo di Bologna dove si trovava non riusciva a rintracciarlo, e di dirgli, a sua volta, di chiamarlo. Questa persona era uno spacciatore di cui Lelio non conosceva nemmeno l'esistenza ma che era sotto controllo della questura. Tutto qui. E tutto è stato chiarito e il processo stralciato".
Il film non è stato mai mandato in onda dalla Rai che l'aveva prodotto perché era su "un argomento che era meglio non trattare". Era stato ritrovato dalla moglie nella stalla della casa di campagna romana che dovevano lasciare (che è poi quella in cui è stato girato), ma Luttazzi non ne voleva più sapere, le aveva detto persino di buttarlo. Lei invece lo conservò in archivio, lo fece riversare poi in vhs e nel 2000 in dvd. Dopo la morte del marito lo fece vedere a un critico di fiducia che si espresse positivamente e a quel punto venne portato a Paolo Giaccio di Rai5, infine a Piera Detassis e insieme hanno deciso di presentarlo al Festival. Visto che la copia in possesso di Luttazzi non era in buone condizioni sono stati cercati gli originali, il negativo e il positivo (in 16 mm), negli archivi Rai, ed è stato restaurato da L'Immagine Ritrovata di Bologna con la supervisione di Cesare Bastelli, collaboratore di Pupi Avati.
Nella pellicola, oltre a Luttazzi e Valdemarin, recitano Anna Saia (Paola), Annabella Incontrera (Monica), Alessandro Sperlì (il giudice Cesare Calò), Anny degli Uberti (Fausta Calò), Gaby Marini (l'anima vagante), Cinzia Bruno (l'adolescente) e Augusta Mazzoli (Lina, la contadina).
José de Arcangelo

sabato 29 ottobre 2011

Al Festival Internazionale del Film di Roma, in concorso, "Poongsan", un dramma noir e una disperata love story targata Corea

Un dramma noir firmato Juhn Jaihong, ma scritto e prodotto dal più noto Kim Ki-duk sulla scia di quelli di Jean-Pierre Melville anni 60-'70 (soprattutto "Le samurai"), ambientato al confine tra le due Coree e la Cina. Sarebbe stato un qualsiasi film d'azione o spy story se non fosse per il binomio di autori che c'è dietro che lo trasforma in un dramma, se vogliamo, anche psicologico a tinte forti, in una love story disperata, in un film d’azione originale.
In concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, il film è stato presentato dal regista e della protagonista femminile, la bella e brava Kim Gyu-ri.
"Il cinema commerciale per me è quello di puro intrattenimento – esordisce il regista -, deve piacere al pubblico. Quando il mio film è uscito è stato uno shock per tutti. Un tema difficile, delicato affrontato in un modo abbastanza leggero. Non sapevamo che reazione avrebbe generato nel pubblico; e con sorpresa abbiamo constatato poi che il risultato al botteghino è stato superiore alle aspettative".
"Abbiamo girato proprio nel territorio tra le due Coree – prosegue - e non abbiamo avuto difficoltà per avere il permesso, ma nel novembre scorso c'è stato un incidente militare da parte nordcoreana, e non abbiamo avuto più la possibilità di utilizzare fuochi d'artificio ed effetti speciali (spari, esplosioni, ecc. ndr.), ci siamo trovati per la prima volta in una situazione di guerra che non avevamo mai sperimentato".
Infatti, la pellicola racconta l’esistenza del giovane Poongsan (così soprannominato dal marchio, canino, delle sigarette che fuma), interpretato da un intenso Yoon Kye-Sang, che valica la frontiera fra le due Coree per recapitare il dolore e i desideri di famiglie divise, lontane, le stesse che lasciano messaggi sul muro che separa il paese, la cosiddetta zona demilitarizzata. Il giovane si assume ogni rischio, ma un giorno gli viene fatta una misteriosa richiesta da parte di agenti governativi: introdursi di nascosto nella Corea del Nord per persuadere In-oak (Kim Gyu-Ri), amante di un disertore nordcoreano, a seguirlo. La donna accetta ma tra loro si instaura un rapporto sempre più intimo…
"E' stato sorprendente quello che abbiamo scoperto la settimana scorsa – aggiunge l’autore ., quotidianamente i coreani riescono a inviare corrispondenza non attraverso il confine coreano ma da quello cinese, e chiamano questo passaggio/trasmissione Poongsang proprio come il protagonista".
"In realtà neanche noi sappiamo molto della Corea del Nord – confessa -, abbiamo imparato che sono i nostri nemici, ma quello che ci hanno insegnato non è più così, non posso più ritenere che il popolo nordcoreano sia il mio nemico. Molti di noi vogliono unirsi alla Corea del nord ma non sappiamo come interagire per riuscire a farlo. Dobbiamo cercare di rimediare questa situazione, di cambiare".
"Il mio obbiettivo è di girare un film d'intrattenimento totale – continua -, non deve essere per forza drammatico, ma un divertimento leggero per poter comunicare col pubblico giovane, perché essendo anch'io giovane sento di dovermi rivolgere a loro. Un film di guerra è difficile da trasmettere al pubblico giovane, bisogna renderlo per certi versi leggero. Con questa miscela di generi diversi riesco a comunicare in maniera più accessibile quei temi più pesanti. Kim Ki-duk mi ha dato un grande supporto ma non è stato mai presente o intervenuto sul set. Il primo giorno mi è stato vicino e dopo aver verificato che tutto stava procedendo bene non è più tornato. Poi ha visto il film concluso, gli è piaciuto e ha sottolineato 'la mia opinione non ha peso, è il tuo film'. Un grande sostegno".
E l’attrice Kim Gyu-ri dice “Nonostante le difficoltà delle riprese, incluso essere nuda nell’acqua gelida (devono attraversare, immergendosi, un fiume per non essere visti ndr.), è stata una grande occasione poter lavorare in questo film. Sui fatti raccontati, di recente una mia amica, il cui nonno ottantenne è un rifugiato del nord, mi ha detto che quando ha visto il film non ha potuto fare a meno di commuoversi, tanto che le ha chiesto di ringraziarmi per questo. – e sul protagonista aggiunge - All'inizio delle riprese è stato difficile girare con un partner muto, ma poi la comunicazione attraverso gli sguardi, attraverso il contatto visivo, si è rivelata una comunicazione diversa e più intensa di quella che si stabilisce con le parole”.
Alla nostra domanda su quali siano i suoi riferimenti, visto che il film ricorda il cinema del maestro del noir Jean-Pierre Melville, soprattutto nel personaggio del protagonista, il regista afferma: “Direttamente non conosco il suo cinema, ma in realtà molti riferimenti sono al cinema europeo, visto che negli anni che ho passato a Vienna ho avuto occasione di vedere molte pellicole di registi italiani, tedeschi, spagnoli, francesi che mi hanno colpito molto, mentre nel periodo precedente passato negli Usa non avevo avuto molto contatto col cinema europeo. Il riferimento principale resta comunque l'opera lirica, dato che l’ho studiata per vent'anni, prima di passare al cinema, il movimento dei personaggi, la mimica, sono aspetti fondamentali, più diretti della musica”.
"Inizialmente volevo mettere Rachmaninov, o Sciostakovich – conclude il regista -, ma poi ho scelto Schumann che mi sembrava più adatto per un amore senza speranza. Ho concluso le riprese con una canzone perché avevo fatto la promessa a Kim Ki-duk, di cantare per finire in una bella maniera".
José de Arcangelo

venerdì 28 ottobre 2011

Al Festival Internazionale del Film di Roma è approdato Tintin secondo Steven Spielberg ma anche il regista di "Insidious", James Wan

ROMA, 28 - Dopo l'apertura ieri con la proiezione fuori concorso di "The Lady" di Luc Besson con Michele Yeoh, sull'attivista birmana Aung San Suu Kyi, e la presentazione del nuovo film "Insidious" - nelle sale italiane da oggi -, James Wan è arrivato ieri a Roma per partecipare al Festival Internazionale del Film, dove terrà il 31 ottobre, a mezzanotte circa, una Lezione Horror che precederà la proiezione della sua pellicola, proprio nella notte di Halloween.
L'opera fonde le suggestioni dell'horror classico con l'ambientazione, le situazioni e le tecnologie contemporanee, e ha come riferimenti - nella prima parte - il "Poltergeist" di Tobe Hooper e - nella seconda - "L'esorcista" di William Friedkin. Un riuscito mix senza eccessi né
fiumi di sangue che però dosa perfettamente suspense e brivido, sequenze inquietanti e/o raccapriccianti con scene famigliari di grande serenità, soprattutto all'inizio. Il tutto in un contesto realistico e quotidiano, perciò più inquietante ed efficace.
"Poltergeist ha avuto una grandissima influenza su di me da ragazzino, ma stavolta non è stata fonte di ispirazione per me né per lo sceneggiatore (Leigh Whannel, che ha lavorato ai primi tre capitoli della saga 'Saw' ndr.). Abbiamo parlato di proiezione extrasensoriale, abbiamo guardato tanti classici anni '50-' 60 in bianco e nero, quelli sulle case infestate tipo "The Haunting' (Gli invasati, 1963) di Robert Wise, e soprattutto un piccolo horror indipendente come 'Carnival of souls', un film che consiglio sempre a tutti di vedere".
La storia infatti inizia proprio in questo modo. Renai (Rose Byrne) e Josh (Patrick Wilson) si trasferiscono con i loro bambini in una vecchia e tranquilla villetta di periferia. Ma, quando a causa di una caduta dalla scala il figlio maggiore Dalton (Ty Simpkins), entra in coma senza ragione apparente, per la famiglia ha inizio un vero e proprio incubo. Non ha riportato traumi, ma i medici non riescono a dare una spiegazione clinica al suo stato vegetativo. Nel frattempo strani fenomeni cominciano a verificarsi all'interno della casa, fino ad una presenza terrificante che solo Renai riesce a vedere. Spaventata di quanto sta avvenendo, la coppia decide di traslocare, ma le cose non sembrano migliorare nella nuova abitazione, anzi...
"Il settimo 'Nightmare'? (c'è un che di somigliante nel demone, soprattutto il particolare dell'artiglio, gli fanno notare ndr.), no consciamente. Semmai il "Nightmare" di Wes Craven che è un capolavoro. Se uno deve rendere omaggio, lo rende al primo".
"Io e lo sceneggiatore abbiamo deciso di attingere a ricordi che avevamo ancora in mente - continua -, racconti di fantasmi ascoltati o fatti accaduti a familiari o amici, e messi insieme farne un film. Una scena si ispira ad un incidente che mi è accaduto una volta in piena notte, mentre stavo dormendo: l'allarme scattò e il suo penetrante squillo mi svegliò brutalmente, terrorizzandomi. Quando un allarme scatta all'improvviso, di solito, significa una cosa soltanto: che qualcuno sta entrando in casa. Perché sono fatti che possono far paura, volevamo una cosa che sia fondata, radicata nella quotidianità. Situazioni simili sono accadute nella vita reale, a persone in cui noi ci possiamo identificare. Tutti abbiamo una famiglia, persone care che vogliamo proteggere, questo riguarda tutti quanti. L'idea di qualcosa che possa invadere il nostro spazio personale fa paura. Il filone delle case infestate è ormai esaurito, è stato sfruttato fino alla noia. Perciò abbiamo scelto un membro della famiglia, perché quando è ferito o soffre e non sai cosa ha né cosa fare..."
"La scelta di me come attore nel ruolo del demone riguarda James - dichiara Joseph Bishara, amico e compositore, autore della colonna sonora -. Per le musiche sono stato coinvolto fin dall'inizio, prima delle riprese; abbia condiviso l'idea del quartetto d'archi, il piano jazz che domina tutto lo svolgimento. Fin da subito abbiamo stabilito il tono delle musiche del film, e una volta deciso che quest'esperienza extracorporea doveva avere come riferimenti i classici del XX secolo, sono partito nella costruzione delle musiche, fatte e montate prima del film".
"Mi serviva un attore calvo - ribatte scherzando il regista -, volevo realizzare il film in senso indipendente, metterlo 'dentro' il film per coinvolgerlo meglio in quello che volevo raccontare. E parlandogli delle scene avrebbe capito prima e meglio quello che volevo. E' strano perché interpreta il cattivo, come se John Williams facesse la parte di Darth Vader (rispettivamente compositore e personaggio cattivo di 'Guerre stellari' ndr.)".
"Sicuramente mi piacerebbe tornare a recitare - aggiunge Bishara -, ma sempre nel ruolo di una creatura strana, in costume. Recitare per recitare no. Poi qui c'era il ragazzino e farlo piangere continuamente mi ha divertito molto. Stavolta c'è stato un taglio diverso, molto interessante: in costume pronto per recitare, prendevo appunti relativi alla musica. Un coinvolgimento più profondo, io e James abbiamo in comune il gusto musicale e la passione cinematografica perché anch'io sono un amante del genere horror".
"Il sound design è di grandissima importanza, e nell'horror indipendente di maggior successo, di solito, a vedere non si vede niente, ma è il suono, la musica a mettere paura. Quando la gente ha paura si tappa le orecchie anziché chiudere gli occhi. E' estremamente importante, l'effetto non è così forte, spaventoso, come quello evocato dal suono. E' un arnese nella scattola degli attrezzi da usare nella pellicola".
"Oren Peli (uno dei produttori e autore di 'Paranormal Activity' ndr.) usa questa tecnica dell'horror che è partita con 'The Blair Witch Project', un nuovo modo che viene utilizzato dall'ultima generazione di registi che non dispongono di grandi budget, e mette il pubblico nelle situazioni in cui si trova il personaggio, lo spettatore gettato subito dentro. Io sono fan di 'Paranormal Activity', questo stesso tipo di tecnica era già anticipata da 'Carnival of souls', appunto".
"Il finale che ho dato mi sembra più giusto e adeguato a questo genere di film - prosegue il regista -. Voglio che lo spettatore lasciando la sala si porti a casa questa sensazione, che gli resti attaccato addosso, che non fosse proprio un lieto fine. L'impatto del film, ripensando a 'Saw' (il primo da lui diretto ndr.), con la porta che si chiude, per me era un finale chiuso. La produzione, visto il successo, quella porta ha deciso di riaprirla. Non sono in grado di lavorare pensando di avere un sequel, però quando il film diventa commerciale la produzione spinge per guadagnare di più".
"Io volevo realizzare un film su una casa infestata, moderno con un tocco retro, vecchia scuola, anche perché questo modo di fare film mi piace moltissimo, perché ci sono cresciuto. Se uno va a guardare i remake dei vecchi horror scopre che vengono girati come film d'azione, dove tutto è più veloce e frenetico. Ho deciso di dare una nuova veste a un sottogenere lungamente consolidato, rendendo omaggio ai classici del genere".
"A me piacciono i western italiani non americani perché ho amato il genere grazie a Sergio Leone e allo spaghetti western. E poi Dario Argento (che mi ha ispirato per il primo 'Saw'), Mario Bava, Lucio Fulci. Sono un fan del cinema italiano in generale perché i filmmker e i registi italiani hanno la grande capacità di prendere qualcosa di noto, di consolidato nella narrazione e dargli qualcosa di nuovo, una prospettiva fresca e nuova. Qualcosa di unico".
"Credo fondamentalmente che i bambini non fanno paura, o almeno non dovrebbero, perché pensi subito all'innocenza. In un contesto horror completamente diverso, quelli che fanno più paura sono bambole, pupazzi e burattini che stanno li inerti, ma poi pensi che quando ti giri riacquistino vita. Ecco la versione horror di 'Toy Story' della Pixar potrebbe essere il prossimo film".
Nel cast di "Insidious" anche la rediviva Barbara Hershey (Lorraine, la madre di Josh), Lin Shaye (Elise Rainier, medium amica di Lorraine), lo sceneggiatore Leigh Whannell (Specs), Angus Sampson (Tucker), Andrew Astor (Foster Lambert9, Corbett Tuck (Adele), Heather Tocquigny (Kelly), Ruben Pla (dottor Sercarz) e John Henry Binder (padre Martin).
La fotografia che rievoca atmofere oniriche ed extrasensoriali fondendole a quelle realistiche è di David Brewer, mentre il supervisore degli effetti visivi è Darren Orr.
Ma già oggi sono iniziati le proiezioni di film in concorso, delle sezione Alice nella Città, L'altro cinema - Extra e del Focus.
Una vera sorpresa nella sezione Alice, è stata la seconda opera della regista ecuadoriana Tania Hermida P. "En el nombre de la hija" (Nel nome della figlia) con un efficace gruppo di bambini capitanati dalla sorprendente e intensa Eva Mayu Mecham Benavides e del fratellino Markus Mecham Benavides. Una storia ambientata nell'estate del 1976, tra impegno e sfruttamento, tra ricchi e poveri, tra 'comunisti' e alta borghesia. Ma il tutto visto e 'rappresentato' dagli stessi bambini che sono lo specchio dell'educazione, specchio abbaiante dei genitori.
Manuela (Eva Mayu Mechan Benavides) è una bambina di 9 anni dallo sguardo vivo da cui traspare un'energia potente, quasi fisica. Con il fratellino Camilo trascorre le vacanze nella fattoria dei nonni (dove si coltiva la canna da zucchero) nella valle delle Andi dell'Ecuador, insieme ai suoi cugini, dove la nonna cattolica conservatrice (Juana Estrella) pretende porti il nome che tutte le prime figlie femmine della famiglia portano da generazioni. Decisa a difendere le idee del padre, ateo e socialista, e in parte anche della madre, affronta fieramente i comportamenti ora classisti ora razzisti dei suoi parenti, decisa a non perdere il senso della propria integrità. La disputa con la severa nonna, oltre a cambiare per sempre le relazioni con ilsuo ambiente, la porta a confrontarsi con due mondi a loro modo convenzionali: il cattolicesimo e il socialismo.
Un ritratto vivido e realista che ci riporta alle atmosfere anni Settanta in Sudamerica (non solo) e costruito intorno ad una figura che ricorda certi personaggi femminili delle fiabe (ad un certo punto il riferimento ad Alice - nello specchio - diretto), quelle vere, dove un personaggio deve essere abbastanza straordinario da attraversare alcuni secoli senza un graffio.
La sensibilità della regista si fa notare soprattutto nel disegno dei personaggi infantili, mai 'finti' né sopra le righe, completamente odiosi né eccessivamente simpatici, ma soprattutto ragazzi come tutti gli altri e al tempo stesso diversi fra loro. E ottiene dai piccoli protagonisti interpretazioni veramente da premiare. E questo sembra riconfermare il successo e i riconoscimenti internazionali ottenuti con l'opera prima "Que tan lejos?" (Quanto lontano?), record d'incassi in patria ed accolta benissimo anche in Spagna, Francia e Svizzera.
Però il più atteso per il grande pubblico è stato sicuramente "Le avventure di Tintin: il segreto dell'Unicorno" di Steven Spielberg - anche esso al cinema da oggi -, alla presenza del protagonista Jamie Bell (in carne e ossa) e non nella versione virtuale del film (in 3D). Infatti, per amare questo nuovo giocattolo dell'ex ragazzo terribile di Hollywood bisogna dimenticare quasi completamente l'originale (disegni inclusi) perché si tratta dell'animazione digitale già tridimensionale nei personaggi, e i nomi (nella versione originali) sono stati cambiati e/o adattati (Milou è diventato Snowy), tranne per il protagonista. Lo spettacolo comunque non manca, il divertimento nemmeno. Ma noi continuamo a preferire il 'vero e unico' Tintin di Hergé.
Commedie in concorso e fuori con il divertente e corrosivo "Hysteria" di Tanya Waxler che raccontando la storia del dottore che inventò il 'vibratore' ricostruisce uno spietato quadro dell'Inghilterra vittoriana attraverso il suo incontro con la ribelle e impegnata figlia di un anziano e illustre collega.
Deludente invece "A Few Best Man" di Stephan Elliott che partendo da una storia tipo "Una notte da leoni" in salsa australiana, non mantiene le promesse dell'inizio, sposando stereotipi e luoghi comuni - inclusi quelli omofobici - per cadere in un grottesco, addirittura volgare. L'ombra dell'accattivante "Priscilla" svanisce, purtroppo, dopo il primo quarto d'ora. Però la presenza della rediviva Olivia Newton-John (protagonista dell'indimenticabile "Grease" accanto a Travolta) non è per niente nostalgica, anzi, l'unica nota veramente trasgressiva ed efficace della 'commediola'.
Presentato anche il noir d'azione coreano "Poongsan" di Juhn JaiHong, prodotto dal grande Kim Ki-duk, di cui parleremo domani perché abbiamo incontrato anche l'autore, che è anche cantante lirico per passione.
José de Arcangelo