
Una trasposizione più realistica, opaca e riflessiva di ogni altra spy story che ben si adatta all’originale, rappresentando agenti dal volto umano, con pregi e difetti (quasi), vizi e virtù, tutti al servizio del loro paese. Grande cast: da un inedito Gary Oldman all’onnipresente Colin Firth, dal veterano John Hurt all’attore in ascesa Mark Strong.
“Quando ho conosciuto John le Carré, aveva già le idee molto chiare sulla versione cinematografica del suo ‘Tinker, Tailor, Soldier, Spy’ – dice il regista, lo svedese Thomas Alfredson di “Lasciami entrare” -: ‘Cerca di non copiare il libro pari pari né tantomeno la serie Tv, tanto esistono già. Non voglio interferire, ma puoi chiamarmi ogni volta che avrai qualche dubbio’. Credo di avergli obbedito alla lettera. Ovviamente è impensabile riproporre in un film tutti i dettagli di un libro di 349 pagine, ma se ne possono riprendere le fila, i temi e i momenti salienti, cercando di descrivere quello vi si legge. Abbiamo fatto un film che parla di lealtà e ideali – valori estremamente attuali, forse perché al giorno d’oggi sono così rari?”
Ispirato a fatti e persone reali, “Tao Shin”, della cinese Ann Shui, narra la commovente ma sobria storia di Chung Chun-Tao, detta Ah Tao, nata a Taishan, in Cina. Il padre adottivo muore durante l’occupazione giapponese e la madre la manda a lavorare. Appena adolescente, Ah Tao diventa una “amah“, una serva, per la famiglia Leung, condividendone la vita quotidiana. Col tempo alcuni membri della famiglia passano a miglior vita e altri emigrano. Trascorsi sessant’anni, Ah Tao è ora al servizio di Roger, l’unico della famiglia rimasto a Hong Kong, dove lavora come produttore cinematografico. Un giorno, tornando a casa, Roger trova la donna in preda a un ictus e la porta precipitosamente in ospedale. Una volta fuori pericolo, Ah Tao gli comunica di volersi ritirare in un ospizio. Qui

“Mi sento molto fortunata – confessa la regista di Hong Kong - ad aver realizzato un film con tutti gli elementi che amo di più: storia vera, approccio documentaristico, taglio lirico, umorismo, pathos e attori improvvisati accanto a divi celebri!” Tutto vero.
Nel terzo film in concorso, “Dark Horse” di Todd Solondz, un ragazzone sulla quarantina (il bravo Jordan Gelber, proveniente dal piccolo schermo), nerd con la sindrome di Peter Pan, si innamora di una coetanea con la stessa sindrome, ma abbandonare la sua cameretta di adolescente piena di gadget – e i genitori (straordinari Christopher Walken e Mia Farrow) si rivela più arduo del previsto. E la tragedia incombe.
Ottima partenza in commedia che perde colpi non appena si insinua il dramma, infatti l’autore stavolta non riesce a trovare il raro equilibrio fra (corrosiva) comicità e (disarmante) tragedia come nei suoi precedenti capolavori (soprattutto “Happiness”), più spietati e atroci quadri (corali) contemporanei.
“E' buffo perché per quanto possa

“Questa storia qua” – da mercoledì nelle sale - racconta, attraverso materiali di repertorio inediti, l’eccezionale percorso musicale e umano di Vasco Rossi. Venticinque milioni di dischi venduti in trent’anni di carriera, un successo che non tramonta, una storia unica quella di Vasco Rossi, che in questo documentario per la prima volta si racconta, consegnandoci un suo intimo ritratto. Filmati super 8, fotografie di famiglia, VHS amatoriali, vecchie registrazioni radiofoniche contribuiscono a tracciare un quadro nuovo e autentico del rocker emiliano. Vasco ci accompagna lungo le tappe del viaggio che da Zocca, provincia di Modena, lo ha portato sino al successo, e

“Questo film nasce dal desiderio di raccontare la storia di Vasco Rossi – concordano i registi Sibylle Righetti e Alessandro Paris -. Una storia che ha per protagonista un ragazzo nato in un piccolo paese dell’Appennino emiliano, una storia che diventa l’occasione per tracciare un affresco della provincia italiana di quegli anni e di un’intera generazione. Grazie allo straordinario materiale di repertorio messo a disposizione dallo stesso Vasco, dai suoi amici più cari e da tanti abitanti di Zocca, che ci hanno affidato con fiducia i loro ricordi, abbiamo cercato di ricostruire la vita e lo spirito di un paese, di un gruppo di amici e di un ragazzo. ‘Da lì i sogni sembravano poter volare lontano’ come ci ha detto lo stesso Vasco”.
“Cavalli” di Michele Rho narra, invece, una storia fine Ottocento: in un paesino degli Appennini, vivono Alessandro e Pietro (da adulti Vinicio Marchioni e Michele Alhaique), due fratelli diversi e legatissimi, soprattutto dopo la morte della madre che fa loro l’ultimo regalo: Sauro e Baio, due stupendi cavalli non ancora domati. Divenuto adulto, Alessandro sente crescere il desiderio di oltrepassare le montagne e andare lontano, mentre Pietro vuole diventare un allevatore e vivere con Veronica, la ragazza che ama.
Un’opera prima (Rho viene dal corto) visivamente affascinante, un po’ dal punto di vista della narrazione – che risente un po’ l’influenza della fiction televisiva, sul rapporto uomo-natura, e particolarmente con quelli splendidi animali, amici e compagni di avventure, quali sono i cavalli, appunto.
“Quando ho letto per la prima volta il racconto – dice il regista - ho provato una piacevole sensazione di déjà vu, come se nella mia testa questa storia esistesse già, come se l’avessi vissuta in prima persona. ‘Cavalli’ ha il sapore di quelle storie che ti raccontano da piccolo.

Il corto documentario “Prove per un naufragio della parola” di Elisabetta Sgarbi segue una nave che plana e decolla, si erge e si inabissa in un mare silenzioso, mette in scena un dialogo. Un dialogo dedicato all’amore, di un uomo e di una donna dei giorni nostri e di sempre, di una coppia che si ama o almeno tenta di farlo.
“Due naufraghi recitano un tentativo di dialogo – dice l’autrice. E risospinti, ogni volta e di nuovo, sempre al punto di partenza, ricominciano con rinnovata energia”.
Inoltre, nella giornata di oggi, è stato presentato all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, l’importante accordo tra Telecom Italia e Cinecittà Luce finalizzato alla conservazione e digitalizzazione dell’immenso patrimonio audiovisivo dell’Archivio Storico Luce, e alla diffusione di grandi film, documentari e materiali d’archivio di Cinecittà Luce su Cubovision, la nuova piattaforma interattiva di Telecom Italia, nonché sulla WEB TV e IPTV di Telecom.
L’investimento iniziale di Telecom Italia – come ha spiegato Franco Bernabè, Presidente del gruppo di telecomunicazioni – sarà di 500.000 euro per i primi mesi, con una previsione su un periodo pluriennale, e tenendo conto dell’evoluzione dell’accordo, di tre milioni di euro a completamento della prima parte del progetto. Cinecittà Luce avrà tre canali dedicati sulla piattaforma Cubovision, che partirà subito con 50 titoli della library di cinema di Cinecittà Luce, destinati a rigenererarsi periodicamente. Film e documentari cui si affiancherà un canale dedicato ai materiali d’Archivio, offerti gratuitamente. Per Bernabè “si tratta di un’iniziativa culturale, che dà finalmente la possibilità di fruire di prodotti di nicchia, ovvero quelli che sul lungo periodo diventeranno dei blockbuster, come le opere dei giovani registi. Un’iniziativa culturale che sta economicamente in piedi da sola, perciò da applaudire”.
Roberto Cicutto, Presidente di Cinecittà Luce, ha spiegato come si tratti di “un matrimonio dal triplice interesse: culturale, economico e generale”, perché consente la conservazione della nostra memoria audiovisiva, creando sviluppo industriale, nel segno della diffusione alla collettività di importanti contenuti. Luciano Sovena, AD di Cinecittà Luce, ha ricordato la tradizione di quasi cento anni dello storico marchio, che “ci consegna una immensa library di film e documentari, oltre al prestigioso archivio storico. Grazie a questo accordo siamo in grado di portare nelle case di 18 milioni di italiani questa Storia. Si vedranno cose mai viste, che vanno viste.” Il Ministro Galan si è infine detto “felice di questo accordo, anche perché si lega a quello che era il nostro obiettivo: la salvezza di Cinecittà Luce, un ente che sarebbe stato una follia chiudere. Credo che Cinecittà abbia un futuro radioso, e voglio cogliere l’occasione per un plauso a chi in questi anni lo ha saputo gestire bene: Roberto Cicutto e Luciano Sovena”.
José de Arcangelo