Accolto bene il debutto del fumettista pisano Gipi, perché se la sua opera prima – giovane e divertente - non è perfetta

(ma quale lo è), non è caduto nel tranello della ricerca visiva ad ogni costo ed effetto, nonostante l’ispirazione alla graphic novel di Giacomo Monti “Nessuno mi farà male”. Quindi, senza presunzione Pacinotti ha messo grande attenzione al ritratto del protagonista, ai personaggi di contorno, alle situazioni, e soprattutto alla narrazione e al linguaggio cinematografico che se, a tratti, coincidi non è certo lo stesso delle pagine illustrate (statiche).
La storia si svolge durante l’ultima settimana prima dell’arrivo di una civiltà extraterrestre sulla Terra. Un arrivo annunciato dai governi. Una notizia in seconda serata, che non ha entusiasmato nessuno, soprattutto in Italia. Infatti, gli alieni trovano un paese stanco e disilluso, in una crisi economica conclamata e gravissima. Le reazioni delle persone alla venuta degli extraterrestri vanno da quella razzista a strampalate interpretazioni mistico-religiose. Ma il film non racconta la vicenda di un popolo; segue invece la vita di Luca Bertacci (bravo l’esordiente Gabriele Spinelli, amico e collaboratore del regista), un uomo con enormi problemi di relazione, un uomo che, abbandonato dalla madre quando era piccolo, è cresciuto nell’odio per le donne. Nella diffidenza e, soprattutto, nell’incapacità di provare sentimenti. Ma l’arrivo degli extraterrestri cambierà tutto. Difficile, alla fine, non pensare che questi alieni con il loro arrivo tanto simile a un “giudizio universale“ siano venuti sulla Terra solo per lui. Come un regalo.
“Ho sempre pensato che per raccontare la realtà in modo fedele la si dovesse tradire profondamente – afferma ‘Gipi’. Sono pure convinto che sia quasi inutile tentare di descrivere la contemporaneità raccontando la contemporaneità, visto che i tempi di mutazione sono talmente rapidi che qualunque ‘oggi’ diviene ‘ieri’ nel tempo necessario a scriverne la parola. Per ovviare a questa trappola la nostra storia è ambientata nel futuro. Solo qualche anno in avanti. Diciamo tre. Non di più. Un’Italia dopo l’Italia, insomma, che ci permetta di giocare a immaginare la deriva estrema che una condizione sociale potrebbe raggiungere. Questo è l’intento”.
Ecco la storia nerissima del noir contemporaneo firmato da Friedkin, un thriller dell’anima - pervaso da feroce e corrosiva ironia - in un mondo dove genitori e figli non possono che essere nemici. Quando scopre che la madre ha rubato la sua scorta di droga, Chris (Emily Hirsch, di “Into the Wild”), spacciatore di 22 anni, deve racimolare seimila dollari in fretta, o sarà un uomo morto. Disperato, va a trovare suo padre Ansel e gli espone il suo piano: eliminare la madre, odiata da tutti, e riscuotere l’assicurazione sulla vita

“E’ un po’ come la storia di Cenerentola – dichiara Friedkin -, ma il Principe azzurro è un killer a pagamento, ed è anche sceriffo del dipartimento di polizia di Dallas. Anche se il titolo e l’intreccio fanno pensare a risvolti sinistri, trovo che il film sia molto divertente”.
“C'è poco da dire, vedo il mondo esattamente come lo vede lui – aggiunge l’autore de “L’esorcista” a proposito del rapporto con Tracy Letts, sceneggiatore e drammaturgo premio Pulitzer per la pièce da cui il film è tratto - e non in termini critici, ma nel senso che ritroviamo le stesse cose nella natura umana, cose che troviamo molto divertenti e che vengono raccontate con un certo umorismo nero. Ma è un umorismo che è già nel testo originale, ammetto che non si tratta di una comicità alla Benigni o alla fratelli Marx. Si ride come quando si ascolta un politico americano che fa un discorso. Sappiamo tutti che i politici non comunicano con la verità. I personaggi del film non sono per forza onesti con il mondo, ma noi vediamo veramente come sono fatti”.
Il Faust del russo Sokurov non è un adattamento tradizionale della tragedia di Goethe, ma una (ri) lettura di ciò che rimane tra le righe. Che colore ha un mondo che produce idee colossali? Che odore ha? C’è un’aria pesante nel mondo di Faust: progetti sconvolgenti nascono nello spazio angusto dove si affaccenda. È un pensatore, un veicolo di

“Faust è l’ultima parte di una tetralogia cinematografica sulla natura del potere – confessa il regista -. I personaggi principali dei primi tre film erano tutti figure storiche reali: Adolf Hitler (‘Moloch’, 1999), Vladimir Lenin (‘Toro’, 2000) e l’Imperatore Hirohito (‘Il Sole’, 2005). L’immagine simbolica di Faust completa questa serie di grandi giocatori d’azzardo che hanno perso le più importanti scommesse della loro vita. Faust sembra non appartenere a questa galleria di ritratti, un personaggio letterario quasi da museo incorniciato in una trama semplice. Che cos’ha in comune con queste figure reali che sono ascese all’apice del potere? Un amore per parole cui è facile credere e una patologica infelicità nella vita quotidiana. Il Male è riproducibile, e Goethe ne ha formulato l’essenza: ‘Gli infelici sono pericolosi’”.
Il tailandese “Tae Peang Phu Deaw” narra di Lek, un fabbro solitario che non ha mai avuto una fidanzata. Kong è un aspirante scrittore che vive con la madre. I due sconosciuti lavorano fianco a fianco in un centro commerciale: uno fa copie di chiavi; l'altro vende riviste rosa. Insieme, i due architettano un piano che combina i rispettivi talenti. Durante il giorno, si intrufolano

“Se l'immaginazione può diventare memoria – si chiede il regista - e la fantasia può diventare verità... Se i fatti possono diventare finzione... se delle vite possono essere prese in prestito e copiate come pagine di un libro... allora che cosa rimane di chi siamo veramente?” Probabilmente, un suggestivo mix come nel film, un puzzle di tante fatti e situazioni vissute e/o rubate.
“Kotoko” è invece la storia di una madre che soffre di visione doppia. Vede le persone divise in due… una negativa e una positiva. Questo disturbo le provoca un forte senso di disagio e prendersi cura del piccolo diventa un compito estenuante che la porterà all’esaurimento nervoso. Quando la situazione le sfugge di mano, è accusata di abusi sul bambino che di conseguenza le viene tolto. Mentre canta, però, non vede doppio. Quello è l’unico momento in cui il mondo torna a essere uno e la sua mente trova la pace. Conosce un uomo, incantato dalla sua voce, ma la storia tra i due finisce presto, e nel frattempo ottiene di nuovo la custodia del bambino, ma le sue “visioni doppie“ diventano più intense…
“Cocco è una cantautrice per la quale provo immenso rispetto – confessa il regista. Canta con una passione che scaturisce direttamente dall’anima: intensa e allo stesso tempo molto dolce. La sua voce mi commuove profondamente e totalmente. È da un po’ di tempo che speravo di fare un film con

Nel Controcampo Italiano presentato “Piazza Garibaldi” di David Ferrario che è un toponimo che si incontra in qualsiasi città italiana (ma anche in Sudamerica). E’ la metafora della nazione e della sua storia. Come nel fortunato e premiato ‘La strada di Levi’, Ferrario si mette in viaggio: stavolta sulle orme della spedizione dei Mille. L’obiettivo: verificare

“La scadenza del 2011 era inevitabile - afferma l’autore. Il centocinquantenario dell’Unità d’Italia mette in corto circuito, per quelli della mia generazione, un principio e una (provvisoria) fine: 50 anni fa, al tempo del Centenario, eravamo bambini proiettati verso un futuro pieno di promesse; oggi siamo uomini fatti, in un mondo pieno di dubbi e di domande. Quale modo migliore per rispondere a queste domande che quello di mettersi in viaggio alla ricerca della nostra identità di italiani? Un viaggio non arbitrario, ma storico e simbolico: quello della spedizione dei Mille, il mito da cui tutto è partito. Per provare a capire come il senso di quella parola che tanto odiavamo – ‘patria’ – è cambiato; e perché”.
Deludente “Tutta colpa della musica” di Ricky Tognazzi – sceneggiato con la moglie Simona Izzo e Leonardo Marini -, a riconferma che il regista si trova meglio alle prese con storie drammatiche, anche legate all’attualità. E’ la storia di un “secondo amore“. Il cinquantenne Giuseppe (Marco Messeri) è sposato, ha una figlia, ma non si può certo dire felice. Grazia (Monica Scattini), la moglie, presa dal suo radicalismo religioso (è una fervente testimone di Geova), da anni ha con lui un rapporto di fredda indifferenza e anche Chiara (la cantante Arisa al debutto sullo schermo), la figlia, che ha seguito la madre nella sua infatuazione religiosa, non si può dire che abbia poi questo gran dialogo con lui. Napoleone (Tognazzi stesso), bonario Peter Pan sposato con Patrizia (Elena Sofia Ricci), l’amico di tutta una vita, lo convince a darsi una scrollata e a provare a “vivere“, cioè ad

“Siamo al fatale adagio degli amori senili – dichiara Tognazzi -, o magari no, facciamo ‘mezza età inoltrata’, s’il vous plaît. Però, anche a voler giocare d’astuzia col rapporto fra le parole e le cose, la sostanza resta quella: le chiome incanutiscono o nel peggiore dei casi si volatilizzano, la pelle – forse stanca degli anni di splendore – comincia a rilassarsi e perdere il suo tono, i muscoli acquistano consistenze da latticino, le pance dilagano, le ossa si decalcificano (ma come si permettono?)… e tutto in barba a ogni infaticabile e coraggioso sforzo di tenere in piedi la baracca. Il corpo, diventando un beffardo e maligno aguzzino, suggerisce che è meglio fermarsi un po’ e mettersi alla finestra a guardare. Ma fosse solo questo… Il fatto è che qui si consuma la più assurda e maledetta delle schizofrenie: il corpo va per la sua strada, e invece il cuore…”
E domani è già il penultimo giorno e arrivano altri premi collaterali e i primi addii.
José de Arcangelo