lunedì 27 giugno 2011

Chiusi i battenti della 47a. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema. Vince "I diari di Musan" del sudcoreano Park Jung-bum

PESARO, 27 - Serata di premiazione ieri sera alla 47a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema. In Piazza del Popolo sono stati assegnati i riconoscimenti ai film scelti dalle giurie. La premiazione è stata preceduta dalla proiezione dell’ultimo episodio dei cortometraggi di Gael Garcia Bernal e Marc Silver “Los Invisibles” e seguita dall’antepria di “También la lluvia / Even the rain / Persino la pioggia” di Iciar Bollain (la regista spagnola considerata tra i migliori cineasti d’europa) sulla guerra per l’acqua, che riveste un’attualità assoluta. Infatti la forza del film sta proprio in questo perché lo spettatore come i protagonisti della pellicola prendono coscienza che il ‘problema’ non è ‘locale e per alcuni gruppi’, ma di tutti. Però l’opera della Bollain – scritta dal suo compagno Paul Laverty, già sceneggiatore di Ken Loach – unisce impegno civile e spettacolo, cinema nel cinema e il riproporsi della storia, già la conquista spagnola, ora le multinazionali e i governi, loro alleati. Il tutto raccontato senza retorica ma con lucidità, spingendo lo spettatore alla riflessione sul sociale, sulla politica e sull’ecologia. E non è poco. Gli interpreti principali sono due star del cinema latino: il messicano Gael García Bernal e lo spagnolo Luis Tosar, premio Goya per “I lunedi al sole”, “Ti do i miei occhi”, “Cella 211”.
A decretare il vincitore, “Musanilgi/ The Journals of Musan” di Park Jung-Bum, è stata la giuria composta dal saggista, giornalista e critico cinematografico de “Il Messaggero” Fabio Ferzetti, dalla sceneggiatrice e regista Marina Spada e dall’attrice Isabella Ragonese.
Ecco la motivazione: “Per la profonda adesione personale e l’ininterrotta tensione morale con cui testimonia la lotta quotidiana, le lacerazioni interiori e la disperata speranza del suo protagonista, ultimo fra gli ultimi. Facendo luce al tempo stesso, con stile sempre asciutto e coinvolgente sulla condizione degli emigrati dalla Corea del Nord, su uno degli aspetti più drammatici e soprattutto nascosti della società coreana”.
Inoltre, la giuria ha ritenuto di dover dare una Menzione d’Onore al film: “Qu’ils reposent en revolte (Des figures de guerre I)” di Sylvain George, poeta, cineasta e attivista politico francese. Questa la motivazione: “Per la forza poetica, coniugata all’intensità della testimonianza, con cui compone una vera e propria Odissea contemporanea, esplorando in ogni recesso il mondo degli invisibili fino a dare una forma e un senso alle esistenze negate di questi dannati della terra. Con un linguaggio forte e originale che contamina in libertà cinema, documentario e video arte”.
Il Premio Pesaro Cinema Giovani, assegnato da una giuria giovane, composta da studenti e neo laureati dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, è andato allo stesso film coreano “The Journals of Musan”, “Per la maestria con cui è stata diretta la regia al fine di rappresentare in modo puntuale la storia e la personalità del protagonista. Per l'onestà e la dignità di questo lavoro che, attraverso le vicende narrate, ha esplorato nel profondo la natura umana e i compromessi necessari per vivere all'interno di un contesto sociale e storico difficile, come quello coreano”.
Il premio “Cinema e diritti umani” di Amnesty International alla 47a. Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro è stato assegnato al film “También la lluvia” di Icíar Bollaín (“Ti do i miei occhi”). La giuria del premio, presieduta da Gianfranco Cabiddu e di cui hanno fatto parte Sonya Orfalian, Riccardo Giagni, Antonello Grimaldi e Riccardo Noury.
La motivazione: “Con una narrazione estremamente efficace, sorretta da una sceneggiatura attenta, il film affronta il modo originale il tema cruciale dell’accesso a un diritto umano fondamentale, l’acqua, la cui richiesta risuona a ogni latitudine del mondo. È un film che mettendo in relazione passato e presente, fotografa in maniera incisiva la società sudamericana, con particolare sensibilità etica, un efficace ritmo cinematografico e un notevole impegno culturale e sociale. Merita il premio per la lucidità, il senso di responsabilità e l’impegno con cui presenta e analizza i grandi cambiamenti in atto nel continente latinoamericano”.
Una Menzione Speciale anche qui per “Qu’ils reposent en revolte (Des figures de guerre I)” di Sylvain George “Per aver saputo raccontare con una visione critica e coraggiosa una storia “scomoda” di sofferta umanità; per il complesso del suo lavoro di cineasta attento al sociale e per il suo cinema necessario fatto di cruda verità umana”.
La giuria della prima edizione del concorso video Premio CineMarche Giovani, riservato ai giovani, entro i 30 anni d’età, che vivono, studiano o lavorano nella Regione Marche (per cortometraggi a tema libero della durata massima di 3 minuti), composta dal critico Pierpaolo Loffreda (coordinatore del Premio), da Ludovico Pratesi (direttore del Centro Arti Visive La Pescheria di Pesaro) e dai giornalisti Paolo Angeletti (“Il Resto del Carlino”), Alberto Pancrazi (RAI) e Claudio Salvi (“Il Messaggero”), ha assegnato all’unanimità il Premio 2011 al corto “L’illusione” di Stefano Del Frate, Gianluca Grandinetti, Gianluca Marone, Diego Di Giandomenico. La giuria ha anche attribuito due Menzioni Speciali a: “Vergogna” di Patrizio Agabiti, interpretato da Alessia Natale Mariani e da Luca Zangheri (una produzione Kumo Videolab) e a “Sincro” degli allievi della classe 4 E del Liceo Artistico Scuola del Libro di Urbino. Il video Il corto vincitore è stato proiettato in Piazza dopo la premiazione, mentre la Mostra si è conclusa definitivamente stamattina con la replica (ore 10.30, Cinema Teatro Sperimentale) dell’opera vincitrice del concorso PNC: “Musanilgi/ The Journals of Musan” di Park Jung-Bum, già assistente di in “Poetry” e autore di corti premiati.
José de Arcangelo

domenica 26 giugno 2011

Pesaro 47. Una carrellata da San Pietroburgo alla Siberia con i documentari russi

PESARO, 26 – In attesa della cerimonia di premiazione, tra ieri e oggi sono stati proiettati gli ultimi documentari russi alla presenza degli autori, tra altri film (della retrospettiva Bertolucci), si sono svolti incontri ed eventi alla 47a. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema.
Interessantissimo “Rerberg & Tarkovsky: the Reverse Side of Stalker” di Igor Majboroda (2008) che è soprattutto il ritratto del direttore della fotografia Georgij Ivanovic Re
rberg (1937-1999),
uno dei più leggendari della cinematografia russa, e del suo rapporto col maestro Tarkovskij. Come in un giallo, Majboroda indaga ricostruendo i retroscena di “Stalker” (1979), smitizzando e rendendo più umana la sua figura ma anche svelando un’altra verità. Infatti, per anni la storia del celebre film è stata raccontata dal punto di vista dell’autore rintracciabile nei suoi diari pubblicati dopo la sua morte, in cui ha accusato amici e collaboratori per le disavventure occorse sul set. Ma si sa, la verità non è mai una soltanto. “Una vera tragedia umana – afferma Majboroda – ha avuto luogo durante le riprese di Stalker”.
Diverso l’approccio e originale il risultato di “Isole, Aleksandr Sokurov” di Svetlana Proskurina (2003), perché si tratta dell’omaggio da parte di una collaboratrice (sceneggiatrice) e amica al maestro russo, scoperto anche dal pubblico italiano negli ultimi vent’anni. Un ritratto intimo e obiettivo costituito dall’intreccio di montaggio di monologhi e riflessioni del regista sulla vita e sull’arte, alternati da immagini delle riprese sul set di “Arca russa”, di cui la regista dice: “Ogni fotogramma contiene tutta la storia del cinema mondiale”.
Originali ed attuali anche i documentari di Alina Rudnickaja “Stato civile” (2005) e “Accademia di Escort” (2007).Il primo, attraverso le riprese del passaggio delle coppie in un ufficio dello stato civile, parla con disarmante ironia di matrimoni e divorzi nella Russia di oggi. L’altro, invece, affrontando un argomento scottante anche da noi, documenta le vicende di un gruppo di ragazze di San Pietroburgo che, nel tentativo di trovare una strada per una vita stabile e prospera, frequenta una scuola creata per formare vere e proprie escort. Così partecipiamo alle grottesche giornate di ‘studio’, fra timidezza e paure, angosce e ambizioni delle giovani della Russia contemporanea, disposte a tutto pur di vivere nel lusso.
Documentario insolito e s orprendente quello di Galina Krasnoborova che miscela e confonde realtà ed arte, sperimentazione e tradizione. “Nove canzoni dimenticate” (2008) ci porta all’interno di un piccolo gruppo etnico siberiano di origini ugro-finniche, quello dei Komi-Permiacchi (territori del Perm’ dove è nata la stessa regista trentenne) che vive negli Urali settentrionali. Quindi una ricerca inedita tra suggestione e mistero, paesaggi innevati e atmosfere inquietanti, spiriti e imprecazioni, canti e preghiere (di lutto) per il quadro di una comunità in fuga, una riflessione sulla tradizione, la memoria e l’oblio. Non a caso della stessa regista, al Dopofestival, è stato presentato “Insonnia” (2007), un cortometraggio di video arte sulle notti bianche di San Pietroburgo, tra insonnia, appunto, e sogno ad occhi aperti; tra arte e poesia.
Particolari ed insoliti i documentari di Pavel Medvedev, nessun commento, la narrazione avviene tramite le immagini che prima intrigano poi coinvolgono e di cui, solo alla fine, con una frase, ci verrà rivelato il ‘contenuto’, ma a questo punto – forse – già l’abbiamo scoperto da soli. E’ così che Medvedev ci conquista e ci rende partecipi di vicenda e personaggi. “Ascention” (2008) è incentrato sulla (costosa in tutti i sensi) conquista dello spazio, una corsa che ha visto impegnate allora le due superpotenze Urss e Usa. Un’impresa durata oltre vent’anni che pian piano perse interesse dopo il celebre allunaggio. Dalla cagnetta Laika a Gagarin, dalle scimmiette a Valentina Tereschkova. Attraverso cronache sconosciute, spezzoni di filmati e materiale d’archivio, il regista rende il racconto più che interessante, cercando di ricostruire il percorso d’indagine e scoperta che ha portato l’uomo alla maturazione nel progresso. Una sorta di decostruzione del mito del cosmo e dei sogni ad esso legati durante la guerra fredda.
Dall’altra parte “On the Third Planet From the Sun” (2006), racconta la vita quotidiana all’interno di un sito dove per decenni si sono svolti test nucleari. Il documentario, risultato di un’osservazione di lunga durata ma fotografato e girato in modo preciso e perfetto come fosse un film di finzione, è stato girato nella lontana regione di Arcangelo, nella Russia settentrionale dove la popolazione locale ha iniziato a raccogliere i cosiddetti ‘rifiuti dello spazio’ nelle paludi vicine e a venderli come rottami di ferro oppure a riciclarli nella vita quotidiana. Il corto (32’) ha vinto il Grand Prix al Festival del cortometraggio di Oberhausen nel 2007.
Ma oltre ai lavori provenienti dalle celebri scuole di Mosca e San Pietroburgo (già Leningrado, sede dei famosi studi), a Pesaro sono stati visti documentari della lontana Siberia, come quelli di Evgenij Solomin che, attraverso storie contemporanee, ci mostra come il paesaggio e la vita quotidiana sembrano immutati. “Countryside 35x45” (2009), ambientato nella freddissima e sperduta regione, racconta il passaggio dalla tradizione alla modernità. Infatti, 35x45 è il formato delle fototessere, reso obbligatorio dalle autorità russe, per i nuovi passaporti che sostituiscono quelli dell’era sovietica. L’originalità del racconto risiede nell’usare le fototessere, scattate dal fotografo Ljutikov, per registrare il passaggio dall’Urss alla Russia di oggi. Una trasformazione definitiva, apparentemente drammatica, ma che di fatto sembra non (com) portare nessun cambiamento.
“Katorga” (2001), fin dal titolo ci riporta su questa strada, infatti così venivano definiti nella Russia zarista (ma anche successivamente) i penitenziari in cui i condannati scontavano lunghe pene in luoghi sperduti, lavorando duramente. Solomin racconta la storia del detenuto Igor Ibragimov che sconta la sua condanna nelle fonderie (obsolete e quindi pericolose) di una prigione siberiana. E l’unico che viene a trovarlo in carcere è l’anziano padre. La sua vicenda raccontata in questo modo diventa una sorta di ritratto dostoevskiano di un giovane uomo vittima di un intollerabile destino. Il documentario è stato presentato al Festival du Reél di Parigi e all’International Leipzig Festival for Documentary and Animated Film.
José de Arcangelo

sabato 25 giugno 2011

A Pesaro, Bernardo Bertolucci si racconta: dalla giovinezza nella provincia di Parma alla Cina dell'Ultimo imperatore

L'atteso incontro con Bernardo Bertolucci c'è stato. Il maestro si è concesso al pubblico che l'ha scoperto ora ma anche a chi l'ha riscoperto dope aver rivisto la sua intera filmografia, col senno di poi.
"Signori e signore, habemus Bernardo!", così l'ha ricevuto Bruno Torri che, con Adriano Aprà, ha condotto la lunga e piacevole conversazione col regista.
"Ricordo la seconda edizione del festival - esordisce Bertolucci -, il legame più forte è stato allora quello con Jack Nicholson (a Pesaro per presentare un film di Monte Hellman ndr.), c'eravamo sfiorati a Cannes ma non sapevo che l'avrei rivisto qui, e da allora siamo diventati amici, perché eravamo entrambi dietro una ragazza che non voleva né lui né me - scherza. Pesaro è sempre stato un punto di riferimento, ci sono stati poi tanti 'nuovi cinema' e mi chiedo 'che cosa è, chi è e chi sono' gli autori. Sono anche nati tanti altri festival su nuove cinematografie, sono spuntati come funghi. Ma Pesaro è iniziato negli anni in cui io nascevo come regista, tra il '63 e il '64, poi non ho trovato più finanziamenti per fare i 'miei' film. In un film di Godard del '67, Jean-Pierre Léaud dice 'vado a Roma perché qui bei film non ci sono, lì ci sono le bombe di Bertolucci.. A Cannes tutti i giornali italiani erano contro 'Prima della rivoluzione', tranne uno o due, tra questi 'Il Giornale' su cui scriveva Morando Morandini che però era coinvolto nel film. Io, finiti gli studi, ero andato a Parigi e vidi 'Fino all'ultimo respiro', allora pensai 'tutto è finito', il cinema era diventato un'altra cosa. E' vero il mio film è stato insultato dai critici italiani, così passeggiando per la Croisette, speravo di incontrarli perché volevo prenderli a pugni, difendermi da quelli attacchi. Ho vissuto e fatto i miei primi film nel momento in cui il neorealismo stava diventando qualcosa di obsoleto, si era trasformato nella commedia all'italiana, più che in film come i miei. Nella commedia c'era qualche molla sociale, politica; ma davanti a 'Germania anno 0', 'Roma città aperta' e 'Ladri di biciclette' nessuno rideva. Mi sentivo preso in una specie di tenaglia: da un lato la commedia all'italiana, dall'altro lo spaghetti western, dovevo accettare uno dei due generi. Non me la sentivo, perciò mi ritrovai in Iran o giù di lì per girare 'La via del petrolio'. Il western però mi attirava di più, tanto che andai al primo spettacolo a vedere 'Il buono il brutto e il cattivo'. Il giorno dopo mi chiamò Sergio Leone, 'Tu eri al primo spettacolo al Supercinema' disse, 'e come lo sai?', gli chiesi. 'Stavo in cabina di proiezione e controllavo tutto'. E poi a domanda rispondi: 'Mi piacciono i tuoi film'. 'Perché? 'Mi piace come filmi i culi dei cavalli. Di solito nei western si vedono di profilo sullo sfondo di un rosso tramonto; solo tu e Ford puntate l'obiettivo sulle forti chiappone dei cavalli'. 'Tu scriverai il mio film', affermò. E mi ritrovai a fare la sceneggiatura di 'C'era una volta il West' con Dario Argento. I nostri film, invece, come dicevamo con Glauber Rocha erano come 'i miura', i tori più difficili e spaventosi, il torero non ci arriva, ma nemmeno una zanzara nel suo sedere'.
'Sono grato ad Adriano (Aprà) - aggiunge -, al festival, a tutti e a Pesaro in particolare per questo momento, oggi ho addirittura mangiato col sindaco. Nel libro (per l'occasione la Mostra ha pubblicato con Marsilio una monografia a lui dedicata ndr.), accanto ai saggi di critici che conosco da tempo e tra cui alcuni miei amici, ho trovato 14 nomi misconosciuti per me. Adriano mi ha detto: 'Perché esistono anche i giovani'. Aprà l'ho conosciuto a casa di Cesare Zavattini quando avevo 15 anni - e lui 15 e mezzo scherza - per far vedere due corti. Zavattini non si esprimeva, Adriano invece ha detto che c'erano troppe inquadrature dal basso. Ho perdonato Adriano, forse, quel suo primo giudizio non era del tutto esatto".
"Erano due corti - ribatte Aprà -, l'altro mi era piacuto, 'La morte del maiale', ti sei ricordato solo di quello che non mi era piaciuto".
"Per troppo tempo negli anni '60 - racconta ancora Bertolucci - se un film aveva successo per noi c'era qualcosa di diabolico dietro, era inquinato da fattori tipo la prostituzione dell'anima. Nel '69 iniziai ad andare in analisi, avevo paura di incontrare il pubblico, forse era una paura comune a tanti altri autori della mia generazione. E lì mi si era liberato qualcosa, ho capito che potevo condividere il grande piacere di fare film, col grande piacere che prova il pubblico che guarda, senza che ci siano delle fasi di prostituzione ecc ecc. Ho cominciato a sentire che dalla sala decine migliaia milioni di identità interagiscono, non bisogna mai generalizzare. Veniva un segnale, delle ondate di piacere, il successo di pubblico cova piacere. Cominciai con 'Il conformista' (che sarà presentato stasera in piazza ndr.) e con il successivo 'Ultimo tango a Parigi', questo feedback col pubblico che è diventato poi un'ondata internazionale. 'Ultimo tsngo' è uscito in tutto il mondo, tranne che nella Spagna franchista tanto che da lì partiva un treno per andarlo a vedere a Perpignant, in Francia, appena varcata la frontiera. Quel tipo di successo è molto invasivo, può diventare una droga di cui è difficile fare a meno. Perciò dopo mi son detto cerchiamo qualcosa che contenga degli elementi codialettici col pubblico, che non abbia quel successo smagliante. Facciamo un film che faccia sì che la Paramount, l'United Artists o la 20th Century Fox pagheranno per la più grande bandiera rossa della storia del cinema. Faccio 'Novecento', grande successo in Italia, soprattutto l'atto I, ma non esce negli Stati Uniti. Così la mia prima idea fallisce. Alfredo era interpretato da Robert De Niro e per Olmo (poi Gérard Depardieu ndr.) volevo un attore sovietico, stavo facendo un sorte di ponte fra Usa e Urss. Infatti, non si sa mai a cosa arriva il delirio in questi film - ironizza. Per anni non uscì in America per problemi di lunghezza - alludeva la Paramount che era quella più di destra - poi, alla fine, volevano una versione ridotta di 4 ore e mezza (il film ne dura 5 e 10'), dovevo tagliare più di un'ora. Così è stato comunque un passaggio abbastanza drammatico".
"Nel '69, quando cominciavamo a scrivere la sceneggiatura de 'La strategia del ragno', iniziai questa mia analisi. Il racconto di Borges parla del protagonista, come di un irlandese che torna nei luoghi in cui ha vissuto un suo avo, eroe di quei posti, per indagare e scopre quella verità molto complessa che Borges chiama il 'tema del traditore e dell'eroe'. Dopo giorni di analisi sono felice come un bambino per la prima volta al luna park, un effetto immediato di gande entusiasmo, più terapeutico, proprio della visione. Tanto che in qualche intervista di quel periodo dicevo 'in realtà dovrei mettere il nome del mio analista nei titoli di testa'. Ci fu un momento tra un film e l'altro, in cui dovevo stare attento perché lavoravo ai miei film più nelle sedute psicanalitiche che in quelle di sceneggiatura. Credo comunque che siano state molto importanti nel mio lavoro, nell'approccio ai personaggi, tanto che ho pensato di poterla usare come un nuovo obiettivo nella macchina da presa. Ai vari obiettivi (Zeiss ecc.) aggiungere anche Sigmund Freud o Jung, perché sono junghiano. Che userò nel prossimo film? C'è qualcosa in più nel corredo, il 3D e Freud. Anche perché dicono che un quarto del pubblico guardando il tridimensionale si sente male".
"Si chiude il periodo in cui l'analisi è preponderante - conclude -, perché poi sono andato in Cina e non si può imporre Freud ai cinesi. L'avventura cinese, un'altra dopo 'Novecento'. 'L'ultimo imperatore' è quello che chiamano cinema spettacolare. Nell'84, avevo letto il romanzo di Moravia '1934', storia di due gemelle a Capri, durante il nazismo, mi metto in mente di farne una commedia e per la sceneggiatura chiamo uno scrittore inglese che allora nessuno conosceva, Ian McEwan. Un intero mese invernale in una casa di Sabaudia per capire che portarlo sul lato della commedia era impossibile. Sono i grandi errori che non si possono evitare. Dopo mi ritrovo la voglia di andare il più lontano possibile dall'Italia, perché c'è un cambiamento nazionale che mi fa sentire a disagio. Due progetti, uno la storia dell'ultimo imperatore cinese, l'altro 'La condizione umana' di Malraux, soprattutto questo. Ma i cinesei dicevano 'non sappiamo cos'è, chi è', anche se c'era stata una famosa internvista con Mao. A quel punto dicevano è 'tutta inventata da Malraux', ...allora lo conoscete?'. Mi decido per l'imperatore e resto tre anni (è stato girato nell'86). Però questi anni di disagio in Italia sono durati fino al '91, mi sembrava che stesse bollendo a fuoco lento, sentivo tutta la sensazione di corruzione che poi abbiamo visto con tangentopoli. Andare in Cina fu una gioia, in un mondo che assolutamento non conoscevo e di cui finì per innaorarmene completamente. Non sapevo niente dei cinesi, e in due anni trovo il coraggio di fare un film con dei giovani cinesi; uno era stato attore per Chen Kai-ghe, poi Zhang Yimou, allora direttore fotografia negli studi Xian, e sotto di lui i registi oggi famosi in tutto il mondo. Avevo buttato giù una barriera. 'L'ultimo imperatore' per i cinesi ha voluto dire un certo passaggio da una parte all'altra".
"Ad un certo punto ho avuto la sensazione che questo paese mi stava sempre più stretto e difficile - ritorna sull'Italia e la sua scelta di girare all'estero o su personaggi 'stranieri' - anche in teatro e nella letteratura, cose che mi piacevano. Cominciai a guardarmi intorno, ad aprire la testa per farci entrare emozioni di altri luoghi altri paesi: avevo avuto il mio tirocinio italiano, la giovinezza in una città di provincia come Parma. Non c'è stato nessun piano, se il film fosse più o meno cinese, perché abbia avuto tutti quei premi Oscar. Da una parte è stato un caso, dall'altra l'effetto della mia cinefilia. 'Hollywood ha dimenticato come si fanno i grandi epics', pensavo. E volevo ricordare che un tempo sapevano fare grandi film epici internazionali. conuna spinta verso l'italia da cui fuggivo, quella di Craxi, povero, perché ad un certo punto della lavorazione abbiamo scoperto che la CBS preparava una serie sull'ultimo imperatore. Però scopri che Xiao Xian - quello che tenne per mesi in assedio Tienanmen e poi era andato dai ragazzi a piangere: 'lasciate la piazza perché non riesco a trattenere l'esercito e sarà un massacro mai successo prima - sarebbe venuto in visita di Stato da Craxi e abbiamo chiesto di intercedere perché scegliesse noi anziché la CBS. Ecco svelati tutti i nostri segreti".
"Mi viene in mente 'Il conformista' - aggiunge su cinema e realtà, specchio o ricostruzione -, la scena in cui il professore antifascista parla della caverna di platone, che mi sembra il primo caso di cinematografia: la bocca di uscita entrata, tanti prigionieri seduti verso il fondo caverna (cinematografo), dietro l'ingresso c'è il fuoco, davanti passano delle persone portando delle sculture/idoli. Che cosa vedrà la gente incatenata nella grotta? Vedrà le ombre di questi personaggi che si muovono. Parlando con Marcello (Jean-Louis Trintignant ndr) del mito della caverna, il professore gli dice:'Ecco, voi in Italia siete accecati non vedete la realtà ma vedete le ombre della realtà'. E in cinese cinema si dice proprio 'ombre elettriche'".
"Sono sempre riuscito a trovare dei produttori dal volto umano - conclude il grande autore -, ho avuto sempre vicino qualcuno che aveva organizzato il film economicamente e sul piano della distribuzione, erano anche complici. Forse l'unico che non sono riuscito a portare sul set è stato Alberto Grimaldi. Dopo 'Ultimo tango a Parigi', produsse 'Novecento', ma durante 21 mesi di riprese nel triangolo Parma Mantova e Cremona sono riuscito solo una volta a farlo venire mentre giravamo sul fiume Ollio, e lo trovo nascosto dietro il camion degli attrezzisti. Era qualcuno di infinitamente timido, non osava venire sul set. Voleva restare misterioso, uno che produce dall'ufficio".
José de Arcangelo

Alla 47a. Mostra del Nuovo Cinema una panoramica su questo nostro (buio) mondo contemporaneo, dallo Sri Lanka alla Corea e la Russia

PESARO, 25 - Visti gli ultimi film in concorso, tra ieri e giovedì, alla 47a. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, che confermano la visione di una realtà sempre più buia e quasi senza speranza, una constatazione del disagio e delle disillusioni che regnano il nostro mondo oggi. Il più angosciante e cupo è senza dubbio "Flying Fish" di Sanjeewa Pushpakumara (Sri Lanka). In tre storie parallele che, comunque, si sfiorano e si incrociano narra di Wasana, giovane donna di un villaggio, innamoratasi di un
soldato che l'abbandonerà dopo averla messa incinta; di una vedova di trentasette anni che instaura una relazione clandestina con un ragazzo; di una ragazzina minacciata dall'organizzazione terroristica "Le Tigri di Tamil". Un dramma imploso su tre tragedie annunciate che esploderanno solo alla fine ma con atroce violenza (un'evirazione, un matricidio e una fuga) condannando definitivamente i protagonista ad un cupo futuro. Se ci sarà.
"E' una rappresentazione della realtà che ho vissuto - afferma il regista - e sostiene l'identità, la dignità e la libertà di ogni essere umano".
Leggermente più aperto alla speranza, nonostante l'angoscia e l'orrore della vicenda del protagonista, è "I diari di Musan" di Park Jung-bum (Corea del Sud), interpretato dallo stesso regista. Nato a Musan nella Corea del Nord, Jeon Seung-chul è costretto a fuggire a Seul, per ovviare alle difficili condizioni economiche. Ma qui le condizioni non cambiano molto, si ritrova a vivere relegato in una periferia degradata, ospite di un coetaneo ladro e imbroglione, considerato 'un disertore' e finisce lavorando - sottopagato - nell'affissione di manifesti e locandane. L'unica soddisfazione è andare in chiesa dove incrocia la bella Sook-young, una corista con cui vorrebbe avere una relazione. E, infatti, nonostante trovi un lavoro nei locale di karaoke che la ragazza gestisce, non ha amici né mezzi, tanto da affezionarsi ad un cane che nemmeno il coinquilino accetta...
Un dramma intenso ecommovente che offre ancora una volta un ritratto di giovane fra solitudine e disagio, fra egoismo e intolleranza, dove niente è come sembra, anzi peggio.
"In Corea la Chiesa è importante fin dall'infanzia - afferma il regista - perché ha le scuole e i cori dove insegnano anche a cantare". E sul bellissimo e dolcissimo cucciolo bianco, aggiunge: "Il cane è l'unico amico perché è il solo che non pretende nulla da lui, poi il bianco rappresenta la purezza, la sua innocenza persa con lui. E' lo spirito e lo spunto del film stesso. Come il protagonista è senza casa, senza padrone, senza niente e nessuno".
Sul suo esordio nel cinema, dichiara: "Ho studiato da solo, ho visto i classici e ho amato Mike Leigh, Ken Loach e Roberto Benigni, e in futuro vorrei fare un film come i suoi". In Corea del Sud, comunque, vengono prodotti tra 100 e 130 opere prime all'anno ma poi le istituzioni non possiedono un circuito in cui farle vedere.
All'interno della mostra sono stati presentati anche dei libri come "I ricercati - Padri e figli nel cinema italiano contemporaneo" di Mario Dal Bello (Effata Editrice). Una carrellata sul cinema italiano che affronta l'argomento nei primi dieci anni del nuovo millenn (Nio, arricchito da interviste ad autori e attori. In questo modo si scopre che sono nella maggioranza i giovani registi a parlarne, spesso nelle loro opere prime e/o seconde, soprattutto in drammi dove i padri sono in primo piano. Infatti la commedia evita spesso gli argomenti seri, e quando lo fa si occupa della famiglia in generale, con qualche particolare, accennato qua e là, sul rapporto genitori e figli.
L'altro volume è "101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita" di Chiara Giacobelli (Newton Compton). In viaggio, tra suggestione e scoperte, dagli Appennini all'Adriatico, attraversando l'Italia centrale, su un territorio eterogeneo che va dalle alte montagne dell'entroterra fino al mare, con una costa a sua volta variegata, ricca di spiagge basse come pure di riviere scoscese. E poi riserve naturali, colline, castelli, rocche, laghi e santuari. Per non parlare diarte e cultura, storia, eno-gastronomia.
Per Bertolucci è stato presentato un altro documentario quasi inedito come "Le lavoranti a domicilio", girato nel 1971 e 'ritrovato' nel 2000, a cui ha fatto seguito il più recente "Il tè nel deserto" (1990). I documentari russi sono stati rappresentati da un altro film di Aleksandr Rastoruev, "Tender's Heat: Wild Wild Beach" (2005). Nel descrivere il 'turismo' che d'estate invade la costa orientale del Mar Nero, il documentario si trasforma in un incredibile racconto delle anime più bizzarre della Russia, tra fantasia, perversioni e desideri, sullo sfondo del neocapitalismo odierno, ancora però radicato nell'antica era sovietica.
"Un film sul potere in ogni sua sfumatura - afferma l'autore dello stupefacente "Un giovedì pulito" -, del governo sulla regione e sul popolo, dell'uomo sulla donna, ma anche sugli animali (infatti un cammello usato per fotoricordo è quasi un protagonista ndr.) e sulla natura".
Chiuso l'evento speciale dedicato a Cosimo Terlizzi con il seducente e personalissimo "Folder", sorta di diario pubblico e privato dell'autore lungo un intero anno fra viaggi di andata e ritorno, amore e morte. Quindi, quasi un dramma esistenziale intimo che diventa universale attraverso la visione.
José de Arcangelo

venerdì 24 giugno 2011

Pesaro. La Russia vista attraverso gli "Sguardi femminili", dalla Seconda guerra mondiale al nuovo millennio

PESARO, 24 - Giornata all'insegna del cinema russo contemporaneo ieri alla Mostra del Nuovo Cinema, con i due lungometraggi della minirassegna 'Sguardi femminili'. Due punti di vista e due modi di presentare la realtà e la mentalità del grande paese ieri oggi.
"The Rowan Waltz" di Alena Semenova (e Aleksandr Smirnov) si ispira a fatti realmente accaduti alla fine della Seconda guerra mondiale, per parlare di delusioni e morte, tradimenti e amore, riflessione e sacrifici. Il tutto raccontato in un melodramma in bilico tra classicismo e modernità. Infatti, a tratti ricorda gli affreschi di certo cinema sovietico anni Sessanta, in particolari di Sergej Bondarcjuk, ma senza la retorica e l'eroismo epico dei drammi di allora. E, naturalmente, l'autrice ci offre lo sguardo femminile su una guerra costata milioni di morti, nato da un episodio raccontato dall'anziana vera protagonista.
Alla vigilia della fine del conflitto, il governo sovietico aveva inviato dei militari nei villaggi della provincia nordoccidentale della Vologda per insegnare agli abitanti rimasti, in gran parte anziani, giovani donne e bambini, a disinnescare le mine lasciate nei campi della zona dai tedeschi. Le ragazze però, all'inizio non prendono sul serio la missione e pensano solo a contendersi l'attenzione dei militari, salvo poi abbandonarsi allo sconforto appena avvengono i primi (mortali) incidenti. Così la giovane vedova Polina (intensa Karina Andolenko) s'innamora dell'ufficiale Smirnov (Leonid Bicevin), e anche lui sembra ricambiarla ma... Fra tensioni e avvenimenti, echi e sorprese la loro storia avrà fugaci momenti di felicità, nella grande tragedia di una guerra che sembra non finire più e che riserva loro tragiche sorprese.
Un bel mélo - nemmeno lungo (98') - che mette a confronto la magnificenza della natura (splendidi i paesaggi della campagna russa) con l'assurda violenza dell'uomo (le mine, annunciatrici di morte). Non si capisce però - come ha confessato il coautore e direttore della fotografia Smirnov - la televisione russa abbia rifiutato di mandarlo in onda, quando il film è stato venduto e visto in diversi paesi, non solo dell'area ex sovietica.
In piazza è stato presentato invece "Peremirie - La tregua" di Svetlana Proskurina, un dramma esistenziale che sottolinea lo stato in cui vivono i cittadini russi oggi. Una situazione di sospensione, naturale ed immutabile al tempo stesso, come quella del protagonista, il giovane camionista Egor Matveev (il bravo Ivan Dobronravov, l'ex ragazzo de "Il ritorno" di Andrej Zvjagincev). Dopo una serie di tappe, il giovane approda in un villaggio non segnato su nessuna carta geografica, che potrebbe essere il luogo della sua nascita. Ed è testimone di un conflitto scoppiato da lungo tempo tra minatori e abitanti della cittadina, le cui cause restano misteriose. Incontra alcuni compagni di scuola che sembrano profondamente compromessi in affari illegali ma, nonostante l'atmosfera e i 'rischi', Egor decide di restare per cercare moglie proprio lì, nella speranza di porre una 'tregua' al disagio e alla noia di un'intera esistenza. Ma incontra l'enigmatica Katja che lo costringerà a confrontarsi con un nuovo conflitto...
Lucido e coinvolgente, è un dramma in sospeso (e dal finale aperto) come i suoi protagonisti, dove niente è come sembra, mentre regnano il degrado ad ogni livello (umano, sociale, architettonico, ecologico) e una certa rassegnazione. E la vita pare non avere più nessun valore.
Per i documentari russi è toccato a "Pure Thursday - Un giovedì pulito" di Aleksandr Rastorguev. Uno sconcertante film sull'orrore della guerra cecena attraverso il punto di vista dei giovani russi, i quali, confusi e spaventati, non sono pronti a morire. La solitudine e la paura attraveso il contrasto visivo (ed emotivo) tra semplice azioni di routine (farsi la barba o la doccia, cucinare, mangiare) e terribili atti di guerra (essere costretti a saltare da un aereo senza paracadute, un attacco improvviso). Nel documentario si vive in una perenne atmosfera di tensione, in cui è evidente la sensazione di coercizione che i ragazzi sono quotidianamente costretti a vivere. Lo spettatore ne viene introdotto e 'congedato' con il 'sonoro di una battaglia', se così si possono ancora chiamare.
Il Bertolucci de "La tragedia di un uomo ridicolo" (1981) ha aperto la giornata della retrospettiva dei suoi film, mentre "L'ultimo imperatore" (1987), in versione originale inglese con sottotitoli italiani) l'ha chiusa.
Il Dopofestival ha proposto, infine, una interessante selezione dal festival parigino "Signes de Nuit". Una carrellata nel mondo del corto di videoarte, tra sperimentazione e riflessione, tra estetica e comunicazione (espressione), tra diversità ed originalità.
"Signes de nuit propone film che riflettono nuovi punti di vista, immagini originali e approcci critici sui nodi cruciali della modernità. Un luogo per il cinema che espande i propri confini. Un cinema stupefacente, diverso, potenzialmente libero dalla pressione della tradizione, pronto a sperimentazioni imprevedibili, con l'obiettivo di stabilire una comunicazione che fuoriesca dalle semplificazini offerte dai mass-media".
José de Arcangelo

giovedì 23 giugno 2011

Alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro è la gioventù di oggi la protagonista, dall'Argentina alla Russia passando per la Thailandia

PESARO, 23 - Dall'Argentina alla Thailandia con i due film in concorso ieri alla Mostra del Nuovo Cinema. L'esistenza oggi tra disagio e isolamento, incomunicailità (ipercomunicativa) e riflessione sui sentimenti, in primis ovviamente l'amore di coppia. Due modi oppos
ti di vedere la realtà contemporanea. Vince - vista la reazione del pubblico in piazza - "Medianeras" opera prima scritta e diretta da Gustavo Taretto, perché la sua riflessione è sui toni della commedia, intelligente ed ironica, mai banale, che mette a nudo tutte le nostre manie e fobie contemporanee. Dal barricamento dentro casa, giustificato dal lavoro al computer, ma anche e soprattutto dall'incapacità di comunicare (tranne che per internet), di esprimere i sentimenti e le nostre paure.
In una Buenos Aires disordinata e sconclusionata anche da un punto di vista architettonico, 'vivono' Martin e Mariana. Lui è un web designer le cui nevrosi e crisi (di panico) lo costringono a barricarsi nel suo monolocale, schiavo di una realtà virtuale. Lei, architetto che non ha mai costruito nulla e fa la 'vetrinista', è vittima di turbamenti e ossessioni, reduce di una lunga relazione con l'uomo sbagliato. I due, anche se vivono sulla stessa strada e in palazzine una di fronte all'altra non si sono mai incontrati...
"Tu puoi sempre aprire una piccola finestra - dice il regista - nelle medianeras (le pareti perimetrali cieche degli edifici ndr) per consentire che un raggio di sole entri nella tua vita". E, in questo modo, il grigiore esistenziale, forse, sparirà. Ma sicuramente vedrai il mondo e gli altri in modo diverso, anzi forse solo così li scoprirai.
Più impegnativo "Eternità", dramma esistenziale del tailandese Sivaroj Kongsakul, fra (tormentato) romanticismo e filosofia (orientale), fra ricordi e suggestioni. Anche perché, se le immagini seducono e trascinano, il complesso e complicato meccanismo narrativo confonde e spaventa, persino, il pubblico di non addetti ai lavori, e non solo. Inoltre, chi non ama il ritmo malinconico e,comunque, avvolgente (e volutamente ripetitivo) delle cinematografie orientali non reggerà fino alla fine.
In un piccolo centro rurale, l'anima di un uomo di mezza età torna a camminare sulle orme del suo passato attraverso tre fasi: come fantasma errante che vaga nella sua casa dell'infanzia; come giovane innamorato della sua futura moglie (a cui fa la promessa dell'amore per l'eternità del titolo); come uomo assente nella vita della sua famiglia dopo la sua morte.
"Volevo - afferma l'autore - che il film trattasse della memoria di mio padre e della nostra famiglia. Ho poi voluto che le tre parti fossero connesse dall'oscurità come metafora della morte di una persona cara che resterà con noi per sempre".
Ma ieri è stata la giornata dell'altro evento speciale, quello dedicato al giovane Cosimo Terlizzi, artista che lavora con diversi linguaggi dell'arte contemporanea (dalla fotografia al videoclip). Infatti, i suoi 'documentari' sono particolari, addirittura gustosi e divertenti perché sono contaminati da elementi di fiction e di commedia, tra informazioni scientifiche e gag, tra denuncia e constatazione. In questo contesto si sviluppano i tre episodi di "Murgia" (2009), sul parco nel cuore della Puglia, tra i più belli e dannati dell'area mediterranea, che nasconde tesori della natura (acqua, piante, animali) e della storia (Castel del Monte). Un gradevolissimo road-movie tra acume e ironia che coinvolge e trascina.
"Il solstizio di San Giovanni Battista" (2010), girato nel Parco Naturale Capanne di Marcarolo in Piemonte, si ispira al cambio di direzione che il sole compie tra il 21 e il 22 giugno, considerato un evento particolare e magico.
"Dopo aver consultato un testo prodotto dal parco di Marcarolo sulle erbe medicinali - confessa Terlizzi - e riti popolari della zona, ho deciso di focalizzare la mia attenzione su quel tema". E così in questo nuovo road-movie parte alla ricerca di tutte queste piante ed erbe che in questo breve arco di tempo 'vengono influenzate con intenza energia' dal sole.
Gli altri suoi lavori sono stati poi presentati all'interno del Dopofestival, "Ritratto di famiglia" (2001) che prende spunto da una fotografia del 1867 che ritrae una ricca famiglia in posa; "S.N. via Senza nome Casa senza numero" (2001-2008) che, tramite filmini in super8, registra anno dopo anno le trasformazione della sua Bitonto e dei suoi parenti. Infine "Une saison en enfer" (2004), "I fratelli Fava" e "Regina", entrambi del 2008.
L'omaggio a Bertolucci ieri è approdato al clou con la presentazione, al Teatro Sperimentale, del cult "Ultimo tango a Parigi", un capolavoro travagliato e perseguitato (era stato condannato al rogo alla fine degli anni Settanta) che oggi può sembrare datato a chi lo vede la prima volta ma che è stato - con "Arancia meccanica" di Kubrick - uno dei film che hanno contribuito a rivoluzionare il linguaggio cinematografico, ma anche la visione e il punto di vista dell'autore e soprattutto dello spettatore, che non spesso coincidono, anzi. In mattinata era stato presentato anche un documentario di cortometraggio "Il canale", ritrovato nell'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa e girato a Suez nel 1967, seguito da "La via del Petrolio" , dello stesso anno, prodotto dall'Eni e già presentato in altre rassegne e/o festival.
Interessante per tema e riprese è il documentario della coppia Pavel Kostomarov e Aleksandr Rastorguev "I Love You" uno scioccante e originale ritratto della gioventù russa realizzato dagli stessi protagonisti, i quali nel corso di un anno hanno filmato le loro storie di vita con una piccola videocamera digitale. Tre storie, tre amici, tre giovani del Sude della Russia che vivono, giorno dopo giorno, tra feste, amori e lavoro (poco). Un autentico quadro senza filtri tra disagio e disillusioni, tra l'arte d'arrangiarsi nel nuovo millennio e riflessioni sulla coppia (matrimonio o no). Niente inibizioni e tanta assenza di veri sentimenti, forse.
José de Arcangelo

mercoledì 22 giugno 2011

Immigrazione e disagio nella società contemporanea nei film in concorso alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro

PESARO, 22 - Seconda giornata di appuntamenti ieri alla Mostra del Nuovo Cinena di Pesaro con proiezioni, incontri e nuove proposte. Incontro ravvicinato con la regista brasiliana Juliana Rojas, coautrice con Marco Dutra del primo film presentato in concorso il giorno dell'apertura ufficiale, "Lavorare stanca". La Rojas, oltre a ribadire quello che aveva già anticipato durante la presentazione su riferimenti e generi, ha parlato dei suoi studi all'Università di San Paolo, dell'incontro con Dutra, dei loro corti approdati e apprezzati a Cannes e del cinema brasiliano di oggi. Ha sottolineato che la scuola di cinema pubblica è ottima e con insegnanti di prim'ordine ma che non possiede i mezzi per la realizzazione dei film di tesi, quindi questi spesso sono autoprodotti; mentre le scuole private hanno mezzi e attrezzature ma lasciano a desiderare riguardo agli studi teorici, persino in quelli che riguardano la storia del cinema. Per la produzione dei film di giovani autori bisogna partecipare ad una sorta di concorso dove il sostegno delle istituzioni (federali, provinciali e municipali, nel caso specifico di San Paolo) è minimo ma consente la partecipazione di più sponsor, attrati dalle possibilità offerte da una specie di tax credit, per loro molto conveniente per scaricare le tasse. Del resto, come da noi, la televisione e i produttori del cinema cosiddetto commerciale non sono per niente interessati ad opere di giovani registi, tanto meno se si tratta di esordienti.
Riguardo al loro lungometraggio d'esordio ha confermato i riferimenti horror che però sono lasciati alla libera interpretazione dello spettatore, anche se sono stati inseriti come una sorta di metafora della violenza che, nonostante l'evoluzione della società, cova sempre e ovunque nell'uomo ed è pronta a esplodere in qualsiasi momento. Così come la schiavitù, abolita nella prima metà dell'Ottocento, nel mondo del lavoro è rimasta, magari in un altro modo e sotto un'altra sembianza, oppure soltanto per definire il netto contrasto tra povertà e ricchezza, rimasti invariati ancora oggi. Della ricchezza e lo sviluppo tanto decantato degli ultimi anni "non ha beneficiato la maggioranza della popolazione - ha ribadito -, e nemmeno la classe media alta, anzi".
Nella retrospettiva completa delle opere di Bertolucci abbiamo potuto vedere il documentario "La salute è malata" (1971) e rivedere "Partner" (1968), un'opera tipicamente d'autore del periodo della contestazione, tra riflessione esistenziale e filosofica, tra indagine socio-politica e denuncia della società contemporanea, attraverso il ritratto di un giovane e del suo doppio, sosia (il riferimento a Dostoevskij non è casuale) ed alter ego, con un non dimenticato Pierre Clementi, allora attore feticcio di maestri e giovani autori (da Bunuel a Pasolini). In serata è stato riproposto "La luna" (1979) con Jill Clayburg, primo 'contatto' con il cinema americano.
Nel pomeriggio l'evento speciale dedicato a Flatform, un collettivo che realizza video (e installazioni) nel segno della sperimentazione e della ricerca nel campo dell'immagine (da video digitale al grande schermo) usando 'effetti speciali' su immagini girate dal vero e poi 'modificate' in post produzione.
"In qualche modo operiamo un po' come l'antropologo - affermano i realizzatori - che filtra tutte le discipline con cui viene a contatto e le incanala verso un obiettivo di ricerca".
E, infatti, oltre le immagini sono il tempo e i luoghi a determinare, sconvolgere o ribaltare paesaggio e situazioni. E' stata presentata una serie di sei corti; "In natura non esistono effetti speciali, solo conseguenze" (2007), "nel fare territorio implichiamo una serie innumerevole di attività nelle quali sono presenti: agitare eventi e creare spazi, concetti e inerzie"; "Intorno allo zero" (2007), un piano sequenza su una serie di edifici urbani attraverso una lunga, unica, carrellata che, raddoppiata specularmente, modifica la morfologia dei luoghi e li delocalizza, tanto da farli sembrare sospesi nel cielo; "Domenica 6 aprile, ore 11:42" (2008) è un video sul paesaggio, inteso come sistema connettivo delle relazioni che regolano i rapporti tra le persone, tra azioni e luoghi, movimenti e habitat; "57.600 secondi di notte e luce invisibili" (2009), 12 persone percorrono 4 itinerari identici nel corso di un giorno e una notte, "questo lavoro mostra che attraverso la ripetizione si conquista qualcosa"; "Non si può nulla contro il vento" (2010), sequenze di paesaggi filmati in uno spazio di 60 km compongono (suggestivi) mosaici di luoghi e assi di riferimento in continua trasformazione e che in realtà non esistono; "Un luogo a venire" (2011) è un video sui reciproci rimandi che si instaurano tra la nuda descrizione di un luogo e la sua concreta manifestazione.
Tutti lavori che in un certo senso inoptizzano lo spettatore ora sorprendendolo ora deliziandolo tra fascino del paesaggio e potere della riflessione, tra arte e filosofia.
"Per me l'unico dato certo è che partiamo da uno stato di caos a cui i nostri progetti cercano vanamente di fare un ordine, scompaginando e riformulando. Quando siamo di fronte a un progetto è come avere un Cubo di Rubik che non permette una soluzione, bensì infinite, e quindi nessuna. Sei sempre in perdita, ma mai in senso conflittuale. E' una perdita consapevole, priva di sconfitta".
La sezione dedicata ai documentari russi ci ha offerto nel pomeriggio due lavori di Antoine Cattin e Pabel Kostomarov; il cortometraggio "Transformator" (2003), e il mediometraggio (45') "Life in Peace". Il primo narra di un convoglio che trasportava un trasformatore sulla strada tra Mosca e San Pietroburgo, ma durante un incidente questo si capovolge. I due autisti sono costretti a rimanere sul posto per tre lunghi mesi. "I nostri protagonisti - dice Kostomarov - vengono ripresi come se stessero in trincea e mostrano i pori della vita".
In "Vivere in pace", dopo la morte della moglie e la casa distrutta in un bombardamento, il ceceno Sultan e il figlio Apti partono per stabilirsi in un villaggio nel nord della Russia. Qui i due cercano di rifarsi una vita, in un mondo immerso nel silenzio e spesso coperto dalla neve, sperimentando lo spaesamento provato da ogni ceceno che vive nel paese nemico. "All'inizio avevamo uno scopo preciso - affermano i registi -, esprimere la nostra posizione nei confronti della Russia e della guerra in Cecenia". E infatti documentano la sofferenza per una lunga guerra che colpisce entrambe le popolazioni, forse con la stessa intensità.
Presentato anche l'unico documentario in gara, ovvero "Qu'ils reposent en revolte" (Quelli che riposano in rivolta) del francese Sylvain George sugli immigrati - soprattutto afgani - che a Calais attendono di poter raggiungere l'Inghilterra che, però, non li vuole. Però nonostante l'importanza e la forza dell'argomento, le oltre due ore e mezza di filmato sembrano eccessive, anche quando si tratta di "Un grido di rivolta necessario" che rischia però di diventare solo 'illustrativo' per il pubblico che lo dovrebbe vedere. Anché perche il pubblico, anche quello più impegnato, non sempre è disposto a superare le due ore di proiezione. Certo il documetario è originale e diverso di quello tradizionale, e conquista addetti ai lavori e cinefili perché non mancano né la poesia né l'arte dell'immagine, tutta giocata sul contrasto del bianco e nero, dei chiaro-oscuri.
In Piazza è stato presentato il primo cortometraggio realizzato dall'attore-regista messicano Gael Garcia Bernal con Marc Silver "Los invisibles" (Gli invisibili) commissionato da Amnesty International per il suo cinquantesimo anniversario dalla nascita e sugli immigrati centroamericani che sperano di raggiungere gli Stati Uniti per avere una vita migliore ma vengono spesso rapirti, torturati e uccisi da mercenari/terroristi messicani a cui nessuno dà la caccia. Subito dopo l'altro film in concorso "Headshots" (Ritratti) dell'americano Stanley Tooley (Germania/Austria). Girato interamente a Berlino (dove il regista texano risiede) racconta la storia di una fotografa trentenne, Marianne (Loretta Pflaum, anche produttrice col regista), che dopo la rivelazione della sua gravidanza, comincia a osservare la vita da un'altra prospettiva, scoprendo di abitare in un mondo oscuro in cui regnano tradimento e disordine. Il tutto raccontato andando ora avanti ora indietro nel tempo, tra sogno e realtà, immaginazione e ricordo. Un dramma esistenziale, tipicamente d'autore, non privo di un ambiguo fascino, già presentato al Festival di Rotterdam.
José de Arcangelo

venerdì 10 giugno 2011

Anche alla 47a. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro è l'anno di Bernardo Bertolucci

Il grande Bernardo Bertolucci è il simbolo della 47a. edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, diretta da Giovanni Spagnoletti, in programma dal 19 al 27 giugno nella cittadina marchigiana sull’Adriatico. “E’ l’anno di Bertolucci” – come ha detto Roberto Cicutto Presidente di CinecittàLuce –, perché il maestro del cinema italiano, dopo la Palma d’Oro alla carriera al festival di Cannes e la presentazione internazionale della sua opera completa - già presentata al Moma di New York e a Londra -, è al centro del 25°. Evento Speciale, a cura di Adriano Aprà e realizzato con CinecittàLuce, appunto, in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, dedicato ogni anno a un maestro del cinema italiano. Bertolucci sabato 25 – in chiusura della retrospettiva completa dei suoi film – terrà un incontro/intervista pubblica che verrà ripreso e diventerà poi un documentario di Luca Guadagnino, un vero omaggio ai suoi splendidi 70 anni. L’incontro sarà condotto da Aprà e Bruno Torri. Serata speciale per la maratona “Novecento” (1976) che vedrà proiettati uno dopo l’altro l’Atto I e l’Atto II, ovvero ben cinque ore, come si poteva fare – a scelta – quando uscì il film nelle sale.
“Quando nacque il festival nel 1964 – esordisce Torri, fondatore con Lino Micciché – Bertolucci aveva fatto solo due film ma era già riconosciuto come autore e per la Mostra, che allora si inaugurava con un taglio artistico-culturale, è stato una sorta di fondatore, di modello da seguire, così come il brasiliano Glauber Rocha”.
In attesa della conferma del budget e in previsione dei tagli alla cultura, il festival ha comunque ridotto il numero di film – la scelta per pubblico e addetti ai lavori sarà però meno difficile – e la sala solo una, quella del Teatro Sperimentale. Comunque “è la manifestazione più importante che fa parlare di noi in Italia e nel mondo – ha detto Matteo Ricci, rappresentante della Provincia di Pesaro – anche su temi universali come la guerra dell’acqua e perché è stato il cinema che ha contribuito a fare l’Italia unita, a narrare il paese e la sua trasformazione, a differenza della tivù che rappresenta la degenerazione della cultura italiana. Guai a dimenticarselo perché fa parte dell’identità nazionale”.
“Il cambio di ministro si vede – afferma il direttore Giovanni Spagnoletti – perché stavolta anche se non è venuto nessun rappresentante del ministero ho ricevuto due e-mail una di ringraziamento per l’invito e un’altra per augurarci ‘buon lavoro’. Siamo contenti”.
“Dobbiamo adattare le possibilità finanziarie alla proposta culturale – ribatte Cicutto -, ma Galan a Cannes ha detto che si ‘batterà perché gli incentivi fiscali possano allargarsi a tutti i settori dello spettacolo’. Bisogna insistere perché si possa recuperare sulle tasse anche per il cinema e così possa avere una ripresa e un rilancio. Bondi è stato meglio come poeta che come ministro, mentre Galan sembra essere sulla strada giusta”.
Però la Mostra, oltre al consueto concorso il cui premio è dedicato alla memoria di Micciché – 7 opere prime o seconde, dall’Argentina alla Thailandia, dalla Francia allo Sri Lanka -, quest’anno continua l’omaggio/indagine sul cinema russo contemporaneo presentando una variegata selezione di documentari – da quelli ispirati o sui maestri del cinema sovietico come Tarkovskij e Sukorov, a quelli poetici; da quelli sulla natura (da Leningrado alla Siberia) a quelli sulla realtà sociale dello sterminato paese. Tra questi “Blokada/Blockade” e “Kak stat’stervoj / Bitch Academy”. Realizzato attraverso il montaggio di una serie di sequenze e di documenti trovati da Sergej Loznica negli archivi di Mosca, “Blokada” rievoca l’assedio di Leningrado (1941-1944), quando stanno per ricorrere settant’anni. Il film è costituito interamente da materiale d’archivio e le immagini sono state montate e accompagnate da una sonorizzazione di Vladimir Golovnickij che ha la capacità di rendere queste scene di vita delle manifestazioni autentiche della drammaticità di quegli eventi. Così le scene che vediamo sullo schermo trascendono la contingenza storica, non costituiscono una mera evocazione di un drammatico passato per diventare invece una realtà ‘rianimata’ che lascia oggi senza fiato.
Nel tentativo di trovare una strada per una vita più stabile e prospera, alcune giovani donne di San Pietroburgo decidono di frequentare una scuola creata per formare vere e proprie escort. Così con “Kak stat’ stervoj”, la regista Alina Rudnickaja documenta le giornate di studio all’istituto, dove le ragazze imparano l’arte della seduzione e del corteggiamento nella speranza di farsi sposare da uomini ricchi e potenti. Un documentario che, grottescamente, dipinge le angosce e le aspirazioni delle giovani della Russia contemporanea, pronte a tutto pur di vivere nel lusso.
Tra i film in concorso – che verranno giudicati da una giuria composta dal critico cinematografico Fabio Ferzetti, dall’attrice Isabella Ragonese e dalla regista militante Martina Spada – da segnalare “Qu’ils reposent en revolte” un potente documentario francese d’osservazione girato da Sylvain George a Calais, punto strategico di passaggio per i migranti in attesa di raggiungere l’Inghilterra. Gli altri sono “The Journals of Musan” di Park Jung-bum, un film che racconta le grandi difficoltà dei nordcoreani a integrarsi nella società capitalista della Corea del Sud, dove sono spesso emarginati e vittime di pregiudizi; l’argentino “Medianeras”, opera prima di Gustavo Taretto - passata all’ultima berlinale - si presenta così: “Tu puoi sempre aprire una piccola finestra nelle medianeras [le pareti perimetrali cieche degli edifici] per consentire che un raggio di sole entri nella tua vita”; la Germania è presente con “Headshots” dell’americano-berlinese Lawrence Tooley, le coppie a Berlino oggi, attraverso la storia di una donna che si perde in un mondo in cui spesso non riesce a distinguere la realtà dalle immagini che scatta costantemente; mentre la Thailandia è la new entry con lo spirituale “Eternity” di Sivaroj Kongsakul, lo Sri Lanka porta “Flying Fish” di Sanjeewa Pushpakumara, dove c’è anche la presenza dell’organizzazione terroristica ‘Le Tigri di Tamil’, e, infine, il Brasile di “Trabalhar cansa” (Lavorare stanca) di Juliana Rojas & Marco Dutra, una commedia nera, una storia sul lavoro che diventa un noir…
Nemmeno stavolta mancherà il Cinema in Piazza con una selezione di opere presentate nelle diverse sezioni e, nella serata di chiusura, con “También la lluvia” (Anche la pioggia) della spagnola Iciair Bollain, il film sulla guerra per l’acqua, con Gabriel Garcia Bernal, l’attore messicano che presenterà in anteprima italiana anche i corti che ha diretto per Amnesty International “Gli invisibili” (Los invisibles), che precederanno quattro dei lungometraggi in programma.
Anche due omaggi italiani al collettivo Flatform e all’eclettico Cosimo Terlizzi. Attivo tra Milano e Berlino, il collettivo di cineasti è tra i più riconosciuti internazionalmente, ed è composto da autori di cortometraggi italiani; mentre Terlizzi è un noto video artista, performer e regista di documentari.
Giunge alla V edizione il Premio Amnesty International, che segnalerà il cinema più attento alla difesa e alla promozione dei diritti umani. Confermato anche lo spazio anticonvenzionale del Dopofestival, un’incursione nelle nuove frontiere dell’audiovisivo, tra cinema e arte, dedicato quest’anno al video d’artista. In programma anche il lavoro del Lems (Laboratorio elettronico per la musica sperimentale) “Dodici pezzi facili”, oltre all’evento speciale dedicato a Terlizzi. Da Parigi una selezione dal Festival Internazionale Signes de Nuit giunto alla sua ottava edizione.
Rinnovata la collaborazione con la Scuola del Libro di Urbino. I fumetti e l’animazione degli allievi del corso di Perfezionamento saranno in mostra – in forma di videoinstallazione – al Teatro Sperimentale durante le giornate del festival e presso la Libreria del barbiere in via Rossini 38 (11-27 giugno). La fondazione Pesaro Nuovo Cinema con il patrocinio dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” conferma il lavoro svolto negli anni e dei rapporti proficui tra il Festival e la laurea triennale e la laurea specialistica in Comunicazione e Pubblicità con sede a Pesaro, attraverso l’istituzione di borse di studio per gli studenti e l’istituzione di una giuria dei giovani formata da una ventina di studenti delle lauree specialistiche che premiano il miglior film in concorso al festival.
Ma non è tutto, come nelle precedenti edizioni, la Mostra sarà preceduta dall’Avanfestival che il 19 giugno, come un ‘assaggio’ cinematografico che animerà Piazza del Popolo il giorno prima dell’inaugurazione ufficiale, il pubblico potrà assistere alla proiezione di “Rossini! Rossini!” di Mario Monicelli. Un triplo omaggio: al grande musicista pesarese, al maestro della commedia italiana recentemente scomparso e alla Fondazione Rossini.
Poi a Roma, anche quest’estate all’interno della manifestazione “I grandi festival”, nell’Arena di Piazza Vittorio, per il settimo anno consecutivo in collaborazione con ANEC Lazio, si terrà “Pesaro a Roma” dall’8 al 10 luglio 2011 con una selezione esaustiva delle varie sezioni del festival.
Infine, in collaborazione con Close-Up tv, ogni giorno sarà possibile vivere online l’edizione 2011: contributi video con interviste agli autori ospiti del festival, trailer dei film presentati. Il tutto aggiornato in tempo reale oltre che su www.pesarofilmfest.it anche sul canale di Youtube.
Il Festival (Mostra Internazionale del Nuovo Cinema ed Evento Speciale) ha un budget (da confermare ad agosto) di circa 500mila Euro provenienti dalla Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal Comune di Pesaro, dalla Provincia di Pesaro e Urbino, dalla Regione Marche. Con il supporto di CinecittàLuce, Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale, Ministero degli Affari Esteri, Ministero della Cultura, Fondazione per le iniziative sociali e culturali e Direzione dei programmi internazionali. Con il patrocinio dell’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”.
La Mostra del Nuovo Cinema è associata all’Afic (Associazione Festival Italiani di Cinema - www.aficfestival.it). Main Sponsor: Banca delle Marche; Febal; Bagno Più. Official Sponsor: Ripley’s Film; Ripley’s Home Video. Technical Partner: Med Store Pesaro, BGE Hot Spot, Lux Car-gruppo Diba, Pesaro
Feste srl, Baldo Electronic Service, Consorzio al Centro di Pesaro. Media Partner Cinecittà News e Close-Up.it
José de Arcangelo